Giudicheremo Trump dai risultati
Tra ricatti e spintoni Donald Trump trascina il mondo sulla via della pace. Tra baci sulla testa e messaggi di pace Joe Biden ci portava sulla via della guerra. La differenza è qui. C’è chi si sofferma sul metodo e chi invece punta al risultato. C’è chi giudica i mezzi e chi valuta i fini. Se il dito indica la luna, c’è chi si sofferma sul dito, anzi sulla manona manesca, e chi invece è proteso verso la luna, l’obbiettivo. Naturalmente potremo dar ragione a Trump se e quando porterà a casa il risultato, quando cioè la pace e un ragionevole equilibrio mondiale riuscirà a essere ristabilito e nessuno dovrà soffrirne troppo, anzi ciascuno alla fine starà meglio rispetto a prima.
Biden tramite Zelensky ci ha trascinato in una guerra dannosa per l’Europa oltre che per la Russia, e funesta per l’Ucraina. Ma c’è stata un’invasione, dicono indignati i pacifondai bellicosi, non possiamo dimenticare. A quell’invasione non ci siamo arrivati per una follia improvvisa e unilaterale, c’erano noti precedenti, si poteva evitare e invece non si è nemmeno provato a intavolare una trattativa. In ogni caso, viviamo ancora sotto l’egida di Jalta, e in tutti gli anni precedenti abbiamo visto, senza battere ciglio, la stessa potenza russa, al tempo sovietica, schiacciare e invadere paesi come l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia. Dov’era l’indignazione dell’occidente? Era rifugiata dietro l’alibi che per non peggiorare la situazione, per non allargare il conflitto e rischiare la terza guerra mondiale, per non moltiplicare i morti e le distruzioni, insomma era meglio star fermi adducendo c’era una spartizione del mondo decisa a tavolino a Jalta che dovevamo osservare. Ora, invece, era stato stabilito un ordine unilaterale in base al quale l’Ucraina doveva tenersi i territori russi o a maggioranza russa, doveva entrare nella Nato e puntare le sue basi contro la Russia, doveva entrare nell’Unione europea anzi già sentirsi parte di essa; e chi contravveniva a questo grappolo di decisioni unilaterali e prestabilite altrove, era considerato un criminale di guerra. Intanto il resto del mondo non accettava questa conclusione e soprattutto le sue premesse. Ma non solo. Quella visione in apparenza pacifista e globalista e nella sostanza imperialista e suprematista, non chiedeva di ridisegnare i rapporti e gli equilibri internazionali ma pretendeva di eliminare il nemico di turno, che era Putin, e di considerarlo criminale contro l’umanità per motivi che si potevano applicare anche ad altre leadership passate e presenti, anche statunitensi, occidentali e filo-occidentali. Che realismo e che pacifismo è quello di chi non vuole solo vincere una guerra ma eliminare il nemico, umiliare una potenza, schiacciarla sotto un giogo internazionale deciso unilateralmente?
In realtà non ci siamo resi conto che sta succedendo qualcosa nel mondo, oltre i metodi e lo stile di Trump e la riprovazione dell’Europa: il mondo cambia rapidamente, troppo rapidamente, e per affrontare le grandi sfide esige decisioni rapide e fattive, occorre unità di comando, rapidità di scelte, leader decisionisti. Siamo circondati da autocrati, paesi enormi con leadership forti e illiberali, ci sono dittature e sistemi totalitari che avanzano ovunque. Quei regimi, quei capi sono in grado di prendere decisioni rapide e perentorie. E l’Occidente se non vuole restare sepolto e sconfitto, deve attrezzarsi alla sfida e adeguarsi, traducendo nei suoi sistemi democratici e nelle sue società comunque temperate dai diritti, la necessità di avere decisori forti e rapidi.
Trump non sbuca dal nulla e non sbuca nemmeno soltanto dal ventre profondo dell’America, non è lui a forzare il cammino della storia, ma è il frutto, il prodotto di quel clima epocale, di quella necessità mondiale, e di tutto quel che comporta competere con la Cina e con la Russia, confrontarsi con l’India e la Turchia, e via dicendo. Anche l’Europa avrebbe bisogno di qualcosa del genere; certo, più consono allo spirito, alla storia e all’indole europea. Ma è davvero imbarazzante lo stridente contrasto tra lo scenario mondiale e i suoi protagonisti e la scena europea, divisa su tutto, incapace perfino di capire quali sono le sue vere priorità e i suoi primari interessi.
Anche rispetto alla pace non ha senso professarsi pacifisti, bisogna sapersi misurare sul terreno della persuasione e se è il caso della forza; la pace in un mondo così non nasce dai virtuosi sermoni e dalle manifestazioni di piazza, come pensa ancora la retorica della sinistra europea, ma è frutto di duri negoziati e di rapporti di forza, alla fine risolti dall’intelligenza e dalla deterrenza, dal reciproco timore e dalla comune necessità di evitare la sciagura di un conflitto.
Trump lo giudicheremo dagli effetti che produrrà e dai risultati che conseguirà; possiamo coltivare e preferire una diversa concezione e sensibilità etica ed estetica, oltre che giuridica e civile, una diversa educazione e dunque un diverso stile; ma quel che alla fine conterà è se davvero fermerà la guerra, le guerre, se davvero riuscirà a stabilire un accettabile equilibrio mondiale, anche nello scambio, e se davvero riuscirà a non farsi sopraffare da altre dominazioni, come quella cinese. Se ci riuscirà avrà ragione lui. Insomma il criterio unico per giudicarlo è se lascerà una situazione migliore rispetto a quella che ha trovato.
Nel frangente, la posizione assunta da Giorgia Meloni di cercare un ponte e un’intesa tra l’Europa e gli Usa di Trump mi sembra l’unica percorribile per noi italiani ma anche per noi europei e mediterranei, rispetto a chi crede di risolvere tutto semplicemente manifestando la propria solidarietà a Zelensky, e arroccandosi in quel pacifismo guerrafondaio che ci ha lasciato in eredità l’amministrazione dem. L’ipocrisia delle anime belle serve solo per posare nelle foto di gruppo, ma non serve né alla pace né all’Europa né ai popoli. Ci vuole il coraggio di guardare in faccia la realtà e di rispondere in modo adeguato.
La Verità – 2 marzo 2025
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