Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 19 agosto 2013

Ecco "i nostri fratelli" cui papa e vescovi augurano "Buon Ramadan"

Leggo e riprendo quanto pubblicato di seguito dal blog francese L'Observatoire de la Christianophobie.

Preghiera tra le rovine di una Chiesa
Non intendiamo identificare tutti i musulmani in questa follia distruttrice; ma di certo non bastano salamelecchi vari e generiche preghiere all'Angelus non dico per neutralizzarla (il che andrebbe fatto attraverso adeguati interventi politici dai quali purtroppo siamo ben lontani), ma quanto meno per condannarla... Quelli riportati sono fatti divenuti purtroppo quotidiana cronaca attuale.

Per completezza, tuttavia, riporto lo stralcio di un intervento di Cristiani egiziani riportato da Rorate Caeli:
«Apprezziamo la presa di posizione dei paesi amici e fedeli che capiscono la natura di questi eventi. Denunciamo con forza gli errori in onda sui media occidentali e li invitiamo a rivedere i fatti oggettivamente per quanto riguarda queste sanguinose organizzazioni radicali e i loro affiliati, invece di legittimarli con un comune sostegno e una protezione politica, mentre tentano di diffondere devastazione e distruzione nella nostra cara terra. Chiediamo che i media internazionali e occidentali aderiscono a fornire un resoconto completo di tutti gli eventi con verità, precisione e onestà
Evidentemente c'è un tessuto sano, che andrebbe incoraggiato e supportato; il che attualmente, purtroppo, non accade.

Don Henri Boulad, S.J., direttore del Centro culturale gesuita di Alessandria, venerdì scorso ha denunciato l'informazione selettiva e unilaterale dei media e dei governi occidentali nel difendere i fratelli musulmani che vogliono far passare per vittime mentre sono dei carnefici.   

Le Blogcopte ha messo on line su Dailymotion il video amatoriale sotto riportato, registrato dopo la distruzione della Chiesa copta El Amir Tadros (Prince Théodore) a El Minya. Un esempio tra decine d'altri, dell'odio cristianofobo e della follia distruttiva dei Fratelli Musulmani, così coccolati dai media e dai governi occidentali...


Colgo l'occasione per riportare la prima parte di una recente "Lettera al Papa", il cui testo integrale è pubblicato qui e che dimostra come i timori e le perplessità non sono solo i nostri:

Lettera a Papa Francesco: noi abbiamo bisogno di un Papa pronto al martirio per salvare i cristiani perseguitati nel mondo, non dedito alla ricerca della popolarità persino tra i tifosi del calcio
di Silvana De Mari


Carissimo Papa Francesco,
mi rivolgo a lei in maniera così familiare perché ormai mi sono resa conto di quanto lei ami essere una persona comune, senza orpelli, senza ori e senza ermellini, una persona comune, come tante.
Una persona comune che come tante guarda il calcio.
Una persona comune che come tante chiacchiera amenamente in aeroplano.
Una persona comune come tante.

Noi abbiamo bisogno di un Papa.

Mi perdoni caro Papa Francesco, non viene nemmeno di chiamarla Santità, credo che Lei sia una persona deliziosa, il vicino di casa ideale, ma noi abbiamo bisogno di un Papa.

Ammazzano i cristiani come cani, Santità, tra una partita di calcio l’altra, tra un bacio a un bimbo disabile e l’altro, potrebbe fare qualcosa di un po’ più in tinta col suo ruolo? Solo nelle ultime ore sono 10 le chiese  bruciate in Egitto [ora sono decine di più...]. Lei potrebbe fare qualcosa? Potrebbe mettersi addosso i suoi orpelli, gli ori e gli ermellini, che non sono spazzatura Santità, sono simboli di 2000 anni di storia e con quella roba addosso andare in Egitto invece che guardare il calcio? Non c’è solo Balotelli che desidera tanto parlare con Lei, ci sono anche i parroci delle chiese cattoliche in Nigeria che avrebbero qualcosa da raccontarle, quelli sopravvissuti voglio dire, quelli già defunti a Lei non hanno più niente da dire.

In un momento in cui la cristianità è sotto attacco come non mai, noi Santità abbiamo bisogno di un Papa. Abbiamo bisogno di qualcuno che come primo problema nomini i cristiani massacrati Nigeria e i cristiani massacrati in Pakistan nell’omelia di Pasqua, perché quei morti Santità erano uomini e perché nell’ucciderli è stata uccisa la libertà alla dignità dell’uomo. 

Santità non vorrei insegnarle il mestiere, capisco che Lei sia un professionista in fatto di cristianesimo e io un implume dilettante, ma a volte capita che dilettanti siano più lucidi nel giudizio. L’arca di Noè, per esempio, è stata costruita e guidata da dilettanti, il Titanic costruito guidato da professionisti. Non vorrei portare iella con il paragone, ma la cristianità mi dà l’impressione del Titanic. L’iceberg si chiama islam, lei dice che è tanto buono e spirituale, se lo dice lei che è un esperto, sarà anche così, ma, insisto, era tanto  esperto, uno dei migliori, anche il capitano del Titanic. ----> segue

sabato 17 agosto 2013

Resistere è questione di sopravvivenza

Il precedente articolo ci ha posti di fronte all'ormai ineludibile discrepanza tra le cosiddette due forme: extraordinaria (Vetus Ordo) [sarebbe più corretto parlare di Rito Romano usus antiquior] ed ordinaria (Novus Ordo) del Rito Romano e la discussione che esso ha innescato ha focalizzato i nodi, per molti ancora sommersi, che appaiono a tutt'oggi insolubili. Propongo le seguenti riflessioni che riprendono anche la sintesi di quanto sviluppato nella discussione.

Dobbiamo partire dalla consapevolezza del prevalere dei luoghi comuni sull'Antico Rito, ormai fatti propri quasi dall'intero corpo episcopale nonché dagli stessi pontefici, tolte le posizioni ondivaghe di Ratzinger/Benedetto XVI, che tuttavia ci ha offerto la piena liberalizzazione nel motu proprio Summorum Pontificum.

Del resto, basta anche tornare al famoso discorso ai sacerdoti del 14 febbraio, nel quale lo stesso Benedetto XVI ci lascia parole sulla Messa antica che ripropongo con riluttanza tanto sono simili ai peggiori pregiudizi che cozzano con la nostra esperienza di fede. E forse spiegano come mai non ha mai visitato la Parrocchia personale o non ha mai presenziato (non c'era bisogno che il Papa celebrasse) ad una messa usus antiquior... Pensavamo per non incorrere negli strali del modernisti; ma dopo quelle parole le nostre illusioni sono cadute! Nonostante peraltro esse cozzino con quanto affermato in molti suoi scritti nei quali tra l'altro ha stigmatizzato la liturgia "fabbricata a tavolino" e giudicato il Rito antico "mai abrogato".

venerdì 16 agosto 2013

Roberto De Mattei. Nella vita si tratta di scegliere da che parte stare

Un doveroso ricordo di un grande testimone del nostro tempo ed anche un interessante e puntuale excursus sulla sofferta e vexata quaestio della scelta liturgica del Rito Romano antico secondo il Messale del 1962.

Jean Madiran e la “Storia della Messa interdetta”
di Roberto de Mattei

Non è forse un caso che Jean Madiran sia scomparso, il 31 luglio 2013, all’età di 93 anni, proprio mentre nella Chiesa esplodeva il “caso” dei Francescani dell’Immacolata. I Frati francescani di padre Stefano Manelli si trovano infatti a vivere oggi un dramma che Madiran ed altri pionieri della resistenza cattolica al progressismo vissero negli anni Settanta del Novecento, all’indomani della promulgazione del Novus Ordo Missae di Paolo VI.

Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel, nacque il 14 giugno 1920 a Libourne nel dipartimento della Gironda e fin da giovanissimo si mise in luce per i suoi talenti di scrittore e giornalista. Fu vicino a Charles Maurras, ma una conversione intellettuale profonda lo portò a riscoprire il pensiero di san Tommaso d’Aquino, alla scuola di maestri come Etienne Gilson e Charles de Koninck. A 36 anni, nel 1956, creò la rivista “Itinéraires”, destinata ad essere per quasi quarant’anni, il punto di riferimento del mondo della Tradizione in Francia e nel 1982, fondò il quotidiano “Présent”(1) su cui ha continuato a pubblicare i suoi lucidi editoriali, fino a poche settimane prima della morte. Fu, con Augusto Del Noce, Alain Besançon e pochi altri, uno degli studiosi più acuti delle radici ideologiche del comunismo (in particolare con La vieillesse du monde, Dominique Martin Morin, 1966), ma fu soprattutto osservatore impietoso del processo di autodemolizione della Chiesa con opere come L’Héresie du XX siècle (Nouvelles Editions Latines, 1968) e  La révolution copernicienne dans l’Eglise (Editions de Paris, 2004).

Cronaca del "rinnovamento liturgico"

Parlano più le immagini di mille discorsi.

Luglio 2013. Il Papa vieta ai Francescani dell'Immacolata di pregare così:


Mentre, durante la GMG i vescovi pregano così:


[Fonte]

mercoledì 14 agosto 2013

Regina in coelum Assumpta, ora pro nobis!

Regina in coelum Assumpta, ora pro nobis!
Buona Festa dell'Assunzione a tutti!

Anche quest'anno, per ricordare l'Assunta, ho ripreso questa bellissima immagine di Tiziano che, nel 2011, campeggiava nello splendido Simposio Mariologico, organizzato dai Francescani dell’Immacolata a Frigento, sull’Assunzione di Maria: Assunta in cielo perché corredentrice sulla terra  (resoconto dal link).

Nell'occasione, Mons. Brunero Gherardini ha tenuto da par suo una conferenza, di cui vi ripropongo l'ascolto. 


Tomba e morte non l'hanno trattenuta

Giovanni Damasceno per la Dormizione della Madre di Dio
di Manuel Nin

Dormitio Virginis - Santa Maria Maggiore
Nella tradizione bizantina la festa della Dormizione della Madre di Dio è il sigillo che chiude l'anno liturgico, così come quella della sua Natività è l'inizio. La nascita e la glorificazione della Madre di Dio sono infatti anche l'inizio e il destino di tutta la Chiesa, di cui Maria è figura (týpos). Nell'ufficiatura mattutina vi è un canone di san Giovanni Damasceno (VII-VIII secolo) dove, a partire dalle odi bibliche che sono alla base del mattutino bizantino, sono sviluppati aspetti del mistero celebrato grazie a una lettura cristologica dei testi veterotestamentari.
L'autore sottolinea come la festa diventi una liturgia: "Adorna di divina gloria, o Vergine, la tua sacra e illustre memoria ha convocato alla festa tutti i fedeli che, preceduti da Maria con danze e timpani, cantano al tuo unigenito: Si è reso grandemente glorioso". Il Damasceno collega la prima ode (Esodo, 15, 1-19) con il transito, vero esodo, di Maria in cielo: "Vergini giovinette, insieme alla profetessa Maria, cantate ora il canto dell'esodo: perché la Vergine, la sola Madre di Dio, è trasferita all'eredità celeste. Accogli da noi il canto per il tuo esodo, o madre del Dio vivente". Qui Giovanni enumera i titoli dati a Maria nella festa e nelle tradizioni cristiane: "Degnamente, come cielo vivente ti hanno accolta, o tutta pura, le divine tende celesti: e tu, nella tua radiosa bellezza, hai preso posto come sposa tutta immacolata presso colui che è re e Dio".

Il transito della Madre di Dio diventa quasi una liturgia che raduna il cielo e la terra, manifestata dall'icona della festa: "Quale sorgente viva e copiosa, o Madre di Dio, rafforza i tuoi cantori, che allestiscono per te una festa spirituale, e nel giorno della tua divina gloria di corone di gloria rendili degni. La folla dei teologi dai confini della terra, la moltitudine degli angeli dall'alto, tutti si affrettavano verso il monte Sion al cenno della divina potenza, per prestare ben doverosamente, o sovrana, il loro servizio alla tua sepoltura. Da tutte le generazioni ti diciamo beata, o Madre di Dio vergine, perché in te si è compiaciuto dimorare il Cristo Dio nostro, che nessuna dimora può ospitare. Beati siamo anche noi, che abbiamo te quale protezione: giorno e notte, infatti, tu intercedi per noi".

Giovanni presenta chiaramente il tema della morte della Madre di Dio. Il suo transito alla vita avviene, come per Cristo stesso, attraverso l'esperienza della morte: "Da te è sorta la vita, senza sciogliere i vincoli della tua verginità. Come ha dunque potuto l'immacolata dimora del tuo corpo, origine di vita, aver parte all'esperienza della morte? Tu che sei stata sacrario della vita hai raggiunto l'eterna vita: attraverso la morte, infatti, sei passata alla vita, tu che hai partorito colui che è la vita. Tomba e morte non hanno trattenuto la Madre di Dio, sempre desta con la sua intercessione. Quale madre della vita, alla vita l'ha trasferita colui che nel suo grembo sempre vergine aveva preso dimora".

Nell'ottava ode Giovanni prende spunto dal cantico dei tre fanciulli (Daniele, 3, 57-88) e ne fa un commento cristologico e mariologico: "Il parto della Madre di Dio, allora prefigurato, ha salvato nella fornace i fanciulli intemerati; ma ora che si è attuato convoca tutta la terra che salmeggia: Celebrate, opere, il Signore, e sovresaltatelo per tutti i secoli". Quasi come il giardino della tomba vuota di Cristo, anche la tomba di Maria diventa un nuovo paradiso: "Oh, le meraviglie della sempre vergine e Madre di Dio! Ha reso paradiso la tomba che ha abitata, e noi oggi attorniandola cantiamo gioiosi". La stessa fornace di Babilonia è figura del grembo di Maria: "Il potentissimo angelo di Dio mostrò ai fanciulli come la fiamma irrorasse di rugiada i santi e bruciasse invece gli empi; e così ha reso la Madre di Dio fonte vivificante dalla quale insieme zampillano la distruzione della morte e la vita per quanti cantano: Noi redenti celebriamo l'unico creatore, e lo sovresaltiamo per tutti i secoli".
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(©L'Osservatore Romano 14 agosto 2013)

Oggi la Chiesa ricorda San Massimiliano Maria Kolbe, Patrono dei Francescani dell'Immacolata

Riprendo da Messa in Latino:
La Chiesa oggi ci invita ad invocare devotamente San Massimiliano Maria Kolbe , Martire, Patrono dei Francescani dell'Immacolata per i quali in questi caldi giorni stiamo particolarmente pregando . " Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia”
- La figura di Kolbe e la sua azione è un’eredità spirituale che i Francescani dell’Immacolata, frati, suore e laici, hanno accolto pienamente e con il suo voto mariano di totale consacrazione all’Immacolata si impegnano a portare nel mondo il Cristo Salvatore, con l’esempio e la parola, la contemplazione e l’azione, a imitazione della Beata Vergine Maria, la prima missionaria del Vangelo.
 - È alla Porziuncola di S. Maria degli Angeli che l’Ordine Serafico ha messo le sue “radici” facendo propria la “Causa dell’Immacolata”. San Massimiliano M. Kolbe, con le sue "La Città dell'Immacolata" costituisce nella nostra epoca uno dei frutti più genuini di quella radice tutta serafica e tutta mariana.
Egli è il protettore dei nostri difficili tempi.
- S.Francesco è come la radice di un albero sempre in fiore che produce frutti di santità. Dagli inizi ad oggi il suo spirito vivo e vivificante ha mosso uomini e donne di ogni estrazione sociale, nazione e cultura a seguire i suoi passi. Nel corso dei secoli, le diverse riforme all’interno della grande famiglia francescana, a modo di rami di un unico albero, si sono sempre proposte un ritorno a quella radice, secondo le sensibilità e i bisogni del proprio tempo.

Papotage (ciance)

(Il termine francese - che significa ciance - consente un gioco di parole che non si può rendere in italiano)Traduco (cercando di mantenere il gioco delle rime) dal blog francese Traditionalistes!

Una teca piena di reliquie
che l'adorassero immaginava:
così pensando si crogiolava,
ricevendo come destinati a sé
gli incensi e i cantici del re.
(Jean de la Fontaine)

                          Nell'orgoglio che la trascinava,
                          d'esser saggia certo pensava;
                          e fu così che dedicò
                          la sua grande autorità
                          a impedir canti paramenti omaggi e tutto ciò
                          che ferisse la sua alta umiltà.
                          (autore sconosciuto)

martedì 13 agosto 2013

Enfasi su una nuova concezione del “Mistero pasquale”


Approfitto per inserire uno stralcio dal mio piccolo saggio sulla Questione liturgica, [scaricabile da qui in formato pdf] (1), mossa da un commento su MiL, cui nessuno replica, che vorrebbe insegnarci ancora una volta questa, spacciata come neo-verità proclamata con grande enfasi: « Il problema è che lei dimentica che la Messa è celebrazione della Pasqua del Signore, quindi della sua morte e anche della sua risurrezione ». Come se la nostra Messa Romana antica non celebrasse la Pasqua del Signore e quindi anche la Sua Risurrezione. È dunque necessario rimediare all'ignoranza incolpevole di chi, nato dopo il concilio, non sa che la nostra Santa Messa, che riattualizza il Santo Sacrificio, cos'altro è se non la celebrazione della Pasqua del Signore, così come proprio Lui ce l'ha consegnata durante l'Ultima Cena? Non è forse soltanto in virtù del Sacrificio che la Santa Messa può diventare anche banchetto escatologico, col ricevere in noi nel Corpo Sangue Anima e Divinità del Signore, l'Agnello immolato ora glorioso?
Di seguito trovate : La trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica

Enfasi su una nuova concezione del “Mistero pasquale”

Sia negli antichi Sacramentari che nel Messale di San Pio V non risulta alcun particolare senso teologico attribuito all'espressione mistero pasquale, apparsa con particolare accentuazione in Le mistère Pascal (1945) di Louis Buyer, che nel Vaticano II è divenuta "il centro di tutta la liturgia"(Annibale Bugnini, La rivoluzione liturgica, Roma 1983) o "vertice della rivelazione dell'inscrutabile mistero di Dio" (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 1980)
E oggi molti novatori affermano che la “teologia del mistero pasquale” è l’anima della riforma liturgica postconciliare.
Ebbene, la “teologia del mistero pasquale” è l'anima della fede cattolica, non della riforma postconciliare. Infatti, il mistero Pasquale è la Passione-Morte-Risurrezione del Signore. La riforma post-conciliare in parte, la teologia neocatecumenale in maniera ancor più luterana, ha posto l'accento solo sulla Risurrezione, con il pretesto che la visione di Trento era troppo “doloristica” e si metteva troppo l'accento sulla Croce. Questo è un inganno: la Croce è una Realtà ineludibile, vera Pasqua=‘passaggio’ verso la Risurrezione, perché rappresenta il fiat di Cristo Signore alla volontà del Padre, quell'obbedienza piena e libera, che ha cancellato un primigenio terribile non serviam e la tragica disobbedienza del primo Adamo e ha permesso il ricongiungimento al Padre dell’umanità redenta. 
E la S. Messa è la ri-presentazione incruenta al Padre del Sacrificio del Figlio, che si trasforma, alla comunione, in banchetto escatologico.

Quindi la liturgia non è né la festa della comunità né azione dell'assemblea, ma Azione teandrica (divino umana) di Cristo Signore che il sacerdote compie in persona Christi così come Lui ce l'ha consegnata nell'ultima Cena fino alla fine dei tempi. Certamente c'è anche la partecipazione del credente col suo “sacerdozio battesimale”, ben distinto tuttavia sia in grado che in essenza, da quello ordinato (Lumen Gentium, 10). Elemento fondante e fondamentale, ontologico, che pare non essere chiaro, o forse peggio non vuole essere chiaro a chi, oggi, sembra a volte negare (con conio tutto conciliare)  la distinzione teologica ed escatologica tra i battezzati che partecipano al sacerdozio regale di Cristo, ed i battezzati consacrati col Sacramento dell’Ordine, i soli che, per mistero di grazia, partecipano invece al sacerdozio ministeriale di Cristo.

La Chiesa non ha mai messo l'accento solo sulla Croce, come sostengono i falsi profeti. Semmai possono averlo fatto alcune spiritualità che si sono soffermate su singoli momenti della Passione del Signore; ma è solo una accentuazione di qualche congregazione religiosa che ne rappresenta il carìsma, che per alcuni e in alcuni casi può essere diventata una devozione non equilibrata col rischio di scadere nel devozionismo, da cui tuttavia la Chiesa ha sempre insegnato a rifuggire.

Parlare di mistero pasquale, quindi, non è prerogativa del concilio, perché è il nucleo portante della nostra Fede. Prerogativa di un improprio e sviato e sviante “spirito del concilio”, invece, è parlare di mistero pasquale mettendo l’accento solo sulla Risurrezione e trasformando il Sacrificio-convivio in convivio-e-basta, tant'è che si sono aboliti gli Altari per sostituirli con delle ‘mense’.

L’offertorio, completamente abolito, è diventato - come già sottolineato - una berakàh ebraica (vedi di seguito) e manca il totale dono di noi stessi, l’Offerta, tutto consegnato al Signore che si consegna per la nostra Redenzione. Nell’antico Canone si offre l’Hostia pura santa e anche l’assemblea si riallaccia alla sorgente. Già è così nel VI secolo, anzi fin dal tempo Apostolico il Culto si attua nel contesto di un pasto, ma è una celebrazione a parte che nei secoli si è affinata per divenire la meraviglia che ancora abbiamo.

Il culto cattolico deriva dal culto ebraico del Tempio di Gerusalemme che nel 70 d.C. fu distrutto. La Liturgia della Parola viene dalla liturgia sinagogale. Lo stesso Gregoriano ha conservato dei suoni più fedeli alle antiche salmodie degli attuali canti sinagogali. L’Eucaristia è il Novum introdotto dal Signore.

L'ebraismo talmudico nato a Yavne dal giudaismo farisaico, dopo la distruzione di Gerusalemme (e del Tempio) nel ’70 c.C., è quello spurio. Non c'è più né tempio, né vittima né sacrificio: il nuovo Tempio è Cristo e la Sua Chiesa, l'unica Nuova ed Eterna Alleanza è quella nel Sangue prezioso di Cristo Signore! 
Solo il Sacerdote poteva offrire la “vittima” solo lui poteva sacrificarla, solo lui poteva immolarla, solo lui poteva toccarla... solo lui poteva “mangiarla”.

Ora, in virtù del nostro battesimo, del sacerdozio “comune” noi ora possiamo partecipare della “vittima”, ma non possiamo sacrificare perché solo il un Sacerdote poteva.
Il boccone che il sacerdote offre è quindi un privilegio tutto cristiano, istituito dal Signore stesso, e il fedele ben si guardava dal toccare con le sue mani “non monde” (non sante, non consacrate) la vittima!
Era un abominio solo il pensiero di poter toccare l'oblata!

Le stesse preghiere dell'“Introibo ad Altare Dei” sono come i salmi delle ascensioni. Come già sottolineato, i gradini su cui è posto l'Altare rappresentano il calvario... quando il sacerdote lascia cadere la ‘vittima’ sul corporale lo fa sotto il crocifisso posto sull'altare, come se fosse una “deposizione” dalla croce... lo svolgersi della celebrazione è tutto un crescendo, ma il sacrificio eucaristico inizia già nell'Offertorio, che non è un retaggio pagano, come insegnano falsi profeti recentemente inopinatamente approvati, ma il culmine dell'obbedienza del Nuovo Adamo, cioè del Signore Gesù ed è per questa obbedienza che Egli è stato Risuscitato per la Vita eterna e noi con Lui, se in Lui “rimaniamo”.
[vedi anche: Oltrepassamento della Mediator Dei da parte della Sacrosanctum Concilium]

* * *
Trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica

Alle dislocazioni dal dettato conciliare, che definisce le “cinque piaghe del Corpo Mistico”, Monsignor Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, aggiunge la nuova formulazione dell’Offertorio trasformato in berakàh ebraica.
Colpisce che quanto segue sia detto esplicitamente in un documento come una Esortazione Apostolica Post-Sinodale:
[…] È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria «esaltazione». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione.
È molto bello e vero, anche nelle esplicitazioni successive. Ma è stato espunto qualcosa di non secondario, perché prima che un dono a noi e, oltre che sacrificio di lode e ringraziamento, l’Eucaristia è l’unico Sacrificio di espiazione, propiziatorio di Cristo da Lui presentato, offerto al Padre.
Nessun documento conciliare autorizzava a operare tagli selvaggi all’Offertorio, sostituendo all’Hostia (vittima) pura santa e immacolata il “frutto della terra e del nostro lavoro”, trasformando così l’Offerta di Cristo alla quale uniamo la nostra offerta al Padre, in una berakah (preghiera di lode e benedizione) ebraica, che il Signore ha certamente pronunciato, ma che non è il punto focale della sua Azione, del Novum che egli ha introdotto nell’Ultima Cena.

Come dice Romano Amerio:
Poiché la parola consegue all’idea, la loro scomparsa [delle parole, nel nostro caso intere formule – ndA] arguisce scomparsa o quanto meno eclissazione di quei concetti un tempo salienti nel sistema cattolico. (Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni nella Chiesa Cattolica nel secolo XX, ed. Lindau, Torino 2009, pag. 103)
È successo, quindi, che nella Santa Messa cattolica, nel Nuovo Rito, la benedizione ebraica sostituisce quella che nel Rito secondo l'usus antiquior è l’Offerta cristiana.

Questo, come possiamo chiamarlo se non 'discontinuità'? E tanto più grave in quanto tocca il Rito, e lo de-forma, proprio nel preludio e nella preparazione in crescendo al suo momento più sacro e solenne. Ch’è anche il momento più sacro e solenne del Rito e della Storia.

Ricordando che funzione primaria della Chiesa è rendere l’autentico culto a Dio. Sorvolando sugli altri tagli non meno selvaggi operati al Rito Gregoriano: ad esempio tutti i riferimenti a S. Michele Arcangelo, alla Vergine e alla Comunione dei Santi. Sulle modifiche perfino alla formula consacratoria (oltretutto con accenti narrativi, mentre invece non è narrazione, ma è un fatto, Actio di Cristo. Vedi Cap. successivo). Sorvolando anche su alcune improprie traduzioni del messale latino di Paolo VI.

Sempre dalla Sacramentum caritatis, n.11
«...In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena (pasquale) sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L’antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum.» (Breviario Romano, Inno all’Ufficio delle Letture della solennità del Corpus Domini.)
E allora, a maggior ragione, che senso ha per noi, la berakah ebraica al posto dell’Offertorio?

Inoltre può ravvisarsi un pericolo teologico-sacramentale nell’assolutizzazione della “preghiera di benedizione” staccata dal suo oggetto (la benedizione è compresa nella formula di Consacrazione ed è un tutt’uno con essa: “benedixit... fregit... dedit” — Benedisse... spezzò... diede), che è quello di fare della Messa un memoriale nel senso di commemorazione o semplice  ricordo. Essa è invece zikkaron, nel senso del memoriale ebraico: rinnovamento, ripetizione, attualizzazione, cioè rende presente nell’hic et nunc di ogni celebrazione la realtà sacramentale del Sacrificio di Cristo, e non solo nella memoria per quanto viva e protesa nel ringraziamento a Dio.
E non si limita al ringraziamento per la Creazione, peraltro presente (con l’aggiunta della Redenzione) nel riconoscimento, che prelude la richiesta, espresso dalla seconda invocazione:
 «Deus, qui humanae substantiae dignititaem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti: da nobis per hujus aquae et vini mysterium, eius divinitates esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est p0articepos, Jesus Christus…/O Dio, che in modo mirabile creasti nello splendore della sua dignità la natura umana, e in modo ancor più mirabile le ridonasti nuova vita: per il mistero di quest’acqua e questo vino, concedici di partecipare alla divinità di colui che si è degnato di divenire partecipe della nostra natura umana, Gesù Cristo… ».
Del resto il ringraziamento per la Creazione ormai definitivamente redenta è ben presente anche nella conclusione del Canone:
«Per quem haec omnia, Domine, semper bona crèas, sanctificas, vivificas, benedicis et praestas nobis …/Mediante Lui, o Signore, Tu non cessi dal creare tutti questi beni e li santifichi, doni loro vita e li benedici per farcene dono… ».
Cito Manfred Hauke, in «La Santa Messa, Sacrificio della Nuova Alleanza»:
« Il sacerdote che celebra la Santa Messa in rito antico accoglie una consapevolezza più intensa della centralità del sacrificio. Per illustrare quest’affermazione, vorrei solamente ricordare le preghiere recitate a bassa voce durante l’offertorio sul pane e sul vino. Secondo la valutazione di Robert Spaemann, si tratta qui dell’intervento più radicale del Novus Ordo nella liturgia romana precedente. Nel rito di Paolo VI, le due preghiere si ispirano a delle formule ebraiche di ringraziamento per i pasti, aggiungendo molto discretamente l’idea dell’“offerta”: “lo presentiamo a te, perché diventi per noi “cibo di vita eterna” rispettivamente “bevanda di salvezza”. Nel testo latino, Paolo VI ha insistito di mettere il verbo offerimus (“offriamo”) contro la maggior parte dei liturgisti, che ritenevano di dover rimuovere l’idea del sacrificio dall’offertorio [es. Bugnini -ndR)]. È vero che il sacrificio vero e proprio si svolge durante la consacrazione, ma nei riti eucaristici l’idea del sacrificio viene già anticipata prima, nel rito di san Giovanni Crisostomo persino sin dalla proscomidia, quando si preparano le ostie all’inizio della Divina Liturgia».
Ecco cosa risponde il Vescovo Schneider a chi domanda lumi sull'offertorio antico, che viene tacciato di essere addirittura eteroclito:
«In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l’Offertorio è sempre stato legato all’attuazione del sacrificio del Golgotha. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrificio della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un’anticipazione simbolica».
L’Offertorio richiama tutti i sacrifici dell’Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. È una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l’Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.
Così come per Sant’Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell’Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l’Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza».

Se durante la Santa Messa, che è il Sacrificio della Croce, l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù e la loro mistica immolazione, avvengono insieme al momento della Consacrazione, è tuttavia necessario che il Sacerdote e i fedeli uniscano l’offerta di se stessi all’unica offerta gradita a Dio, quella di Gesù.
Perciò, nel rito della Messa, esistono momenti precedenti e successivi alla consacrazione nei quali si esprime l’offerta di Gesù al Padre e quella dei cristiani con lui.
L’Offertorio è sacrificale: quello che viene offerto è il Corpo e Sangue di Gesù, non il Pane e il Vino; è un’anticipazione per dare modo a tutti di unirsi all’Offerta di Gesù, è una preparazione che anticipa un crescendo.
L’Offertorio, nella sua primitiva accezione, aveva ben presente il Sacrificio come prolessi, cioè come anticipazione del Sacrificio a venire. Le oblate sono intimamente legate al Sacrificio. L’offertorio fa parte integrante dell’Actio del Canone, nel cuore della Santa Messa.
È innegabile, tuttavia, che la ‘forma’ ordinaria di fatto ha cambiato i connotati alle oblate ed estromesso il loro aspetto sacrificale.
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1. Il testo scaricabile era stato a suo tempo redatto come sussidio per la formazione nell'ambito dei Centri-Messa Summorum Pontificum o in altri contesti in cui si cerca di sviluppare una pastorale tradizionale.
Nel febbraio 2015 è stata pubblicata, per i tipi di Solfanelli, una edizione rivista e ampliata, aggiornata nel 2017 con gli eventi successivi alle dimissioni di Benedetto XVI. Dunque è diventato un saggio più consistente, adatto come approfondimento per chiunque. Anche i brani qui presentati risultano ampliati.

« La questione liturgica. Il Rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae dal Concilio Vaticano II all'eppoca dei 'due Papi' »,  Solfanelli 2017, pag.168, Euro 13 - Si trova nelle librerie. - Si può acquistare qui

Foto del giorno e una piccola curiosità

Dal blog francese Benoit et moi by Blog di Raffaella:

Da 8 anni, un editore tedesco cura uno splendido calendario dedicato a Benedetto XVI. Ogni settimana è illustrata da una foto di Benedetto accompagnata da un suo breve testo... [Il blogger pubblica la copertina del 2013 e una pagina di agosto.]
Questo il sito internet tedesco.

È acquistabile on line, per chi comprende il tedesco... Constato con piacere che sarà disponibile il calendario 2014.
(cfr foto a destra verificabile dal link sopra)

Si tratta di un autentico piccolo libro di 52 pagine, una per settimana. Ogni foto è un pensiero di Benedetto XVI valido per alimentare la riflessione. È in tedesco, ma poiché se ne dà la fonte, è facile trovare il testo nella propria lingua sul sito del Vaticano.
[Traduzione a cura di Chiesa e postconcilio]

Non posso fare a meno di pubblicare le tre splendide pagine che seguono: