Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 13 agosto 2013

Enfasi su una nuova concezione del “Mistero pasquale”


Approfitto per inserire uno stralcio dal mio piccolo saggio sulla Questione liturgica, [scaricabile da qui in formato pdf] (1), mossa da un commento su MiL, cui nessuno replica, che vorrebbe insegnarci ancora una volta questa, spacciata come neo-verità proclamata con grande enfasi: « Il problema è che lei dimentica che la Messa è celebrazione della Pasqua del Signore, quindi della sua morte e anche della sua risurrezione ». Come se la nostra Messa Romana antica non celebrasse la Pasqua del Signore e quindi anche la Sua Risurrezione. È dunque necessario rimediare all'ignoranza incolpevole di chi, nato dopo il concilio, non sa che la nostra Santa Messa, che riattualizza il Santo Sacrificio, cos'altro è se non la celebrazione della Pasqua del Signore, così come proprio Lui ce l'ha consegnata durante l'Ultima Cena? Non è forse soltanto in virtù del Sacrificio che la Santa Messa può diventare anche banchetto escatologico, col ricevere in noi nel Corpo Sangue Anima e Divinità del Signore, l'Agnello immolato ora glorioso?
Di seguito trovate : La trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica

Enfasi su una nuova concezione del “Mistero pasquale”

Sia negli antichi Sacramentari che nel Messale di San Pio V non risulta alcun particolare senso teologico attribuito all'espressione mistero pasquale, apparsa con particolare accentuazione in Le mistère Pascal (1945) di Louis Buyer, che nel Vaticano II è divenuta "il centro di tutta la liturgia"(Annibale Bugnini, La rivoluzione liturgica, Roma 1983) o "vertice della rivelazione dell'inscrutabile mistero di Dio" (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 1980)
E oggi molti novatori affermano che la “teologia del mistero pasquale” è l’anima della riforma liturgica postconciliare.
Ebbene, la “teologia del mistero pasquale” è l'anima della fede cattolica, non della riforma postconciliare. Infatti, il mistero Pasquale è la Passione-Morte-Risurrezione del Signore. La riforma post-conciliare in parte, la teologia neocatecumenale in maniera ancor più luterana, ha posto l'accento solo sulla Risurrezione, con il pretesto che la visione di Trento era troppo “doloristica” e si metteva troppo l'accento sulla Croce. Questo è un inganno: la Croce è una Realtà ineludibile, vera Pasqua=‘passaggio’ verso la Risurrezione, perché rappresenta il fiat di Cristo Signore alla volontà del Padre, quell'obbedienza piena e libera, che ha cancellato un primigenio terribile non serviam e la tragica disobbedienza del primo Adamo e ha permesso il ricongiungimento al Padre dell’umanità redenta. 
E la S. Messa è la ri-presentazione incruenta al Padre del Sacrificio del Figlio, che si trasforma, alla comunione, in banchetto escatologico.

Quindi la liturgia non è né la festa della comunità né azione dell'assemblea, ma Azione teandrica (divino umana) di Cristo Signore che il sacerdote compie in persona Christi così come Lui ce l'ha consegnata nell'ultima Cena fino alla fine dei tempi. Certamente c'è anche la partecipazione del credente col suo “sacerdozio battesimale”, ben distinto tuttavia sia in grado che in essenza, da quello ordinato (Lumen Gentium, 10). Elemento fondante e fondamentale, ontologico, che pare non essere chiaro, o forse peggio non vuole essere chiaro a chi, oggi, sembra a volte negare (con conio tutto conciliare)  la distinzione teologica ed escatologica tra i battezzati che partecipano al sacerdozio regale di Cristo, ed i battezzati consacrati col Sacramento dell’Ordine, i soli che, per mistero di grazia, partecipano invece al sacerdozio ministeriale di Cristo.

La Chiesa non ha mai messo l'accento solo sulla Croce, come sostengono i falsi profeti. Semmai possono averlo fatto alcune spiritualità che si sono soffermate su singoli momenti della Passione del Signore; ma è solo una accentuazione di qualche congregazione religiosa che ne rappresenta il carìsma, che per alcuni e in alcuni casi può essere diventata una devozione non equilibrata col rischio di scadere nel devozionismo, da cui tuttavia la Chiesa ha sempre insegnato a rifuggire.

Parlare di mistero pasquale, quindi, non è prerogativa del concilio, perché è il nucleo portante della nostra Fede. Prerogativa di un improprio e sviato e sviante “spirito del concilio”, invece, è parlare di mistero pasquale mettendo l’accento solo sulla Risurrezione e trasformando il Sacrificio-convivio in convivio-e-basta, tant'è che si sono aboliti gli Altari per sostituirli con delle ‘mense’.

L’offertorio, completamente abolito, è diventato - come già sottolineato - una berakàh ebraica (vedi di seguito) e manca il totale dono di noi stessi, l’Offerta, tutto consegnato al Signore che si consegna per la nostra Redenzione. Nell’antico Canone si offre l’Hostia pura santa e anche l’assemblea si riallaccia alla sorgente. Già è così nel VI secolo, anzi fin dal tempo Apostolico il Culto si attua nel contesto di un pasto, ma è una celebrazione a parte che nei secoli si è affinata per divenire la meraviglia che ancora abbiamo.

Il culto cattolico deriva dal culto ebraico del Tempio di Gerusalemme che nel 70 d.C. fu distrutto. La Liturgia della Parola viene dalla liturgia sinagogale. Lo stesso Gregoriano ha conservato dei suoni più fedeli alle antiche salmodie degli attuali canti sinagogali. L’Eucaristia è il Novum introdotto dal Signore.

L'ebraismo talmudico nato a Yavne dal giudaismo farisaico, dopo la distruzione di Gerusalemme (e del Tempio) nel ’70 c.C., è quello spurio. Non c'è più né tempio, né vittima né sacrificio: il nuovo Tempio è Cristo e la Sua Chiesa, l'unica Nuova ed Eterna Alleanza è quella nel Sangue prezioso di Cristo Signore! 
Solo il Sacerdote poteva offrire la “vittima” solo lui poteva sacrificarla, solo lui poteva immolarla, solo lui poteva toccarla... solo lui poteva “mangiarla”.

Ora, in virtù del nostro battesimo, del sacerdozio “comune” noi ora possiamo partecipare della “vittima”, ma non possiamo sacrificare perché solo il un Sacerdote poteva.
Il boccone che il sacerdote offre è quindi un privilegio tutto cristiano, istituito dal Signore stesso, e il fedele ben si guardava dal toccare con le sue mani “non monde” (non sante, non consacrate) la vittima!
Era un abominio solo il pensiero di poter toccare l'oblata!

Le stesse preghiere dell'“Introibo ad Altare Dei” sono come i salmi delle ascensioni. Come già sottolineato, i gradini su cui è posto l'Altare rappresentano il calvario... quando il sacerdote lascia cadere la ‘vittima’ sul corporale lo fa sotto il crocifisso posto sull'altare, come se fosse una “deposizione” dalla croce... lo svolgersi della celebrazione è tutto un crescendo, ma il sacrificio eucaristico inizia già nell'Offertorio, che non è un retaggio pagano, come insegnano falsi profeti recentemente inopinatamente approvati, ma il culmine dell'obbedienza del Nuovo Adamo, cioè del Signore Gesù ed è per questa obbedienza che Egli è stato Risuscitato per la Vita eterna e noi con Lui, se in Lui “rimaniamo”.
[vedi anche: Oltrepassamento della Mediator Dei da parte della Sacrosanctum Concilium]

* * *
Trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica

Alle dislocazioni dal dettato conciliare, che definisce le “cinque piaghe del Corpo Mistico”, Monsignor Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, aggiunge la nuova formulazione dell’Offertorio trasformato in berakàh ebraica.
Colpisce che quanto segue sia detto esplicitamente in un documento come una Esortazione Apostolica Post-Sinodale:
[…] È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria «esaltazione». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione.
È molto bello e vero, anche nelle esplicitazioni successive. Ma è stato espunto qualcosa di non secondario, perché prima che un dono a noi e, oltre che sacrificio di lode e ringraziamento, l’Eucaristia è l’unico Sacrificio di espiazione, propiziatorio di Cristo da Lui presentato, offerto al Padre.
Nessun documento conciliare autorizzava a operare tagli selvaggi all’Offertorio, sostituendo all’Hostia (vittima) pura santa e immacolata il “frutto della terra e del nostro lavoro”, trasformando così l’Offerta di Cristo alla quale uniamo la nostra offerta al Padre, in una berakah (preghiera di lode e benedizione) ebraica, che il Signore ha certamente pronunciato, ma che non è il punto focale della sua Azione, del Novum che egli ha introdotto nell’Ultima Cena.

Come dice Romano Amerio:
Poiché la parola consegue all’idea, la loro scomparsa [delle parole, nel nostro caso intere formule – ndA] arguisce scomparsa o quanto meno eclissazione di quei concetti un tempo salienti nel sistema cattolico. (Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni nella Chiesa Cattolica nel secolo XX, ed. Lindau, Torino 2009, pag. 103)
È successo, quindi, che nella Santa Messa cattolica, nel Nuovo Rito, la benedizione ebraica sostituisce quella che nel Rito secondo l'usus antiquior è l’Offerta cristiana.

Questo, come possiamo chiamarlo se non 'discontinuità'? E tanto più grave in quanto tocca il Rito, e lo de-forma, proprio nel preludio e nella preparazione in crescendo al suo momento più sacro e solenne. Ch’è anche il momento più sacro e solenne del Rito e della Storia.

Ricordando che funzione primaria della Chiesa è rendere l’autentico culto a Dio. Sorvolando sugli altri tagli non meno selvaggi operati al Rito Gregoriano: ad esempio tutti i riferimenti a S. Michele Arcangelo, alla Vergine e alla Comunione dei Santi. Sulle modifiche perfino alla formula consacratoria (oltretutto con accenti narrativi, mentre invece non è narrazione, ma è un fatto, Actio di Cristo. Vedi Cap. successivo). Sorvolando anche su alcune improprie traduzioni del messale latino di Paolo VI.

Sempre dalla Sacramentum caritatis, n.11
«...In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena (pasquale) sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L’antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum.» (Breviario Romano, Inno all’Ufficio delle Letture della solennità del Corpus Domini.)
E allora, a maggior ragione, che senso ha per noi, la berakah ebraica al posto dell’Offertorio?

Inoltre può ravvisarsi un pericolo teologico-sacramentale nell’assolutizzazione della “preghiera di benedizione” staccata dal suo oggetto (la benedizione è compresa nella formula di Consacrazione ed è un tutt’uno con essa: “benedixit... fregit... dedit” — Benedisse... spezzò... diede), che è quello di fare della Messa un memoriale nel senso di commemorazione o semplice  ricordo. Essa è invece zikkaron, nel senso del memoriale ebraico: rinnovamento, ripetizione, attualizzazione, cioè rende presente nell’hic et nunc di ogni celebrazione la realtà sacramentale del Sacrificio di Cristo, e non solo nella memoria per quanto viva e protesa nel ringraziamento a Dio.
E non si limita al ringraziamento per la Creazione, peraltro presente (con l’aggiunta della Redenzione) nel riconoscimento, che prelude la richiesta, espresso dalla seconda invocazione:
 «Deus, qui humanae substantiae dignititaem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti: da nobis per hujus aquae et vini mysterium, eius divinitates esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est p0articepos, Jesus Christus…/O Dio, che in modo mirabile creasti nello splendore della sua dignità la natura umana, e in modo ancor più mirabile le ridonasti nuova vita: per il mistero di quest’acqua e questo vino, concedici di partecipare alla divinità di colui che si è degnato di divenire partecipe della nostra natura umana, Gesù Cristo… ».
Del resto il ringraziamento per la Creazione ormai definitivamente redenta è ben presente anche nella conclusione del Canone:
«Per quem haec omnia, Domine, semper bona crèas, sanctificas, vivificas, benedicis et praestas nobis …/Mediante Lui, o Signore, Tu non cessi dal creare tutti questi beni e li santifichi, doni loro vita e li benedici per farcene dono… ».
Cito Manfred Hauke, in «La Santa Messa, Sacrificio della Nuova Alleanza»:
« Il sacerdote che celebra la Santa Messa in rito antico accoglie una consapevolezza più intensa della centralità del sacrificio. Per illustrare quest’affermazione, vorrei solamente ricordare le preghiere recitate a bassa voce durante l’offertorio sul pane e sul vino. Secondo la valutazione di Robert Spaemann, si tratta qui dell’intervento più radicale del Novus Ordo nella liturgia romana precedente. Nel rito di Paolo VI, le due preghiere si ispirano a delle formule ebraiche di ringraziamento per i pasti, aggiungendo molto discretamente l’idea dell’“offerta”: “lo presentiamo a te, perché diventi per noi “cibo di vita eterna” rispettivamente “bevanda di salvezza”. Nel testo latino, Paolo VI ha insistito di mettere il verbo offerimus (“offriamo”) contro la maggior parte dei liturgisti, che ritenevano di dover rimuovere l’idea del sacrificio dall’offertorio [es. Bugnini -ndR)]. È vero che il sacrificio vero e proprio si svolge durante la consacrazione, ma nei riti eucaristici l’idea del sacrificio viene già anticipata prima, nel rito di san Giovanni Crisostomo persino sin dalla proscomidia, quando si preparano le ostie all’inizio della Divina Liturgia».
Ecco cosa risponde il Vescovo Schneider a chi domanda lumi sull'offertorio antico, che viene tacciato di essere addirittura eteroclito:
«In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l’Offertorio è sempre stato legato all’attuazione del sacrificio del Golgotha. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrificio della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un’anticipazione simbolica».
L’Offertorio richiama tutti i sacrifici dell’Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. È una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l’Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.
Così come per Sant’Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell’Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l’Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza».

Se durante la Santa Messa, che è il Sacrificio della Croce, l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù e la loro mistica immolazione, avvengono insieme al momento della Consacrazione, è tuttavia necessario che il Sacerdote e i fedeli uniscano l’offerta di se stessi all’unica offerta gradita a Dio, quella di Gesù.
Perciò, nel rito della Messa, esistono momenti precedenti e successivi alla consacrazione nei quali si esprime l’offerta di Gesù al Padre e quella dei cristiani con lui.
L’Offertorio è sacrificale: quello che viene offerto è il Corpo e Sangue di Gesù, non il Pane e il Vino; è un’anticipazione per dare modo a tutti di unirsi all’Offerta di Gesù, è una preparazione che anticipa un crescendo.
L’Offertorio, nella sua primitiva accezione, aveva ben presente il Sacrificio come prolessi, cioè come anticipazione del Sacrificio a venire. Le oblate sono intimamente legate al Sacrificio. L’offertorio fa parte integrante dell’Actio del Canone, nel cuore della Santa Messa.
È innegabile, tuttavia, che la ‘forma’ ordinaria di fatto ha cambiato i connotati alle oblate ed estromesso il loro aspetto sacrificale.
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1. Il testo scaricabile era stato a suo tempo redatto come sussidio per la formazione nell'ambito dei Centri-Messa Summorum Pontificum o in altri contesti in cui si cerca di sviluppare una pastorale tradizionale.
Nel febbraio 2015 è stata pubblicata, per i tipi di Solfanelli, una edizione rivista e ampliata, aggiornata nel 2017 con gli eventi successivi alle dimissioni di Benedetto XVI. Dunque è diventato un saggio più consistente, adatto come approfondimento per chiunque. Anche i brani qui presentati risultano ampliati.

« La questione liturgica. Il Rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae dal Concilio Vaticano II all'eppoca dei 'due Papi' »,  Solfanelli 2017, pag.168, Euro 13 - Si trova nelle librerie. - Si può acquistare qui

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Dite quello che volete ma questo articolo di Magdi Allam non fa una piega.

http://www.ilgiornale.it/news/interni/i-fratelli-islamici-papa-francesco-uccidono-i-cristiani-942857.html

Anonimo ha detto...

Forse le persone non sono tutte irreggimentate..

Vale la pena leggere i commenti dei lettori a quell'articolo

Osservatore ha detto...

In un articolo del genere questi OT non li avrei lasciati passare.

Anonimo ha detto...

Osservatore (conosciuto o sconosciuto?),
perché non ci regala qualcuna delle sue osservazioni su questo articolo?

rocco ha detto...

due cose : il discorso sulla pasqua e' quello che fanno i neocat alle catechesi.

e che poi "Mons. Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, aggiunge la nuova formulazione dell’Offertorio trasformato in berakàh ebraica" non mi stupisce...proprio il kazastan, e non parlo delle ultime vicende politiche, ma in generale di cosa e' oggi il kazastan e della sua capitale, disegnata e costruita come un tempio massonico.

diciamo che si va di male in peggio...

Anonimo ha detto...

"Mons. Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, aggiunge la nuova formulazione dell’Offertorio trasformato in berakàh ebraica"

Rocco, Mons. Schneider (c'è il link allo stupendo intervento che ho tradotto a suo tempo) la definisce una delle cinque piaghe del corpo mistico di Cristo... Ed è uno dei pochi vescovi che amano la Tradizione e celebra il VO. Lo stesso che crede possibile la lettura in continuità del concilio, ma invoca un nuovo Sillabo per dichiararla...

rocco ha detto...

allora non ci ho capito nulla! mi rileggo tutto!

pardon! grazie mic!

rocco ha detto...

avevo capito che fu il monsignor Shnaider ad oprerare i cambiamenti...

ma allora " È tutto molto bello e vero, anche nelle esplicitazioni successive. Ma è stato espunto qualcosa di non secondario, perché prima che un dono a noi, l'Eucaristia è l'unico Sacrificio di espiazione e propiziatorio di Cristo da Lui presentato, offerto al Padre.

E nessun documento conciliare autorizzava a operare tagli selvaggi all'Offertorio, sostituendo all'Hostia (vittima) pura santa e immacolata il “frutto della terra e del nostro lavoro”, trasformando così l'Offerta di Cristo alla quale uniamo la nostra offerta al Padre, in una berakah (preghiera di lode e benedizione) ebraica, che il Signore ha certamente pronunciato, ma che non è il punto focale della sua Azione, del Novum che egli ha introdotto nell'Ultima Cena."

allora faccio un'altra domanda: il cambiamento a chi va imputato?

Anonimo ha detto...

La riforma liturgica di Paolo VI si discosta dalla SC
- nella celebrazione versus populum
- nella comunione sulla mano
- nella eliminazione totale (e non solo in alcune parti) del latino e fel gregoriano
- l'estensione oltre ad ogni limite della facoltà di concelebrare
- lo scempio dell'Offertorio
solo per accennare alcuni elementi.
Ed è ben noto che ad essa hanno partecipato attivamente sei protestanti con la guida di un massone (Bugnini)...

Anonimo ha detto...

Romano dice,

Mic, si trova la radice del nuovo concezione della messa negli scritti di Dom Odo Casel, OSB, che proponeva un teoria neo-pagana di presenza in mistero che, ormai, ha estinto nelle anime di molti vescovi la vera dottrina cattolica sacramentale...

Luisa ha detto...



" La riforma liturgica di Paolo VI si discosta dalla SC ..."-

-La Comunione presa in piedi e sulla mano,
-il ruolo onnipresente dei laici,
-l`altare trasformato in tavola e spostato sempre più vicino all`"assemblea", l`altare che lascia il presbiterio per scendere fra i fedeli e diventare una tavola,( quanti stupendi altari a muro sono stati distrutti!),
-lo spazio sacro invaso, spostato, calpestato,
-il segno della pace...
-il termine: "presiede " la liturgia.
E si potrebbe continuare, la Liturgia è diventata un oggetto manipolabile a piacimento.

Già la lettura del libro di Bugnini sulla riforma liturgica è fonte di rabbia e dolore, nel vedere come quei poco saggi (avallati da Paolo VI) si sono allontanati dalla SC, approffittando del più piccolo spiraglo che permettesse un`interpretazione allargata, introducendo anche novità non previste, ma ai tradimenti del Consilium si sono aggiunte tutte le invenzioni dei singoli, che siano sacerdoti,animatori liturgici o iniziatori di movimenti, il duo Arguello-Hernandez ha addirittura inventato, non di sana pianta, una"liturgia" ad hoc per le comunità che stavano nascendo e che si sono diffuse in seguito grazie all`abile sistema delle catechesi, il tutto con l`avallo e l`incoraggiamento dei "custodi" della Liturgia.
Custodi della Liturgia?
Sarebbe interessante guardare più da vicino chi è stato dopo il CVII, prefetto della Congregazione del Culto Divino e la storia stessa di quella Congregazione.

Anonimo ha detto...

Caro Romano,
riporto qui quanto ho scritto nella nota ad una confutazione di Matia Augé (qui all'aspetto della sua critica all'individualismo preconciliare)
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1. Ciò è in sintonia anche con gli sviluppi della teologia di Odo Casel e del movimento liturgico dell'epoca che vede nell'"Ecclesia come convocazione di una Assemblea viva" il superamento dell'individualismo liberale ottocentesco e la riscoperta del mistero della Chiesa. Molto rivelatrice la seguente affermazione : "Così l'intera Chiesa e tutti i suoi ordini hanno collaborato all'adornamento liturgico del mistero, ciascuno a proprio modo, secondo il proprio carisma, tutti basati sul fondamento della propria interiore partecipazione alla liturgia misterica [...] da ciò deriva che la Chiesa tutta quanta, e non soltanto il clero, deve partecipare attivamente alla liturgia. Ciascuno conformemente al sacro ordinamento, nel grado e nella misura per lui stabiliti, al posto a lui assegnato. Tutte le membra sono collegate in modo fisico-sacramentale con il capo che è Cristo. Ogni credente, a motivo del carattere sacramentale ricevuto con il Battesimo e con la Cresima, prende parte al sacerdozio di Cristo". Ma ciò, che è cosa buona e giusta, nelle applicazioni concrete ha portato ad enfatizzare il sacerdozio battesimale del credente - ben distinto sia per grado che per essenza da quello ordinato (Lumen Gentium 10) - e la focalizzazione dell'attenzione sulla comunità e dunque sull'Assemblea. Il che è avvenuto anche per superare la devozione individuale (vedendone solo l'aspetto individualista e non anche la dimensione comunitaria) di cui si dà arbitrariamente per scontata la degenerazione in devozionismo. Ciò, nelle conseguenze applicate, è avvenuto a discapito della Comunione dei Santi e della dimensione metafisica, come se il fedele che non abbia accesso ad una dimensione comunitaria concreta - nel senso attuale di comunità di base o in un movimento - non possa vivere una vera esperienza di fede. Per recuperare la fede viva (e non intellettuale) e la devozione autentica nonché il valore del sacerdozio battesimale, non c'era bisogno di sovvertire la liturgia; sarebbe bastata un'efficace catechesi. Il problema è che è cambiata l'ecclesiologia e la teologia che la sottende, per effetto dell'orizzontalismo antropocentrico, che alla fine il senso del mistero lo ha perso.

Anonimo ha detto...

Romano dice,

Sono d'accordo, Mic.

è per questo motivo la cancellazione dei ordini minori fu NECESSARIO al rivoluzione per spostare l'azione liturgico dal clergo agli laici...

Anonimo ha detto...

è per questo motivo la cancellazione dei ordini minori fu NECESSARIO al rivoluzione per spostare l'azione liturgico dal clergo agli laici...

Infatti è stato proprio Paolo VI con la "Ministeria quaedam" a trasformare in "ministeri" gli "ordini minori (quelli del servizio all'altare che la tradizione assimilava a quello dei leviti = gli aggiunti, aiutanti... proprio per darvi accesso ai laici.

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2011/11/il-rito-latino-nella-sua-forma.html

rocco ha detto...

grazie a mic e a luisa , sono precisazioni preziose per me . schematiche e chiare , che lasciano poco spazio a congetture.

luigic ha detto...

Ho letto il saggio. Complimenti. Mi è piaciuto e mi ha dato molti spunti di riflessione.
Luigi C

Anonimo ha detto...

Ne sono felice, Luigi C.
Grazie per la condivisione. È tanto che non ti incontravo :)