Per una rinascita del sacramento della penitenza
Una tra le conseguenze poco evidenziate del grande sconvolgimento seguito al concilio Vaticano II è il crollo nella pratica della confessione. Il fenomeno la dice lunga circa l’eliminazione del senso del peccato e più in generale circa la trasformazione del cattolicesimo, almeno per quanto riguarda la sua percezione da parte di coloro che vi aderiscono. Un ritorno sarà su questo punto tanto necessario quanto difficile per la pastorale, che dovrà attuare un’autentica riforma della Chiesa.
Breve storia della “seconda penitenza” dopo il battesimo
La proclamazione Sancta sanctis, «Le cose sante ai santi!», che si trova nel capitolo VIII delle Costituzioni apostoliche, redatte verso la fine del IV secolo, esiste oggi nella maggior parte delle liturgie orientali (ed anche nella liturgia mozarabica), per ricordare l’obbligo della purezza di coscienza nell’accostarsi alla comunione.
È certamente opportuno ricontestualizzare l’analisi di tale fenomeno nella storia di questo sacramento. Ciò mostra una tensione continua tra la necessità di una seria conversione – e quindi della verifica da parte del sacerdote, per quanto possibile, circa la veridicità della ferma intenzione (ovvero del convinto proposito di non ricadervi) per dare l’assoluzione -, da una parte, e, dall’altra, l’importanza pastorale di renderla accessibile al maggior numero di cristiani, affinché possano beneficiare di tale purificazione. Ciò si è manifestato col passaggio da una confessione rarissima al suo moltiplicarsi nel corso della vita, dalla penitenza pubblica a quella privata.
Infatti, la «seconda penitenza» (Tertulliano, De pænitentia), per venire purificati dai peccati commessi dopo il battesimo, si realizzava attraverso una gravosa penitenza pubblica, un lungo periodo d’espiazione dei peccati gravi (adulterio, omicidio, rinnegamento della fede), che terminava con una riconciliazione compiuta dal vescovo. Ma nel VI secolo i monaci irlandesi, sbarcati sul continente, vi importarono la pratica della penitenza privata, frequentemente rinnovabile, versione per laici di un’usanza monastica, con penitenze ascetiche o equivalenti (messe, ad esempio). Un movimento spirituale d’interiorizzazione della religione, in particolare negli Ordini mendicanti, rappresentò un terreno favorevole per la diffusione della confessione frequente, accompagnata per i fedeli più ferventi dalla direzione spirituale, pur consci del fatto che la comunione frequente, a quel tempo, fosse rara.
Il IV concilio Laterano, nel 1215, impose a tutti i laici, giunti all’età del giudizio o all’età della ragione (età, in cui si distingue il bene dal male), la confessione annuale e la comunione pasquale annuale, ciascuno nella propria parrocchia. Di fatto, ciò equivalse ad imporre una confessione in periodo pasquale seguita dalla comunione – atti sacramentali descritti dall’espressione «celebrare la Pasqua» -, poiché il concilio Laterano consacrava la confessione auricolare (all’orecchio del sacerdote) in luogo della confessione pubblica, che tuttavia mantenne a lungo dei sostenitori. Il concilio di Trento confermò la disciplina del Laterano IV, nel clima di contestazione del sacramento della penitenza provocato dal protestantesimo.
Dopo il concilio di Trento e fino all’inizio del XIX secolo, la lunga disputa tra rigoristi e molinisti, diffusasi in particolare in Francia ed in Italia, dimostrò ancora una volta la tensione sussistente tra questi due poli pastorali. Le massime gallicane e gianseniste prescrivevano di rinviare spesso l’assoluzione per assicurarsi che il penitente recidivo fosse pentito (dopo aver confessato i peccati gravi al confessore, il penitente doveva sforzarsi di non commetterli più e tornare dinanzi al confessore più tardi per ricevere l’assoluzione). Sant’Alfonso de’ Liguori, nel XVIII secolo, formato dai gesuiti, può essere considerato come il grande esponente della morale romana, che, senza essere lassista, si guardava da un rigorismo, tale da far rifuggire dal sacramento. Nel XIX secolo, la morale rigorista perse inoltre terreno all’interno di un vasto movimento favorevole all’ultramontanismo (ecclesiologia, liturgia, ben presto filosofia neotomista e morale). Così il Curato d’Ars, confessore per eccellenza, passò nel corso della sua carriera pastorale dalla severità alla francese al liguorismo. Benché il rinvio imposto per ottenere l’assoluzione fosse divenuto raro, ci si rifiutava tuttavia di assolvere. Si organizzavano luoghi e tempi per le confessioni, come le missioni parrocchiali ed i santuari per i pellegrinaggi.
Ma la bilancia della teologia morale, pendendo in modo diverso a seconda delle epoche e delle scuole tra l’esigenza del fermo proposito e l’accondiscendenza (per non spegnere lo stoppino ancora fumante), è stata puramente e semplicemente svuotata, poiché in virtù delle teorie permissiviste della «gradualità» per uscire dal peccato o dell’«accompagnamento» del peccatore verso questa (teorica) uscita progressiva (ad esempio dal ricorso alla contraccezione, dall’adulterio consacrato dal «risposarsi» dopo il divorzio), il fermo proposito è per definizione inesistente.
La confessione, un impegno sacerdotale un tempo considerevole
Fino al Vaticano II, nei seminari la formazione per la confessione ricopriva un posto importante. Corrispondeva all’impegno considerevole che questo sacramento rappresentava nella vita dei preti di parrocchia. Sorvolando sulle folle permanenti di penitenti nei luoghi di pellegrinaggio, come nella cappella delle confessioni a Lourdes, anche davanti ai confessionali, oggi inutilizzati, di tutte le chiese si formavano file di penitenti, dal momento stesso in cui vi si trovasse un confessore. Alla vigilia delle festività e soprattutto quando si avvicinava la Pasqua, si trascorrevano giornate intere ad ascoltare penitenti. Le missioni parrocchiali, come abbiamo detto in un precedente articolo, cominciavano con una predicazione, che invitava a «grandi riflessioni» sulla morte, sui fini ultimi, sul peccato. Poi, per giornate intere, si ascoltavano le confessioni dei parrocchiani, peraltro invitati a fare confessioni generali sull’intera loro vita[1]. In una società, in cui la stragrande maggioranza era stata catechizzata durante l’infanzia, le conversioni dei non credenti si manifestavano essenzialmente con una confessione, con cui rompevano con la loro vecchia vita[2].
Gli Anni Cinquanta del XX secolo, anni di grande turbolenza nella Chiesa, furono anche, paradossalmente, quelli caratterizzati da una pratica sacramentale più intensa. In Francia, le indagini condotte dal canonico Fernand Boulard[3] mostravano come il 43% soltanto dei Francesi celebrasse all’epoca la Pasqua, ma anche come si stesse verificando una certa ripresa, soprattutto a causa della diffusione della comunione tra coloro che, in certe regioni, vi erano rimasti refrattari. Soprattutto in quanto gli appelli di san Pio X alla comunione frequente (decreto Sacra tridentina del 20 dicembre 1905) sono stati ascoltati in modo ben più ampio grazie all’alleviamento della disciplina del digiuno eucaristico compiuto da Pio XII (non più digiuno dalla mezzanotte, bensì di tre ore per i cibi solidi e per le bevande alcooliche e di un’ora per le bevande non alcooliche[4]).
Il cataclisma
«Nella Chiesa la confessione ha rappresentato una caduta libera e senza paracadute. Questa caduta non è stata riscontrata in nessun altro ambito, né per l’Eucarestia, né per la fede», scriveva un cappellano di Azione Cattolica, superiore di un grande seminario, in un dossier apparso sul Pèlerin [Il Pellegrino-NdT] del 3 novembre 1974, citato da Guillaume Cuchet[5], secondo il quale «la crisi della confessione è uno degli aspetti più rivelatori e più sorprendenti della “crisi cattolica” degli anni 1865-1978».
Si riferisce ai tre sondaggi, di cui si dispone in materia, il primo realizzato dall’Ifop nel 1952, il secondo da Sofres nel 1974 e l’ultimo, sempre da Sofres, nel 1983:
Nel 1952, il 51% degli adulti cattolici dichiarava di confessarsi almeno una volta all’anno; di questi il 15% di coloro che potevano essere definiti penitenti frequenti si confessava una volta al mese e, tra questi, il 2% lo faceva ogni settimana.Nel 1974 solo il 29% si confessava una volta all’anno, mentre i penitenti frequenti erano praticamente scomparsi (1%).Nel 1983, gli «annuali» erano precipitati al 14%.
Ciò ha costituito una spaccatura brutale: mentre andava esaurendosi il flusso dei penitenti ordinari, il gruppo dei penitenti frequenti, cattolici che costituivano il cuore della Chiesa, praticamente era scomparso.
La pratica delle «cerimonie penitenziali» (un certo numero delle quali seguite dalle assoluzioni collettive, che, secondo la dottrina classica, vengono riservate a situazioni di grave pericolo di morte, con la riserva di confessare in seguito i propri peccati, nel caso si riesca a scampare) ha pure contribuito a disamorare i fedeli dall’abitudine alla confessione individuale. L’Ordo pænitentiæ del 1974, poi il canone 961 hanno cercato di controllare questa evoluzione: la celebrazione penitenziale con assoluzione collettiva richiede uno stato di necessità grave, che giudica il vescovo diocesano in accordo con la Conferenza episcopale. In molti luoghi, essa è divenuta tutto quanto rimane della pratica del sacramento della penitenza.
Certo, nel suo motu proprio Misercordia Dei del 7 aprile 2002, Giovanni Paolo II ha cercato di reagire: «Il grande afflusso di penitenti non costituisce di per sé una necessità sufficiente» (n. 4). È del resto probabile che i cattolici, che hanno risposto ai sondaggi del 1974 e del 1983, ritenessero, ricorrendo a tali pratiche, di essersi confessati.
Ma se la confessione è in tal modo scomparsa dalla vita dei cattolici, la comunione s’è d’altro canto diffusa al punto che in una messa «ordinaria», nel rito di Paolo VI, la quasi totalità dei presenti si comunica, ivi comprese le cerimonie, in cui è evidente la presenza di numerosi praticanti alquanto occasionali. In realtà, il capitolo VIII d’Amoris lætitia, riguardante i divorziati «risposati», oppure il documento del 22 febbraio 2018, approvato dalla maggioranza dei vescovi tedeschi per consentire agli sposi di matrimoni confessionali misti di partecipare insieme all’Eucaristia, non fanno che seguire e consacrare quanto viene praticato tranquillamente dalla base. Il cardinale Vingt-Trois, che ha sfoggiato una critica sommessa ad Amoris lætitia, l’ha evidenziato con il proprio umorismo sarcastico: «Poiché l’Eucaristia è un pasto, bisogna pure che coloro che vi partecipano mangino».
Una risalita necessaria ed ardua, penitenziale
Eppure, v’è sempre in un certo numero di chiese, almeno nei grandi agglomerati, una presenza continua di sacerdoti, che permettono di confessarsi, a volte anche, come a Parigi a Saint-Louis-d’Antin, diversi confessori svolgono un’attività sacramentale continua. Non v’è dubbio che i «nuovi preti» stanno compiendo degli sforzi per spingere a ritrovare il cammino verso il sacramento della penitenza.
Ma il problema pastorale resta gigantesco e non cessa d’accrescersi in proporzione all’aumento dell’ignoranza catechistica dei cattolici. È necessario ricostruire la pratica sacramentale dei cattolici, che resteranno in una Chiesa numericamente alquanto ridotta. Il ritorno alla pratica del sacramento della penitenza sarà certamente una delle vie attraverso cui riedificare il popolo cristiano.
Una delle difficoltà sarà questa: potrà sembrare «rigorista» far recuperare l’abitudine di partecipare alla messa senza comunione automatica (in particolare, forse, ristabilendo un digiuno eucaristico più esigente), così come far in modo che si assicuri una sorveglianza del rito della comunione durante le cerimonie, i funerali ed i matrimoni, ciò che riunisce un gran numero di non-praticanti o di non credenti, convinti che la comunione sia un rito inevitabile alla stregua dell’aspersione della bara con acqua benedetta.
Si tratta di una vera e propria scossa elettrica, che dovrà essere prodotta con una predicazione gerarchica forte e di ampio respiro da vescovi riformatori, in modo che si possa in seguito organizzare, sul campo, una catechesi adeguata.
Don Claude Barthe_________________________
[1] Predicare e catechizzare sui fini ultimi – Res Novae.
[2] Cfr, Frédéric Gugelot, La Conversion des Intellectuels au Catholicisme en France, 1885-1935 [La Conversione degli Intellettuali al Cattolicesimo in Francia, 1885-1935], C.N.R.S. Edizioni, 1998.
[3] Avviate dopo la guerra, in modo alquanto sistemativo, nelle diocesi e nelle parrocchie dal canonico Boulard, sulla base di un progetto iniziale del sociologo Gabriel Le Bras, avevano portato, dal 1947 al 1966, alla successiva pubblicazione di mappe (le «mappe Boulard). Cfr. Fernand Boulard, Matériaux pour l’histoire religieuse du peuple français, XIXe siècle-XXe siècle [Materiali per la storia religiosa del popolo francese. XIX secolo-XX secolo], 4 vol., 1982, 1987, 1993 e 2011, Presses de Sciences Po, EHESS.
[4] Successivamente, nel discorso di chiusura della terza sessione del Vaticano II, il 21 novembre 1964, Paolo VI ridusse il digiuno eucaristico ad un’ora per tutti i cibi e per tutte le bevande.
[5] Comment notre monde a cessé d’être chrétien. Anatomie d’un effondrement [Come il nostro mondo ha cessato di essere cristiano. Anatomia di un crollo], Seuil, 2018, p. 200.
20 commenti:
Tra le prime cose che il prossimo Papa spero faccia, dopo l'orrenda ondata di cambiamenti di questi 10 anni , per me deve esserci il ripristino della sanissima tradizionale forma del Padre nostro,col "non ci indurre in tentazione"!!!!
Ci sono intere nazioni (in primis la Germania) dove, al di fuori dei contesti Tradizionalisti, la confessione è caduta in desuetudine totale. La persone, però, si sentono obbligate a Comunicarsi quasi ogni volta che vanno a messa.
Poveretti coloro che hanno taciuto di fronte al consolidarsi di questo costume.
Sono anni che il giornale "Sì, sì, no,no" conduce una campagna, si badi benE, NON CONTRO LA Comunione frequente, ma PER LA Comunione FERVENTE.
OT Da blitzquotidiano: Chissà cosa direbbe il cardinale-principe Giuseppe Siri, osservando dall’alto quello che sta succedendo nella sua chiesa genovese, governata per 45 anni con la voce stentorea, la mani ferme, un conservatorismo che non era certo occhiuto, la tradizione osservata tra incenso e stile impeccabile? Oggi sugli altari delle sue chiese, sempre più spesso chiuse, sempre più deserte, sempre meno affollate di fedeli, salgono per molte celebrazioni i laici, con gli abiti liturgici e celebrano le funzioni, come per esempio i funerali.
E gestiscono il funzionamento delle chiese non come i sacrestani, ma proprio da vice sacerdoti. Sono almeno 29 e vengono definiti “diaconi permanenti” per distinguerli da diaconi transeunti, quelli che stanno per diventare sacerdoti e si avviano alla consacrazione.
Cosa significa stare sulla barca di Pietro quando la dottrina predicata sulla barca è fatta a pezzi e ormai eterodossa a tutti gli effetti?
Stavo pensando che sarebbe bello durante questa quaresima 2023 insistere sul Sacramento della Confessione, magari distribuendo oppure se è possibile lasciando a chi incontriamo, a chi sappiamo essere lontano da Dio l'opuscolo dell'esame di coscienza (per ex) oppure una frase di incoraggiamento tipo: "Ti posso dare 2 buone ragioni perché ho deciso di confessarmi regolarmente e perché credo che sia un gran dono di Dio?
1) LA GRAZIA: questo sacramento conferisce la "grazia santificante"con la quale sono rimessi i peccati mortali e anche i veniali confessati e dei quali si ha dolore;
2) IL PERDONO: È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l'assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace».
Coraggio!! Uniti in preghiera
http://www.donleonardomariapompei.it/phocadownload/EbookeBuonaStampa/esame%20di%20coscienza%20schema%20per%20adulti%20peccati%20gravi.pdf
Purtroppo quando si va a confessarsi da un sacerdote medio la prima cosa che ti senti dire elencando le mancanze è che "ma questi non sono peccati". Poi ti raccomanda di non essere scrupoloso. Raro il chiedere di formulare un proposito; raramente, se non richiesto esplicitamente, assegna una penitenza né ti chiede se l'ultima volta avevi fatto quel che ti era stato detto. Praticamente assente la possibilità di mettere in luce la relazione con Dio, ma solo quella con le persone. Alla fine è un "dialogo" con un fervorino, molto sull'amicale e dal taglio psicologico, poco attento ai peccati in quanto tali, espunti dallo specifico dell'essere lì. Ovviamente non va così con tutti, ma purtroppo quei sacerdoti più sul pezzo hanno file di penitenti in fila e gli tocca fare in fretta. Gli altri, che non avrebbero alcuna fila da smaltire, sono spicci per conto proprio.
Il Sacramento della Confessione è caduto completamente in disuso anche in Italia. I confessionali sono stati rimossi quasi ovunque e le rare "confessioni" odierne si tengono in stanzini a mo' di "colloquio". Io non ho mai ceduto a simili pagliacciate, beninteso. Il senso del peccato è completamente scomparso, i dieci comandamenti - soprattutto il sesto - sono completamente calpestati e derisi, non parliamo dei precetti della Chiesa, che ormai nessuno più conosce, e delle opere di misericordia spirituale e corporale. Del resto, quale sacerdote parla ancora dei novissimi durante la predica? Dunque, dite quel che volete, ma la situazione è gravissima. Se però i rarissimi cattolici tradizionali cedono continuamente al canto delle sirene moderniste e conservatrici con mille scuse, è inutile lagnarsi dell'attuale situazione e continuare a ripetere speriamo speriamo speriamo. Speriamo in che cosa? Certo, Dio vede e Dio provvede, ma temo che qualche buon missile sia l'unico modo per farci rinsavire.
Padre Pio (Padre Pio!), si confessava oltre alla due volte a settimana previste dalla regola monastica, quasi ogni volta che un prete lo andava a trovare.
Spesso i preti gli dicevano:
"Padre, io nelle cose che mi sta dicendo non trovo materia di confessione. I suoi non sono peccati".
Padre Pio rispondeva: "Gesù sapeva benissimo che potevo comportarmi meglio. E LO SAPEVO ANCHE IO".
Can. 964, § 3: "Confessiones extra sedem confessionalem ne excipiantur, nisi iusta de causa", "Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per un giusto motivo".
La legge è saggia (anche se quella "iusta causa" è troppo poco: si fa presto a pensare che ne sussista una!), "ma chi pon mano ad ella?" Anche i preti che prima la rispettavano, ormai, colla pandemìa, han perso l'abitudine. Eppure son così belli, i vecchi, cari confessionali delle nostre vecchie, care chiese!
Avendo eliminato l'idea del Giudizio dopo la morte di ciascuno e lasciato e fatto credere che la Salvezza è già garantita dall'Incarnazione, perché in essa Cristo si è in certo modo unito ad ogni uomo (GS art. 22, errore già confutato in passato), perché la gente dovrebbe andare ancora a confessarsi?
Non ne sentono più la necessità. L'Inferno ci sarà al massimo per i grandi criminali. Perché dovrebbe esserci per le persone "normali". E poi, chi parla più di peccato? O addirittura di peccato originale?
San Francesco viene oggi presentato in chiave ambientalista, animalista, pauperista e chi più ne ha più ne metta, quasi il suo scopo fosse stato quello di realizzare l'unione armoniosa dell'uomo con la natura, animali compresi.
"Tommaso da Spalato aferma che i discorsi del Santo non era prediche ma "conciones", allocuazioni o conferenze, che trattavano argomenti pratici, specialmente rivolti alla riforma dei costumi. Francesco, infatti, era un moralista inesorabile, che non faceva nulla di ciò che gli paresse errato e chiamava le cose col loro vero nome. Così si spiega come, non nostante il suo aspetto meschino, egli destasse intorno a sé non solamente ammirazione, ma anche timore: aveva in sé un po' dell'anima terribile di san Giovanni Battista. I suoi Scritti abbondano di parole imprecative contro i peccatori, destinati al fuoco eterno. Egli non ebbe mai nessun ritegno nel minacciare ai suoi uditori l'inflessibile sentenza di Dio. Giustamente si paragonò il suo discorso ad una spada che traffiggeva i cuori".
(G. Joergense, S. Francesco d'Assisi, 1918, tr. it., Porziuncola, 1983, p. 163).
Esattamente come "il discorso" di papa Francesco, no?
T.
Ci sono stati Santi perseguitati dalle tentazioni sin sul letto di morte. Anche san Francesco ebbe periodi di tentazioni terribili, che lo riducevano alla disperazione, quasi.
La tentazione, sappiamo, non è peccato, in quanto tale. Va però respinta altrimenti diventa peccato, peccato di desiderio o di qualsiasi altra cosa. IL Demonio non molla mai, conosce i nostri punti deboli meglio di noi stessi.
Viene respinta, con la preghiera e i buoni ragionamenti, ma soprattutto con la preghiera. Però ritorna, implacabile.
Bisogna confessarsi, senza esagerare ma scavando bene in profondità in noi stessi. Essenziale anche l'esame di coscienza quotidiano.
Le tentazioni carnali, del tutto teoriche, astratte, eppure continuano, anche da vecchio, pur nello schifo per quest'epoca di depravazione nella quale dobbiamo vivere.
Ancora peggiori le tentazioni dell'orgoglio, dello spirito di vendetta, della superbia. Spesso poco apparenti, subdole.
Peggiori di tutte le tentazioni sul dogma della fede, delle quali dice di aver sofferto sino alla fine Santa Teresa del Bambin Gesù.
Esiste la predestinazione alla Gloria ma non quella alla dannazione. Chi si danna, lo fa perché si rifiuta alla Grazia, che viene in via generale data a tutti. Ma allora perché Dio permetta che venga al mondo un essere umano, del quale l'Onniscenza di Dio sa già che si dannerà, sia pure, ovviamente, con il suo libero arbitrio e quindi non perché predestinato alla dannazione?
Come rispondere? Come san Paolo, che sul punto tronca la discussione, nella Lettera ai Romani: "Quindi Egli usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole. Ma tu mi dirai: - E perché allora muove rimproveri a chi resiste alla sua volontà?...O uomo, piuttosto chi sei tu che vuoi discutere con Dio? Il vaso d'argilla chiederà forse a chi l'ha formato: Perché mi hai fatto così?.." (Rm 9, 18-20).
E il Signore: "...finché venne il diluvio e tutti li travolse, così sarà alla venuta del Figlio dell'Uomo. Allora di due uomini che si troveranno nel campo, uno sarà preso e l'altro lasciato..." (Mt 24, 39-40).
L'angoscia di quell' "uno sarà preso, l'altro lasciato". L'abisso che spalanca. Ma dobbiamo ricordarci: "Beato l'uomo che è tentato". Nelle tentazioni è la prova costante cui ci sottopone la divina Provvidenza, per la nostra salvezza. Inoltre: non possiamo effettivamente comprendere il senso profondo di certe verità di fede, dobbiamo credere e aver fiducia nella divina Provvidenza, anche senza riuscire a capire, in certi punti.
M.
Lo psicologo ha sostituito il confessore e la psicologia la confessione, a tal punto che, vuoi o non vuoi, ognuno di noi si trova casualmente a raccogliere confidenze che sarebbero imbarazzanti da raccogliere tanto per il confessore che per lo psicologo. Questo accade quando una salutare fonte si inaridisce. Aver smantellato ogni insegnamento della Chiesa, non ha estinto il bisogno che l essere umano ha di imparare e di migliorarsi e se non trova quello che cerca nella Chiesa lo va cercando altrove perfino nelle fonti più inquinate.
@ 07 febbraio, 2023 21:24
Mi ha fatto tornare in mente che quand'ero ancora una studentessa dell'Istituto d'Arte mi fu dato come compito proprio : "Il rilievo di piu' confessionali delle nostre Chiese".
...e che ci liberi dalla "rugiada"!
UN CATECHISMO PER L'OGGI
Il meglio dell’uomo, la sua superiorità rispetto alle altre creature, sta nel saper ragionare e nel poter conoscere. Questo è tanto più buono e bello quanto più l'uomo riesce a farlo libero da menzogna. Perciò solo in Cristo, la Verità, si è distolti da ogni inganno.
Il battesimo, introducendo alla conoscenza di Cristo, ha (almeno) questi effetti:
-Cancella peccato originale -Libera dal fango della malizia -Riconcilia l’uomo con Dio -Plasma e rigenera (ri-nascita) -Rende l’uomo figlio di Dio Padre -Apre gli occhi dell’anima alla luce divina -Fa nascere la conoscenza di Dio -Prepara alla vita eterna
Si tratta di doni puri, cioè che non dipendono dalla natura umana o dall’ascesi del singolo (infatti ha senso che li riceva anche sul bambino appena nato, quasi inconsapevole). Figli di Dio si diventa (non lo si è già). L’effetto del battesimo rimane vero anche senza una risposta successiva da parte dell’uomo: come la luce del sole che illumina anche se chi tiene gli occhi o le finestre chiusi non la può vedere.
Il successivo dono dello Spirito (la confermazione) conferma il battesimo, permettendo di praticarlo, a beneficio della partecipazione a quella nuova vita, anche se in ogni battezzato questo avviene in un modo differente, ciascuno nella misura della sua preparazione al mistero. Può sempre impedirlo la nostra volontà di rifiutarlo.
I doni sono dati a tutti, ma non tutti li usano ugualmente. Lo Spirito Santo è il protagonista di questa vita che è rinata nel battesimo e ora può muoversi ed agire. Lo Spirito Santo non è “alternativo” o “sostitutivo” a Cristo, ma ne è Colui che Lo rivela: ne è il respiro e il fuoco.
Il solo impedimento a tutto questo orientarsi alla vita della Grazia è il peccato e (in questo tempo ancora), la morte. Il sacramento ricevuto (il carattere impresso) continua ad attirare l’anima verso Dio, anche quando non ce ne si rende conto.
La confessione dei peccati restituisce la grazia al peccatore pentito, contrito e umile di cuore. E' necessaria per poter arrivare oltre. Dove?
Dove il fango cessa di essere fango, perché ha assunto la veste regale e diventa il corpo stesso del Re: non può esistere nulla di più beato, perfezione di tutti i misteri. La pienezza di Grazia è necessaria e chi compie la volontà di Dio è per Gesù fratello, sorella e madre. E’ la condizione beatissima della Santa Vergine Maria, che da Immacolata Concezione si fa Corredentrice e Assunta in Cielo, per essere Regina dei Santi e degli Angeli. Non si può andar oltre, aggiungere altro.
Il nutrimento celeste che alimenta la vita del credente ha il potere di trasformare chi se ne nutre nell’alimento stesso!
Il battesimo ha ucciso il peccatore, ma l’Eucaristia lo fa vivere.
Giunti qui non manca più nulla perchè l’immagine di Cristo-Dio nell’anima, ne diventi somiglianza. Cambia la sostanza creaturale nella Sua, del Creatore. Leggendo l'inizio di Genesi in questi giorni proviamo a gustare questa possibilità di un ritorno in Eden.
Qui, al cospetto di Gesù, con Gesù in noi, si può fare solo e davvero la Volontà del Padre, non c’è altro. Non abbiamo più “solo” il sacramento della morte e resurrezione (il battesimo), non più “solo” la partecipazione a una vita migliore (cresima, confessione, unzione), ma Lui stesso, il risorto, il vivente!
Non i Suoi doni, ma Lui il benefattore in Persona!
Nell’Incarnazione del Verbo si scioglie la distanza tra l'umanità e la divinità che altrimenti non avrebbero punti comuni e sarebbero distanti tra loro. L’Incarnazione ha unito le nature. Poi la crocifissione ha distrutto il peccato. Il confessionale è un tabernacolo della Misericordia di Dio al pari di quello in cui c'è la Santa Eucaristia.
Battesimo e Confessione sono sacramenti dei morti. La resurrezione ha vinto la morte.
La Chiesa un tempo assolveva i peccatori, oggi ha deciso di assolvere i peccati.
N. Gomez Davila
ven 21 apr - 25 apr | San Giovanni Rotondo FG
LORETO - PADRE PIO - MANOPPELLO - LANCIANO
Un pellegrinaggio lungo la sponda adriatica dell'Italia verso alcuni dei Santuari più belli e significativi della nostra Fede.
https://www.cristomorfosis.it/events/loreto-padre-pio-manoppello-lanciano
ASSISTENZA SPIRITUALE: Don Luca Paitoni
PELLEGRINAGGIO AUTOGESTITO: Il pellegrinaggio è considerato organizzato tra privati.
Nei primi tempi non esisteva la connessione come concepita oggi ma una connessione comunitaria. Si potrebbe reintrodurre
Parliamo della "confessione".
Purtroppo si è perso il senso del peccato come responsabilità individuale (non comunitaria), perché è sempre una mancata risposta alla chiamata costante di Dio alla conversione e al progetto che Egli ha per ognuno di noi. Questo non esclude né un ambito comunitario e sociale né la nostra responsabilità anche nei confronti del prossimo; ma tutto è fondato nel rapporto IO-TU che ogni creatura ha col suo Signore, un rapporto che può anche arricchirsi in ambito comunitario (ek-lesìa = la Chiesa di coloro raccolti insieme in comunione nel Signore) per poi dispiegarsi nelle relazioni interpersonali e nelle scelte individuali e collettive; ma è innanzitutto un rapporto pieno e profondo individuale, non di gruppo né in simbiosi. Il Signore ha creato e vuole relazionarsi con delle persone, non con dei burattini.
Il Sacro Cuore di Gesù è un cuore vivo, che gioisce per le cose belle che facciamo e si rattrista per i peccati. In questo senso, il peccato è un'offesa, eccome se è un'offesa... oltre a offendere Colui che è il Sommo Bene, rompe la comunione tra l'uomo e Dio e quindi, senza mezzi giri di parole, offende anche la dignità umana dal momento che l'uomo è tempio del Dio vivente. Duplice offesa, quindi. È ovvio che il peccato ha anche una ripercussione sociale, ma questa è una dimensione successiva, che non sostituisce ma si va aggiungere a quella individuale.
Lo stesso Gesù nel Vangelo dice: "C'è più gioia nel cielo per un peccatore che si converte che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione". Dunque se c'è gioia, va da sé che c'è anche tristezza se non camminiamo nella retta via. Poi è ovvio che si potrebbe discutere anche del fatto che ogni peccato è un altro chiodo conficcato in quella Croce e su quella croce Gesù non ha fatto salti di gioia, mi pare, ma ha gridato, magari pianto... sofferto per tanta indifferenza...
Come può non soffrire tuttora per i tanti peccati che commettiamo?
Ricordiamo il grido di S.Francesco per i boschi de La Verna: "L'Amore non è amato". Gridava a squarciagola, e probabilmente soffriva anche lui, dopo aver sperimentato quell'amore nella sua vita.
"La celebrazione del sacramento della Penitenza ha avuto nel corso dei secoli uno sviluppo che ha conosciuto diverse forme espressive, sempre, però, conservando la medesima struttura fondamentale che comprende necessariamente, oltre all'intervento del ministro — soltanto un Vescovo o un presbitero, che giudica e assolve, cura e guarisce nel nome di Cristo — gli atti del penitente: la contrizione, la confessione e la soddisfazione." [Motu Proprio Misericordia Dei di Giovanni Paolo II]
Da notare che il Papa afferma che c’è stata un’evoluzione nelle forme espressive della celebrazione del sacramento, ma che la Chiesa "ha conservato la medesima struttura fondamentale del sacramento", che comprende: 1. l’azione di un ministro che giudica e assolve; 2. l’azione del penitente che include la contrizione, la confessione, la soddisfazione.
Secondo il Papa in questa struttura nulla potrà mutare e la Chiesa così l’ha conservata; per i modernisti e per certi eretici settari, ciò che si è evoluto è la concezione che le persone hanno del sacramento, che è ben diverso da quello che dice il Papa.
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