Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 27 febbraio 2023

La Quaresima, Giovanni XXIII e la lingua latina

Indice degli articoli sul Latino, Lingua classica, sacra e vincolo di unità tra popoli e culture. Oltre che come lingua universale nella Chiesa, segno di unità purtroppo depotenziato, quel che serve “è un vero rilancio del latino come palestra per le generazioni future, tenendo in conto anche le sue enormi potenzialità come piattaforma di intercomprensione fra le lingue romanze, gigantesco serbatoio linguistico da cui pescano anche le lingue germaniche e slave, apparato concettuale che favorisce la comunicazione fra le culture”

L’inizio della Quaresima, ci offre l’occasione di ricordare un importante convegno dei parroci e dei quaresimalisti della città di Roma, avvenuto il 22 febbraio 1962 nella Basilica Vaticana. In quest’occasione, papa Giovanni XXIII, presentò al mondo la Costituzione apostolica Veterum sapientia, dedicata allo studio ed all’uso della lingua latina: un testo di fondamentale portata non solo per la solennità con cui venne promulgato, il giorno della festa della Cattedra di San Pietro, ma anche per il momento scelto: la fase preparatoria del Concilio Vaticano II.

In questo documento Giovanni XXIII sottolineava l’importanza dell’uso del latino, “lingua viva della Chiesa”, raccomandava che le più importanti discipline ecclesiastiche dovessero essere insegnate in latino (n. 5) e che gli aspiranti al sacerdozio, prima di intraprendere gli studi ecclesiastici, fossero “istruiti nella lingua latina con somma cura e con metodo razionale da maestri, assai esperti, per un conveniente periodo di tempo” (n. 3). Il Papa affermava: “Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti luoghi l’uso della lingua Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l’antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia completamente ripristinata”.

Il Papa spiegava che la Chiesa “esige, per la sua stessa natura, una lingua che sia universale, immutabile, non volgare”. La Chiesa è una società perfetta, e come ogni società ha bisogno di uno strumento di comunicazione unico per il suo governo; ma essendo una società sopranazionale, non può utilizzare un idioma nazionale, deve usare una lingua universale; ed essendo una società dal fine soprannaturale, ha bisogno di una lingua non volgare, ma sacra, che serva non solo al governo dei suoi membri, ma anche e innanzitutto al suo culto verso Dio. La Chiesa necessità dunque di una lingua unica, universale per il suo governo e sacra per il suo rito.

Il latino, per le sue caratteristiche, costituisce lo strumento linguistico per eccellenza atto ad assicurare l’unità di governo della Chiesa di Roma, Madre di tutte le Chiese, sia in materia di fede e di costumi, che di disciplina. “Infatti – dice Giovanni XXIII – di sua propria natura la lingua latina è atta a promuovere presso qualsiasi popolo ogni forma di cultura; poiché non suscita gelosie, si presenta imparziale per tutte le genti, non è privilegio di nessuno, infine è a tutti accetta e amica”

Quando affermiamo che la lingua latina è universale dobbiamo ricordare inoltre che oltre alla universalità geografica nello spazio esiste anche l’universalità nel tempo, ovvero la sua immutabilità, che coincide con la perennità e la indefettibilità della Chiesa. Perciò “è necessario che la Chiesa usi una lingua non solo universale, ma anche immutabile”, perché la dottrina sia trasmessa edoem sensu et in eodem sententia (1 Cor., 1, 10) attraverso una lingua sottratta alle variazioni di significato delle lingue correntemente parlate.

La scelta del latino come lingua liturgica della Chiesa non è determinata da una legge divina ed apostolica, ma dalla Divina Provvidenza, che è Dio stesso che opera nella storia. La lingua latina, ricorda Giovanni XXIII, fu strumento della diffusione del Vangelo, portato sulle vie consolari, quasi a simbolo provvidenziale della più alta unità del Corpo Mistico. E se nella predicazione la Chiesa deve utilizzare tutte le lingue e i dialetti, nel suo culto e nel suo governo, essa si è sforzata di trovare una lingua che trascendesse le lingue nazionali e locali. Le altre lingue sono state tollerate, ma l’ideale è quello dell’uso, nel governo e nel culto, della lingua latina. Uno dei grandi errori del post-concilio fu quello di rinunciare alla universalità della lingua della Chiesa. La Chiesa per farsi capire dal mondo, rinunciò a trascenderlo: si fece immanente al mondo, proprio mentre si dischiudeva l’epoca della globalizzazione e si affermava una confusione delle lingue che esprimeva – ed esprime – la confusione generale delle idee e dei principi del mondo moderno. Ma il latino resta ancora la lingua ufficiale della Chiesa cattolica, come ribadisce il Codice di Diritto canonico, e come appare dagli Atti ufficiali della Santa Sede, ancora pubblicati in latino.

Discorso diverso dalla lingua è quello del Rito. Il Rito Romano antico non può che essere in latino, ma il latino può essere utilizzato anche per il Nuovo rito introdotto da Paolo VI nel 1969. Ad esempio, la messa officiata da Papa Francesco il 5 gennaio 2023, per i funerali di Benedetto XVI, è stata una nuova Messa, ma in lingua latina.

La costituzione Veterum sapientia di Giovanni XXIII, pubblicata nella Quaresima del 1962, parlava della lingua, non del Rito. E in questa Quaresima del 2023, sessant’anni dopo, vogliamo ricordare quel documento, per chiedere allo Spirito Santo di far comprendere l’importanza del latino e fare aumentare l’amore verso una lingua che, per disposizione della Divina Provvidenza, è stata e continua ad essere l’unica lingua della Chiesa cattolica. (Roberto de Mattei - Fonte)

8 commenti:

Anonimo ha detto...

La nuova messa in latino, non giova all uso del latino nella Chiesa, poiché il latino del rito di sempre è il latino dei Padri, simile al greco della koine rispetto a quello classico, cioè una lingua che, pur restando se stessa, si era in qualche modo semplificata. Un po' come l inglese di oggi che ha fatto suoi molti vocaboli delle lingue neolatine. Ricordo che tempo fa si discusse su alcune parti della Bibbia che erano state ritradotte nella Vulgata in un latino più colto, più classico e l esperimento fu bocciato giustamente in quanto, nel tempo, si era imposto il latino ecclesiastico, che poi fu il latino che si parlò ben oltre il 1600. Un nostro giovane latinista, di cui non ricordo il nome, è diventato insegnante di latino in una importante Università inglese e ricordava, in una intervista, di aver sempre amato questa lingua tanto da far notte traducendo dal latino quanto trovava, non solo dal latino classico, ma anche dal latino ecclesiastico, giuridico, tardo. Intravedere, conoscer queste differenze significa aver acquisito una familiarità con il latino nel suo insieme che oggi è andata perduta e che va riconquistata.

Anonimo ha detto...


Il latino delle prime versioni dei testi sacri e della liturgia era il latino popolare non era la lingua colta, letteraria.
Un latino che ha un taglio particolare, in quanto diventato lingua sacra. Lingua da mantenere a tutti i costi.

Giovanni XXIII tuttavia approvò la redazione finale della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgica, la quale, pur dichiarando di voler mantenere il latino, lasciava ampio spazio alla lingua vernacolare. Secondo Wiltgen, l'allora presidente della Commissione preparatoria per la liturgia, l'ottantenne cardinale Gaetano Cicognani, non voleva apporre la sua firma al documento ormai approvato dalla Commissione conciliare dopo accesi dibattiti durante i quali era stato in pratica demolito dai migliori esperti della Curia. La mancata firma bloccava l'iter del documento. Gaetano Cicognani rappresentava l'opinione degli elementi "conservatori" della Congregazione dei Riti, che si opponevano fermamente. Ma Giovanni XXIII lo fece sottoporre a forti pressioni, mandando alla fine nel suo ufficio il fratello, cardinale Amleto Cicognani segretario di Stato,
con l'ordine di non tornare da lui, dal Papa, senza aver ottenuto la firma. Si dice che il cardinale Gaetano fosse quasi in lacrime nel firmare il documento. Quattro giorni dopo la firma, morì.
Cosa avrebbe dovuto fare? Rifiutarsi di firmare e dimettersi dall'incarico conciliare. Creare uno scandalo.
(R.M. Wiltgen, The Rhine Flows into the Tiber, Devon, 1979, pp. 140-141).
Ma ieri come oggi nessuno nel clero aveva ed ha il coraggio di opporsi apertamente ad un'ingiunzione pontificia palesemente ingiusta.
Papa Roncalli, quando era nunzio ad Istanbul, fece introdurre nella Messa una preghiera in turco, tra le preghiere per le autorità, i reggitori. IL capo dello Stato turco di allora, che doveva essere il famoso Kemal Atatürk lo ringraziò pubblicamente.
T

Pio XII ai malati ha detto...

Quante volte abbiamo sentito stringente nel cuore il desiderio di venire a voi, di passare in mezzo a voi, in qualche modo come faceva Gesù nella sua vita terrena, benedicendo e guarendo – raggiungere tutti senza eccezione, dovunque voi siate, negli ospedali, nei sanatori, nelle cliniche, nelle case private, parlare a ciascuno di voi, nella intimità, come se ognuno di voi fosse il solo, e chini sul vostro giaciglio, farvi sentire tutta la tenerezza del Nostro affetto paterno, applicare ai vostri dolori il balsamo che, se non sempre guarisce, sempre almeno conforta e solleva, il balsamo della Passione del dolce Salvatore nostro Gesù Cristo… Levate in alto lo sguardo, diletti figli e figlie, a Colui, che vi darà la forza di portare la vostra croce con viva fede e cristiana fortezza, a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Egli ha voluto provare le miserie di questa vita terrena, i mali e le afflizioni, gli spasimi e i tormenti più atroci che vengono dagli uomoni. Egli vi precede con la sua croce: seguitelo. Egli porta la sua croce, innocentissimo: portate anche voi la vostra, in penitenza e in espiazione dei peccati vostri e altrui. Egli porta la croce per la pace del mondo: portatela anche voi con Lui, per ottenere a voi e a tutto il genere umano la pace con Dio e la pace tra le nazioni.

Anonimo ha detto...

Mi spiace in questo momento non ricordare la fonte, ma ho letto da qualche parte che Mons. Lefebvre, in visita privata dal sommo Pontefice Giovanni XXIII, dopo averne ricevuto lusinghieri apprezzamenti per l'opera missionaria svolta in Africa, volle a sua volta congratularsi col Papa per "Veterum Sapientia". Questi scoppiò a ridere e disse all'Arcivescovo stupito: "Non l'avrà mica preso sul serio? Quel documento l'ho fatto scrivere apposta per bloccare gli oppositori...". Credevo che questo episodio, citato più volte nel materiale biografico di Roncalli, fosse abbastanza noto.

Anonimo ha detto...


Veramente questo episodio, del dileggio di Roncalli sulla sua propria enciclica di fronte a mons. Lefebvre, suona nuovo.
Non so quanto sia credibile.

Anonimo ha detto...

A mio modesto parere, la messa NO in latino è un monstrum.
Sostanzialmente una retroversione, un esercizio di scuola,. Abbiamo fatto retroversioni al liceo classico per compito, ma senza eguagliare i modelli originali. Mi sembra di averne seguita una alla chuesa dei cavalieri di Malta, tanto tempo fa. Senza grande convinzione.

Anonimo ha detto...


È un monstrum anche in italiano, anzi un aborto.

Anonimo ha detto...

𝗡𝗲𝗹𝗹’𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗶𝗰𝗮 𝗰𝗼𝗹𝘁𝗶𝘃𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗼 𝘀𝗽𝗶𝗿𝗶𝘁𝗼

«Dolorosamente vi sono non pochi che, presi fuor di misura dal meraviglioso progresso della tecnica, presumono di respingere o di comprimere lo studio del latino e le altre scienze affini, quasi che, curando e propugnando presso che del tutto gli studi matematici ed economici, fossero cittadini di un’epoca nuova. Noi, proprio sotto lo stimolo di questa necessità, riteniamo anzi si debba seguire una via opposta. È proprio nello spirito che ha sede quanto è più degno della natura e della dignità umana; e si deve quindi con tanto più ardore procurare ciò che coltiva e adorna lo spirito, affinché i miseri mortali non si riducano a vivere freddi, duri e incapaci di amore, come quelle macchine che essi costruiscono.

Per volontà della Provvidenza divina, la sapienza dei Greci e dei Latini fu spesso come un’aurora premonitrice del Vangelo di Cristo, il quale è il sole “che spunta dal cielo” (Luc. I, 78). Fra questi, Cicerone occupa il posto più alto ed eccellente: egli, fra l’altro, conobbe Dio quale autore e rettore dell’universo, stabilì il diritto di natura in chiara luce, e con splendore di elogi esaltò fondamento della giustizia la lealtà, la perseveranza, la verità, la integrità morale. E che più? Nell’illustrare i doveri di ciascuno, insegnò tale principio – è dolce richiamarlo alla memoria – che veramente preannuncia con presaga ispirazione la legge cristiana: “Vogliamo dire che gli uomini siano forti e magnanimi, ma insieme buoni e semplici, amici del vero e mai ingannatori… Poiché forti e magnanimi sono da ritenersi non coloro che fanno, ma coloro che combattono una ingiustizia” (𝘖𝘧𝘧. I, 19).

Sant’Agostino nel libro III delle Confessioni rivela il mirabile effetto che l’opera di Cicerone, intitolata Ortensio, produsse sulle sue passioni e sui suoi costumi: “Veramente quel libro tramutò le mie inclinazioni e volse verso te, o Signore, le mie invocazioni, e fece del tutto diversi i miei voti e i desideri miei. D’improvviso ogni speranza di cose vane mi divenne spregevole, e desideravo con incredibile impeto del cuore la immortalità della sapienza (cap. III, 7).

Quel che Sant’Agostino da allora sentì, con paterni voti desideriamo che voi, o dilettissimi, sentiate, leggendo, meditando, amando i grandi segni della sapienza antica; e, per la vostra alta mente, anteponiate alle cose fugaci e dannose i beni eterni e immutabili, per i quali fummo creati e senza i quali bene e felicemente non possiamo vivere»

(San Giovanni XXIII)

Fonte: “Il Papa e il latino”, in B. Rɪᴘᴏsᴀᴛɪ, 𝘚𝘤𝘳𝘪𝘵𝘵𝘪 𝘴𝘤𝘦𝘭𝘵𝘪. 𝘛𝘳𝘢 𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘰 𝘦 𝘮𝘰𝘥𝘦𝘳𝘯𝘰, Collana del Centro di Studi Varroniani, Rieti 1986, vol. II, pp. 719-721