Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 12 febbraio 2023

Domenica di Sexagesima, da L’Anno Liturgico di Dom Prosper Guéranger

Vedi: L'inizio del ciclo pasquale con la Dominica in septuagesima [qui]; e, a seguire, Dominica in quinquagesima [qui]

Domenica di Sexagesima

Noè e il diluvio

Nel corso di questa settimana la santa Chiesa ci presenta la storia di Noè e del diluvio universale.
Nonostante i severi ammonimenti, Dio non era riuscito ad ottenere la fedeltà e la sottomissione dell’umanità e fu costretto ad infliggere un tremendo castigo a questo nuovo nemico. Trovato però un uomo giusto, farà ancora una volta nella sua persona alleanza con noi. Ma prima vuol far conoscere che è Sovrano e Padrone nel momento da lui stabilito; l’uomo che andava così fiero della sua esistenza, s’inabisserà sotto le rovine della sua dimora terrestre.
A base degli insegnamenti della settimana, poniamo innanzi tutto alcuni brani dal libro del Genesi, estratti dall’Ufficio dell’odierno Mattutino.
Dal libro del Genesi (Gen 6,5-13)
Or Dio vedendo che la malizia degli uomini era grande sopra la terra e che ogni pensiero del loro cuore era di continuo al male, si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e, addolorato, nel profondo del cuore disse: “Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: uomo e animali, rettili e uccelli del cielo; ché mi pento d’averli fatti”. Ma Noè trovò grazia davanti al Signore.
Questa è la posterità di Noè. Noè fu uomo giusto e perfetto fra i suoi contemporanei, e camminò con Dio, e generò tre figliuoli: Sem, Cam e Iafet. Or la terra era corrotta davanti a Dio e ripiena d’iniquità. Ed avendo Dio veduto che la terra era corrotta (ogni carne infatti seguiva sulla terra la via della corruzione) disse a Noè: “Davanti a me è giunta la fine d’ogni vivente; siccome la terra per opera degli uomini è piena d’iniquità, io li sterminerò con la terra”.
La catastrofe che si scatenò allora sulla specie umana fu ancora una volta frutto del peccato; meno male che però fu trovato almeno un giusto, e per merito suo e della sua famiglia il mondo fu salvo dalla rovina totale.
Degnatosi di rinnovare la sua alleanza, Dio lasciò ripopolare la terra, e i tre figli di Noè divennero i padri delle tre grandi razze umane che la abitano.
È questo il mistero contenuto nell’Ufficiatura della presente settimana. Quella della Messa poi, figurata dalla precedente, è ancor più importante. Moralmente parlando, non è la terra sommersa da un diluvio di vizi e di errori? Allora si deve popolare di uomini timorosi di Dio, come Noè. È la parola di Dio, germe di vita, che fa nascere la nuova generazione e procrea i figli di cui parla il Discepolo prediletto, “i quali non da sangue, né da volere di carne né da voler di uomini, ma da Dio sono nati” (Gv 1,13).
Sforziamoci d’entrare a far parte di questa famiglia, e se già vi apparteniamo, conserviamo gelosamente questa fortuna, perché ora è il tempo di salvarci dai marosi del diluvio e trovare un rifugio nell’arca della salvezza; è il tempo di divenire quella terra buona nella quale la semente fruttifica al cento per uno; e lo saremo, se ci mostreremo avidi della Parola di Dio che illumina le anime e le converte (Sal 18). Preoccupiamoci di fuggire l’ira ventura, affinché non abbiamo a perire insieme ai peccatori.

Messa
La Stazione è in Roma, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura.
Intorno alla tomba del Dottore delle genti, del propagatore della divina semenza, di colui che per la sua predicazione ha una grande paternità sui popoli, la Chiesa Romana oggi raduna i suoi fedeli, per significare che il Signore ha risparmiato la terra solo a patto che si riempia di veri credenti adoratori del Nome suo.

L’Epistola è tratta da una Lettura del grande Apostolo, nella quale, costretto dai suoi nemici a difendersi per l’onore e il successo del suo ministero, c’insegna a quale prezzo gli uomini apostolici seminarono la divina Parola negli aridi campi del paganesimo, per operarvi la rigenerazione cristiana.
EPISTOLA (2Cor 11,19-33; 12,1-9). – Fratelli: Voi, che siete saggi, li sopportate volentieri i pazzi; infatti, se uno vi asservisce, se vi spolpa, se vi ruba, se vi tratta con alterigia, se vi piglia a schiaffi, lo sopportate! Lo dico con vergogna, come chi è stato debole da questo lato; del resto, in qualunque altra cosa uno ardisca vantarsi (parlo da stolto) ardisco anch’io. Son essi Ebrei? Anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Son discendenti di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? (Parlo da stolto) lo son più di loro: più di loro nelle fatiche, più di loro nelle carceri, molto più nelle battiture, e spesso mi son trovato nei pericoli di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio; ho passato una notte e un giorno nel profondo del mare. Spesso in viaggio, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli da parte dei miei connazionali, pericoli dei Gentili, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli. Nella fatica, nella miseria, in continue vigilie, nella fame, nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a quello che mi vien dal di fuori, ho anche l’affanno quotidiano, la cura di tutte le Chiese. Chi è debole, senza che io ne soffra? Chi si scandalizza, senza che io ne arda? Se c’è bisogno di gloriarsi, mi glorierò di ciò che è proprio della mia debolezza. Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è benedetto nei secoli, sa ch’io non mentisco. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto guardie intorno alla città dei Damasceni, per catturarmi, e da una finestra fui calato in una cesta lungo il muro e così scampai dalle sue mani. Se c’è bisogno di gloriarsi (veramente non sarebbe utile!) verrò alle visioni ed alle rivelazioni del Signore. Io conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa (se fu col corpo o senza il corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo (se col corpo, o fuori del corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito in paradiso e udì parole arcane che non è lecito all’uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo, potrei gloriarmi; ma riguardo a me non mi glorierò che della mia debolezza. Però, anche se volessi gloriarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, pel timore che qualcuno non mi stimi più di quello che vede in me o che sente da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, m’è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana che mi schiaffeggi. Tre volte ne pregai il Signore, perché lo allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si fa meglio sentire nella debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinché abiti in me la potenza di Cristo.
VANGELO (Lc 8,4-15). – In quel tempo: radunandosi e accorrendo a Gesù dalle città gran folla, disse in parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza e nel seminarla, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e la beccarono gli uccelli dell’aria; parte cadde sul sasso e, appena nata, si seccò, non avendo umore; parte cadde tra le spine, e queste, cresciute insieme, la soffocarono; parte poi cadde in buon terreno e, cresciuta, diede il centuplo. Ciò detto esclamò: Chi ha orecchie da intendere intenda. E i suoi discepoli gli chiesero che volesse mai dire questa parabola. Ed Egli rispose loro: A voi è concesso d’intendere il mistero del regno di Dio; ma a tutti gli altri parlo in parabole, affinché guardando non vedano, ed ascoltando non intendano. Ecco il significato della parabola: la semenza è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore affinché non credano e non si salvino. E quelli sul sasso sono coloro che, udita la parola, l’accolgono con gioia; ma non hanno radice, e credon quindi per un certo tempo e poi al tempo della tentazione si tirano indietro. Seme caduto fra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma,coll’andare avanti, restano soffocati da cure, da ricchezze, e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturare. Seme poi caduto in buon terreno sono coloro che ritengono la parola ascoltata in un cuore buono e perfetto, e perseverando, portano frutto.
Vigilanza e fedeltà
Con ragione san Gregorio Magno osserva che la parabola ora letta non ha bisogno di spiegazione, perché la stessa eterna Sapienza ce ne ha data la chiave. Perciò non ci resta che trar profitto da un insegnamento così prezioso ed accogliere in terra buona la semenza celeste che cade in noi.
Quante volta finora l’abbiamo lasciata calpestare dai passanti, o carpire dagli uccelli dell’aria! Quant’altre volte è inaridita sulla gelida roccia del nostro cuore, o fu soffocata da spine funeste! Ascoltavamo la Parola, la trovavamo affascinante, e ciò bastava a farci star tranquilli. Spesso pure la ricevemmo con gioia e prontezza, ma non appena cominciava a germogliare in noi ne facevamo arrestare la crescita. Mentre d’ora in poi dobbiamo produrre frutti, perché tale è la virtù della semente gettata in noi, e dalla quale il divin Seminatore aspetta il cento per uno. Se la terra del nostro cuore è buona ed abbiamo cura di coltivarla usando i mezzi che la santa Chiesa ci offre, sarà abbondante la messe il giorno in cui il Signore, risorgendo vittorioso dal sepolcro, verrà ad unire i fedeli credenti agli splendori della sua Risurrezione.

Preghiamo
O Dio, che vedi come non confidiamo nelle nostre azioni, concedici, propizio, d’essere difesi contro ogni avversità dalla protezione di san Paolo Dottore delle genti.
da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 439-442

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Aurelio Porfiri
Oggi sono andato alla Messa nella chiesa di san Nicolas du Chardonnet.
Premetto che è la prima volta che vado ad una Messa officiata dalla Fraternità di san Pio X.
Sono andato anche per osservare quelli che ci vengono descritti dalle voci ufficiali come passatisti e mezzi squilibrati.
Sono in effetti rimasto molto sorpreso.
La chiesa non era piena, era strapiena. Ma non sanno che siamo ormai abituati a molto spazio fra i banchi?
C’erano tanti bambini, ragazzi e ragazze tutti vestiti rispettosamente. Ma vi rendete conto? Ma dai, i giovani devono fare caciara!
Poi si inginocchiavano tutti. Ma non si fa così, almeno metà dovrebbero stare in piedi o seduti comodamente.
Poi - cosa che mi ha fatto saltare in piedi (perché la sedia per me non c’era) tutti, e dico tutti, cantavano l’ordinario in canto gregoriano, la Messa Orbis Factor. Che si sono messi in testa, come fanno a conoscere queste cose? Dovrebbe cantare solo un gruppetto, possibilmente svociato.
L’organista sapeva suonare. No, proprio non ci siamo. Io che mi aspettavo il figlio della perpetua che ancora fatica a capire che l’organo non è un pianoforte perché “sta imparando” (da vent’anni).
Poi i chierichetti ben vestiti è molto raccolti, le donne con il velo, tutti o quasi a fare la comunione.
Ma il colmo è stato alla fine, quando la stragrande maggioranza è rimasta fino che l’organo non aveva finito di suonare. Ma non vi hanno insegnato che il fugone inizia quando il prete appena dice “La Messa è fini…”?
Uscendo aspettavo di trovare medici e infermieri che si sarebbero presi cura di questo strambo gruppo. Ho invece trovato papà che giocavano con i bambini, compiette che conversavano amabilmente, amici che si godevano qualche risata.
In quel momento ho deciso: non ci andrò mai più!

Anonimo ha detto...

PER SOTTOLINEARE LA MALIZIA DEL PECCATO E' DETTO CHE DIO, PER SUA NATURA INCAPACE DI ACCESSI DI IRA, E' PROVOCATO ALLA COLLERA (S.AMBROGIO)

Tu leggi che il Signore si è adirato, poiché sebbene pensasse o, per meglio dire, sapesse che gli uomini posti in questo mondo, portando il peso della carne, non potessero essere senza peccato ( infatti la terra è come un luogo di tentazione e la carne corrotta un’attrattiva per il peccato), tuttavia avendo essi un’anima dotata di ragione e in sé capace di virtù, del tutto sconsideratamente erano precipitati in un abisso da cui non volevano rialzarsi. Infatti Dio non pensa alla maniera degli uomini, in cui continuamente un’opinione fa posto ad un’altra, né si irrita come farebbe un essere soggetto al cambiamento. Queste espressioni sono impiegate per sottolineare la malizia dei nostri peccati, che ci rende colpevoli del disgusto di Dio, come se la colpa fosse arrivata a tal punto che Dio, per sua natura incapace di provare accessi d’ira, odio o ogni altra passione, sia, per così dire, provocato alla collera.

Di più, Dio minaccia di distruggere l’uomo. “ Sterminerò dalla terra l'uomo – dice- e anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo (Gen.6,7). In che le creature irrazionali avevano offeso Dio? Essendo esse fatte per l’uomo, distrutto una volta colui per il quale erano state create, era logico che anche esse venissero distrutte, poiché non esisteva più l’essere che poteva servirsene. Ma si può dare anche una spiegazione più profonda: l’uomo è un essere spirituale, capace di ragione. L’uomo, infatti, si definisce come essere vivente, mortale, razionale. Estintosi dunque l’essere principale, spariscono anche tutti gli altri esseri animati irrazionali, perché non resta più nulla da salvare perché la virtù, che è il fondamento della salvezza, è venuta meno.

Per condannare tutti gli altri e per esprimere la misericordia divina è detto che Noè trovò grazia presso il Signore. Si vede nello stesso tempo che l’uomo giusto non è insozzato dai crimini altrui poiché Noè conserva la vita salva per divenire capostipite del genere umano. Egli è lodato non per la nobiltà della sua nascita, ma per il merito della sua giustizia e della sua dignità morale. Perché la nobiltà dell’uomo dabbene è il suo passato di virtù poiché come gli uomini fanno la nobiltà umana, le virtù fanno la nobiltà delle anime. Le famiglie umane, infatti, si distinguono per lo splendore della stirpe, ma la bellezza delle anime mena suo vanto dallo splendore delle virtù.

DOMENICA DI SESSAGESIMA

S. AMBROGIO
de Noe et Arca, cap. 1 circa medium [ In che modo è da intendersi l'ira di Dio]

Breviario Romano, Mattutino, Lezioni del II notturno

mic ha detto...

Introitus                                        Ps. 43, 23-26
Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem : quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaésit in terra venter noster : exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos. Ps. ibid., 2. Deus, áuribus nostris audívimus : patres nostri annuntiavérunt nobis. V). Glória Patri. Exsúrge.

Anonimo ha detto...

DOMENICA DI SESSAGESIMA
PROPRIO DELLA S.MESSA

INTROITUS
Ps 43:23-26.- Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádiuva nos, et líbera nos. ~~ Ps 43:2.- Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis. ~~ Glória ~~ Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádiuva nos, et líbera nos.

Ps 43:23-26.- Risvegliati, perché dormi, o Signore? Destati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto dimentico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e liberaci. ~~ Ps 43:2.- O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri. ~~ Gloria ~~ Risvegliati, perché dormi, o Signore? Destati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto dimentico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e liberaci.

ORATIO
Orémus.
Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna opera nostra, concedici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

huiúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.

Mi glorierò: ma riguardo a me, di nulla mi glorierò, se non delle mie debolezze. Però, se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità: ma io me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o di quello che ode da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in orgoglio, mi è stato dato lo stimolo nella mia carne, un angelo di Satana che mi schiaffeggi. Al riguardo di che, tre volte pregai il Signore che da me fosse tolto: e mi disse: Basta a te la mia grazia: poiché la mia potenza arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie debolezze, affinché abiti in me la potenza di Cristo.

Anonimo ha detto...

...segue
GRADUALE
Ps 82:19; 82:14
Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram,
V. Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.

Riconoscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.
V. Dio mio, riducili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.

TRACTUS
Ps 59:4; 59:6
Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam.
V. Sana contritiónes eius, quia mota est.
V. Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.

Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata.
V. Risana le sue ferite, perché minaccia rovina.
V. Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.

EVANGELIUM
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 8:4-15
In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Iesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres coeli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli eius, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.

Anonimo ha detto...

...segue
In quel tempo: radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo gente a Gesù da tutte le città. Egli disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono; parte cadde sopra le pietre, e, nata che fu, seccò, perché non aveva umore; parte cadde fra le spine, e le spine che nacquero insieme la soffocarono; parte cadde in terra buona, e, nata, fruttò cento per uno. Detto questo esclamò: Chi ha orecchie per intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano che significasse questa parabola. Egli disse: A voi è concesso di intendere il mistero del regno di Dio, ma a tutti gli altri solo per via di parabola: onde, pur vedendo non vedano, e udendo non intendano. La parabola dunque significa questo: La semenza è la parola di Dio. Ora, quelli che sono lungo la strada, sono coloro che ascoltano: e poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli caduti sopra la pietra, sono quelli che udita la parola l’accolgono con allegrezza, ma questi non hanno radice: essi credono per un tempo, ma nell’ora della tentazione si tirano indietro. Semenza caduta tra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma a lungo andare restano soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non portano il frutto a maturità. La semenza caduta in buona terra indica coloro che in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza.

Credo

OFFERTORIUM
Ps 16:5; 16:6-7
Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.

SECRETA
Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

COMMUNIO
Ps 42:4
Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.

Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.

POSTCOMMUNIO

Orémus.
Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.