Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 23 settembre 2025

Monsignor Viganò / Obbedienza, unità, dottrina. Ulteriori risposte al professor Trabucco

Qui l'indice degli interventi precedenti e correlati.
Monsignor Viganò / Obbedienza, unità, dottrina.
Ulteriori risposte al professor Trabucco


Non sequitur. Ulteriori precisazioni in risposta alla replica del professor Daniele Trabucco

Non posso che condividere quasi tutto ciò che il prof. Trabucco ha argomentato in risposta al mio commento[1]. Sul blog di Duc in altum egli scrive infatti[2]:
Un santo che obbedisce a un provvedimento disciplinare ingiusto ma non contrario alla fede (come nel caso di Padre Pio) compie un atto di eroica abnegazione, perché riconosce che anche nella durezza e nell’iniquità il comando non rompe il legame con il deposito rivelato. Diversa è, invece, la situazione in cui un’autorità ecclesiastica comanda ciò che contraddice la fede: in quel caso l’ordine non è più autenticamente disciplinare, ma si trasforma in una deviazione che colpisce la stessa ratio dell’autorità. Qui il rifiuto non è ribellione, ma fedeltà.
Dato come valido questo principio – che faccio mio sine glossa – mi trovo però in difficoltà ad accettare come valida l’eccezione che Trabucco aggiunge subito dopo:
Tuttavia […] tale rifiuto non può mai tradursi in atti di natura scismatica, né in atteggiamenti che producano pubblico scandalo. Perché se è vero che disciplina e fede si completano, è altrettanto vero che la disciplina, in quanto ordine visibile, serve anche a custodire l’unità della Chiesa. E l’unità è parte del bene comune soprannaturale del Corpo mistico. Non si può, dunque, difendere la verità della fede al prezzo di lacerare la comunione ecclesiale.
È vero che «la disciplina, in quanto ordine visibile, serve anche a custodire l’unità della Chiesa. E l’unità è parte del bene comune soprannaturale del Corpo mistico». Ma l’unità che si ottiene mediante l’obbedienza è l’effetto e non la causa della professione della medesima Fede: si è uniti nella Chiesa sotto l’autorità del Romano Pontefice perché si crede la stessa dottrina, non l’inverso. Ed è questo l’errore che inficia l’argomentazione del prof. Trabucco sull’obbedienza. Il rifiuto di obbedire a un’autorità ecclesiastica, quando essa comanda ciò che contraddice la Fede, non può costituire un attentato all’unità, perché è l’ordine illegittimo del Superiore ad essere di natura scismatica e di scandalo, non la disobbedienza del suddito fedele a Dio.

Se il rifiuto di obbedire a un’autorità o a un ordine illegittimi «non è ribellione, ma fedeltà»; se la Regula Fidei è il principio supremo che trova la propria ragione nella Verità coessenziale e consustanziale a Dio[3]; se l’obbedienza stessa, come virtù morale, è ordinata al bene e quindi al Vero, perché Fede e disciplina, come afferma il prof. Trabucco, «pur diverse nell’oggetto, sono unite nel fine: la gloria di Dio e la salvezza delle anime»; come può il Professore affermare: «Non si può, dunque, difendere la verità della fede al prezzo di lacerare la comunione ecclesiale»? Posto un principio assoluto, com’è possibile derogarvi con un’eccezione che rende assoluta l’unità nell’obbedienza e relativa ad essa la Verità?

È vero il contrario: non si può difendere la comunione ecclesiale a prezzo di lacerare la Verità della Fede, perché è l’obbedienza ad essere ordinata alla Fede, e non viceversa.[4]

Aggiungo che chi contraddice, adultera o tace la Fede è il primo a dare scandalo, specialmente se si trova nella posizione di forza coercitiva di un Superiore ecclesiastico rispetto a un sacerdote o a un religioso; e che è dovere di ogni battezzato difendere e proclamare la sana dottrina e denunciare chi, costituito in autorità, ne abusa con gravissimo scandalo dei semplici, i quali giustamente sono abituati ad obbedire – istintivamente direi quasi – all’autorità della Gerarchia e considerano il suo traviamento come impensabile, in condizioni normali. Ciò vale specialmente per il sacerdote sottoposto alla giurisdizione dei suoi Superiori e alle sanzioni che essi possono comminargli: la disobbedienza doverosa ad un ordine abusivo e illecito comporta sanzioni canoniche per chiunque doverosamente resista, come auspicato da Trabucco. È questo lo scandalo: non il denunciare la corruzione dell’Autorità ecclesiastica. Così come è uno scandalo che eretici, scismatici, corrotti e fornicatori notori non siano perseguiti ma anzi incoraggiati, mentre viene dichiarato scismatico e scomunicato chiunque denuncia la crisi, ne indica le cause e i responsabili, i quali da sessant’anni detengono fraudolentemente il potere e ne possono abusare a piacimento.

La Comunione dei Santi – che è archetipo e modello della comunione ecclesiale – è fondata in Dio, che è Verità, non obbedienza. Dio non è obbediente, perché ciò presupporrebbe un’autorità a Lui superiore. L’obbedienza del Figlio – factus obœdiens usque ad mortem (Fil 2, 8) – è unità di volontà (idem velle) tra le Tre Divine Persone, senza un interno rapporto gerarchico tra Loro[5]. Al tempo stesso, Dio è il destinatario principale di ogni obbedienza, perché obbedendo ai Superiori cui Egli ha concesso autorità, noi obbediamo comunque a Dio. Ma non può esistere obbedienza, se il Superiore che chiede di essere obbedito non riconosce a sua volta l’autorità di Dio sopra di sé. Quell’obbedienza accetterebbe la premessa, anche solo teorica, di poter disobbedire a Dio per obbedire agli uomini, contravvenendo il precetto di San Pietro (At 5, 29) e rendendo l’autorità terrena autoreferenziale e quindi potenzialmente tirannica. In questo, il concetto di sinodalità si mostra come assolutamente eversivo dell’ordine voluto da Dio, in quanto manomette la struttura monarchica della Chiesa – sul modello di Cristo Re e Pontefice che ne è Capo – facendo risiedere la sovranità nel popolo (anche se in realtà il potere, come nelle repubbliche civili, è nelle mani di un’élite) e affermando «che Cristo abbia voluto che la Sua Chiesa fosse governata nel modo di una repubblica»[6].

Solo la sottomissione universale a un Dio verace e buono rende l’obbedienza mezzo sicuro di santità per chi obbedisce ai Superiori. Ed è per questo che abbiamo la ragione e il sensus Fidei: per discernere quando l’obbedienza è un atto virtuoso e quando invece «si trasforma in una deviazione che colpisce la stessa ratio dell’autorità».

Se il professor Trabucco riconosce la possibilità che vi siano Superiori ecclesiastici che impartiscono ordini contrari alla Fede o alla Morale (una possibilità peraltro confermata da quotidiani abusi dell’autorità contro i Cattolici tradizionali e da altrettanto quotidiane tolleranze verso scandali inauditi), egli deve anche ammettere da parte del sottoposto la possibilità che questi respinga gli ordini illegittimi del Superiore. La scala gerarchica della Chiesa consente di adire un’Autorità superiore quando ci si trova in conflitto con un’altra autorità a questa sottoposta. Ma se i vertici della scala gerarchica – in questo caso, il Romano Pontefice e i Dicasteri Romani – sono essi stessi coinvolti in un generale sovvertimento della Fede (ad iniziare dalla recente dichiarazione di Leone secondo cui “dobbiamo cambiare gli atteggiamenti” prima di poter cambiare la dottrina[7]) è evidente che il ricorso gerarchico è impraticabile e che nessuna autorità terrena può porre rimedio alla disobbedienza dei Superiori.

In sostanza: nell’evidente disobbedienza generale dell’Autorità a tutti i livelli, come può rimanere obbediente un sacerdote o un semplice fedele ad essa sottoposto, se non continuando ad obbedire a Dio piuttosto che agli uomini?

Questo è il vero olocausto della volontà di cui parlano i mistici: saper essere obbedienti fino alla morte, e alla morte di croce, nell’obbedienza a Dio. Ma mai, per nessun motivo, poter nemmeno immaginare di obbedire cortigianamente a Superiori eretici e scismatici, per timore di infrangere «con atti di natura scismatica» l’apparente unità della loro chiesa. Perché quell’unità che essi rivendicano è un simulacro, una finzione, una grottesca impostura dietro cui si nasconde l’indifferentismo del pantheon sinodale, nel quale trovano posto tanto i conservatori di Summorum Pontificum quanto i progressisti LGBTQ+ di James Martin, la Madonna di Fatima e la Pachamama, il Vetus e il Novus Ordo. Unico dogma irrinunciabile: riconoscere il Concilio Vaticano II, la sua ecclesiologia, la sua morale, la sua liturgia, i suoi santi e martiri e soprattutto i suoi scomunicati e i suoi eretici, ossia i “tradizionalisti radicali” non addomesticabili alle nuove istanze sinodali. Sul resto, in nome dell’unità ecumenica e sinodale, Leone ha esplicitamente detto che si può tranquillamente glissare, compreso il Filioque.[8] Ma sul Vaticano II no: esso è atto fondativo di una chiesa che nasce nel 1962 e che rivendica l’autorità della vera Chiesa, dal cui Magistero prende però le distanze e si oppone.

Ci troviamo dunque dinanzi ad un’Autorità – l’autorità suprema – palesemente disobbediente a Cristo Capo del Corpo Mistico, ma che usurpando l’autorità di Cristo pretende di decidere in cosa il sottoposto debba esserle obbediente, disobbedendo ai comandi di Dio.

Possiamo anche solo immaginare di poter riconoscere come legittima questa autorità e di doverle obbedienza, per non lacerare quell’unità che la Gerarchia ha già infranto con la propria disobbedienza a Dio? Dovremmo forse ratificare i suoi abusi, rendendoci complici dei traditori della Verità?
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo 23 settembre 2025
Lini Papæ et Martyris
Theclæ Virginis et Martyris

___________________________________
[1] Cfr. qui
[2] Cfr. qui
[3] Sant’Agostino, De Trinitate, VIII, 2: Dio è la verità stessa – ipsa veritas –, e tutto ciò che è vero deriva da Lui, perché Egli è l’origine di ogni verità.
[4] Lo ricorda anche il decreto del Sant’Uffizio del 20 Dicembre 1949 a condanna del movimento ecumenico: Questa unità non può essere raggiunta se non nel riconoscimento della verità cattolica.
[5] Sant’Agostino, In Joannis Evangelium tractatus, 51, 8: L’obbedienza di Cristo non è una diminuzione della Sua divinità, ma un’espressione della Sua perfetta unione con il Padre, poiché la volontà del Figlio è una con quella del Padre.
[6] Pio VI, Breve Super soliditate del 28 novembre 1786, a condanna del febronianesimo. Questa dottrina si inserisce nel contesto dell’Illuminismo e delle tensioni tra il potere temporale degli Stati e l’autorità della Chiesa Cattolica, promuovendo una visione che limitava il primato del Papa e rafforzava l’autonomia delle Chiese nazionali e dei Vescovi locali. Febronio (pseudonimo di Johann Nikolaus von Hontheim, Vescovo di Treviri) sosteneva che l’autorità del Papa non fosse assoluta, ma derivasse dalla Chiesa universale, intesa come comunità dei fedeli e dei Vescovi. Il febronianesimo influenzò anche il Conciliabolo di Pistoia (1786), nel quale compaiono sostanzialmente identiche le medesime istanze ereticali che ritroveremo nel Vaticano II.
[7] Cfr. qui
[8] qui

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