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mercoledì 20 maggio 2015

don Curzio Nitoglia. La Sofistica classica antenata del Nichilismo contemporaneo e della 'Nouvelle Théologie'

LA SOFISTICA IN GENERALE

La Sofistica è l’antimetafisica per eccellenza dell’antichità greca[1] (V sec. a. C.): essa è caratterizzata da un forte antropocentrismo, accompagnato da un soggettivismo relativistico e termina nel nichilismo metafisico, logico e morale.

Padre Battista Mondin, trattando la Sofistica greca del V secolo a. C., non esita a parlare di “svolta antropocentrica della filosofia”[2], la medesima svolta antropocentrica che padre Cornelio Fabro ha notato nel neomodernismo e specialmente nella nouvelle théologie di Karl Rahner[3].

Giovanni Reale (I problemi del pensiero antico dalle origini a Platone, Milano, Vita & Pensiero, 1972, pp. 232-233) divide la Sofistica in tre parti: 
  1. la prima Sofistica relativamente moderata (Protagora e Gorgia);
  2. la seconda Sofistica più radicale (Prodico, Ippia, Antifonte), che è la pura e sterile arte retorica del contendere senza oggetto; 
  3. la terza Sofistica parossistica (Crizia, Trasimaco e Callicle), caratterizzata da uomini di potere politico, i quali teorizzano un amoralismo che sfocia nel disprezzo della legge costituita[4]. 
Vedremo come molti temi introdotti cinque secoli prima di Cristo dalla prima Sofistica moderata[5] (Gorgia e Protagora) saranno ripresi dalla filosofia moderna immanentista e soggettivista, mentre quelli dei Sofisti radicali ed estremisti (seconda e terza Sofistica) saranno ripresi dal Nichilismo post-moderno e contemporaneo[6] (Nietzsche, Marx, Freud), dalla Scuola di Francoforte[7] e dallo Strutturalismo francese[8].
“Oggi il principio non è più l’essere, ma il nulla e il nichilismo costituisce il carattere dominante della nostra epoca” (B. Mondin, Manuale di filosofia sistematica, Bologna, ESD, 1999, vol. III, Ontologia e Metafisica,p. 365). 

L’oggetto della Sofistica non è più cosmologico o metafisico (come nei presocratici), ma antropologico, antropocentrico e immanentistico. I naturalisti presocratici studiavano il cosmo o la natura come principio superiore all’uomo, anche se quasi sempre non meta-fisico o meta-terreno[9], la Sofistica, invece, riduce tutto all’uomo non socraticamente, nella sua natura finita e contingente, ma come fine ultimo e misura di tutte le cose: la filosofia diventa antropologia e antropocentrismo immanentistico, che fa dell’uomo una divinità.

Socrate in parte, ma soprattutto Platone (Sofista 231 d-e[10]) e Aristotele (Confutazioni sofistiche I, 165 a 21[11]) sono stati i metafisici antisofistici per eccellenza, secondo i quali la Sofistica è l’arte di persuadere gli ascoltatori e non la ricerca filosofica della verità. 

La Sofistica si serve di ragionamenti capziosi, formalmente corretti, ma materialmente falsi per offuscare il vero e avvalorare il falso, rivestendolo di apparenze di vero.
La manipolazione odierna dell’opinione pubblica di cui ha parlato recentemente Vladìmir Volkoff[12] era già stata teorizzata dai Sofisti quattrocento anni prima di Cristo. 

Il primo filosofo moderno che ha rivalutato positivamente la Sofistica è stato non a caso Hegel (tr. it., Lezioni sulla storia della filosofia, 4 voll., Firenze, 1934, vol. II, p. 6), che faceva dell’Io assoluto, del Pensiero umano il fine e la divinità immanente, proprio come i Sofisti; ma, mentre con l’Idealismo classico della modernità idealistica (da Cartesio a Hegel) l’uomo è il fine assoluto ed è venerato come una divinità onnipotente, con la post-modernità nichilistica (da Nietzsche sino al Nichilismo della Scuola di Francoforte e dello Strutturalismo francese) l’uomo deve essere distrutto, così come il pensiero logico/razionale e l’essere finito ed infinito. Questo è il suicidio della modernità[\4], la quale ha iniziato per divinizzare l’uomo ed ha finito per volerlo uccidere in quanto immagine di Dio.

Padre Mondin ha scritto: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna che parte da Occam: epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio si identifica panteisticamente col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o “ucciso” [nichilisticamente] come realtà oggettiva in sé e per sé esistente»[15].

Hegel ha centrato il segno quando ha compendiato la Sofistica nell’antropocentrismo o nella centralità dell’uomo, nel soggettivismo che fa dell’Io l’assoluto o la divinità immanente al mondo. In breve ha visto nella Sofistica la prima tappa della Sovversione intellettuale, morale e spirituale contro la metafisica e la teologia razionale. M. Untersteiner, uno dei maggiori studiosi dei Sofisti greci, riprende la definizione hegeliana della Sofistica e specifica che la Sofistica è un’antenata dell’occamismo nominalista[16] e dell’illuminismo utilitaristico sensista britannico[17], che riduce la conoscenza umana  a pura sensazione senza nessuna razionalità e quindi senza possibilità di conoscere ciò che sta sotto i fenomeni o le apparenze, ossia l’essere. Ma ciò è la distruzione dell’intelletto umano, che per definizione intus legit (legge dentro) le apparenze delle cose materiali e conosce l’essere intelligibile della cosa sensibile, è l’abbassamento dell’uomo ad animale istintivo e la negazione della metafisica. L’apoteosi del “sentimento” tipica dell’idealismo e del modernismo è la caratteristica della Sofistica greca, come riconosce l’Untersteiner[18].

La retorica[19] è l’arma o lo strumento di cui si serve la Sofistica per ottenere il proprio scopo. Essa si divide in due parti. La prima è la Dialettica ovvero l’arte dell’argomentare, di ben parlare e del contraddire senza badare a ciò che è vero o falso ma solo a ciò che conviene, tramite la quale i Sofisti divengono maestri di tutto e del contrario di tutto. Purtroppo furono loro, nel V secolo a. C., a preparare la gioventù alla vita politica (anticipando il machiavellismo[20] di circa mille anni), la quale è la antenata dell’attuale degenerazione partitica e pragmatica della vera politica o “prudenza sociale”.

La seconda parte della retorica sofistica è la Critica, che viene adoperata per scalzare le fondamenta del realismo della conoscenza, della metafisica, dell’etica naturale. La Sofistica è caratterizzata non solo dall’indifferenza verso il meta-sensibile e il trascendente, ma anche da una vera e propria avversione contro di essi. Quindi non a torto essa è stata definita come “illuminismo greco/antico”[21], data l’illimitata fiducia che i Sofisti come gli illuministi hanno nella ragione umana.

LA PRIMA SOFISTICA
a) Il relativismo di Protagora
Protagora[22] è il primo e massimo esponente della Sofistica. Visse tra il 481 e il 411 a. C. La sua opera principale è Sulla Verità. Ragionamenti demolitori. La sua antimetafisicità è soprattutto antropologica, antropocentrica, relativistica e soggettivistica[23]. La sua tesi fondamentale è che “l’uomo è misura di tutte le cose”. Egli nega che esista una verità oggettiva e afferma la relatività e soggettività di essa. Platone (Teeteto 166 d) e Aristotele (Metafisica K 6) hanno confutato la tesi antropocentrica, relativistica e soggettivistica di Protagora. Sesto Empirico (Schizzi pirroniani, I, 216) ci spiega che “Protagora ammette solo ciò che appare agli individui e perciò introduce il principio della relatività”. Diogene Laerzio (IX, 51) ci insegna che Protagora affermava: “su ogni cosa ci sono due ragionamenti che si contraddicono tra loro”, quindi su tutto è possibile dire e contraddire, addurre ragioni che si annullano reciprocamente ed in questo anticipa il principio di contraddittorietà hegeliano (tesi, antitesi, sintesi) senza arrivare alla sintesi o alla dialettica, ma restando fermo ad un relativismo agnostico e scetticheggiante.

Egli tuttavia non giunge al parossismo del Nichilismo amorale dei Sofisti politici[24] (Crizia, Trasimaco e Callicle) delle terza Sofistica, ma si ferma alla negazione eraclitea dell’Essere come assoluto, della verità oggettiva e propugna una morale egoistica e utilitaristica (vedi nota n. 17). Il sistema etico di Protagora non è paragonabile al Nichilismo nicciano o anarcoide, ma piuttosto alla morale soggettiva kantiana[25], la quale nega l’oggettività dell’essere, della verità e della morale, però conferisce loro un carattere convenzionale, autonomo, pratico e utile alla società. Protagora non teorizza il libertinaggio o l’anarchia individuale e sociale, ma è piuttosto un “liberal/conservatore” delle istituzioni convenzionali, le quali postulano una morale soggettiva che aiuti l’uomo a vivere onestamente[26].

Tuttavia occorre fare attenzione: quando Protagora parla di virtù (“areté”) la intende, come circa mille anni dopo Machiavelli, nel senso di accortezza (“euboulìa”), ossia abilità nel parlare, e non in senso morale o etico come abitudine a fare il bene e fuggire il male morale[27]. La “virtù” quindi è l’abilità nel far prevalere qualsiasi punto di vista su quello opposto.

Dalla svalutazione della verità e della morale oggettiva ne segue immancabilmente il pragmatismo, ossia la ricerca del più utile, del più conveniente, criticata aspramente da Platone nel Teeteto (166 d).
La scienza filosofica sofistica è sganciata dalla verità ontologica o reale e si fonda sulla base dell’empirico e del fenomenologico, anticipando il sensismo britannico del XVIII secolo. Infatti per Protagora l’anima umana è nient’altro che un ricettacolo di sensazioni, come attestano Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, 51) e Platone (Teeteto, 152 a). L’uomo viene ridotto come l’animale a puro sentire e percepire.

In religione Protagora è agnostico ed infatti si è sempre astenuto dal pronunciarsi sull’esistenza o meno della divinità (v. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 51). Egli non nega esplicitamente l’esistenza di Dio, ma solo la sua conoscibilità. Quindi il suo non fu ateismo ma solo agnosticismo teologico. Il principio protagoriano dell’homo mensura omnium rerum, però, doveva portare, se esplicitato, a delle conclusione estreme e radicali, che saranno fatte proprie dalla seconda e terza Sofistica[28].
b) Il Nichilismo metafisico e logico di Gorgia
Nacque a Lentini in Sicilia verso il 484 a. C. e morì ultracentenario nel 375 circa in Tessaglia. La sua opera fondamentale è Della natura o del non essere[29]. Quest’opera di Gorgia viene definita da Giovanni Reale come “il manifesto del Nichilismo antico”[30]. L’antimetafisicità che in Protagora si era espressa abbastanza moderatamente in un soggettivismo relativistico in Gorgia fa un passo innanzi e arriva alle soglie del Nichilismo filosofico, che sarà radicalizzato dalla seconda Sofistica e spinto al parossismo con la terza come vedremo.

Gorgia si prefigge lo scopo preciso di escludere radicalmente la possibilità che Dio esista o almeno la sua dimostrabilità razionale. Il suo, secondo Giovanni Reale, non è un gioco retorico, come ha pensato invece Heinrich Gomperz (Sophistik und Rhetorik, Leipzig-Berlin, 1912, pp. 1-49).

Gorgia, come riporta Sesto Empirico, insegna che “Nulla esiste. Se anche l’essere esistesse sarebbe incomprensibile. Ammesso che fosse comprensibile sarebbe inesprimibile” (Schizzi pirroniani, VII, 65). Come si vede Protagora anticipa di circa duemila anni il Nichilismo nicciano ontologico (“l’essere non esiste”), quello logico/gnoseologico (“l’essere è inconoscibile”) e quello semantico (“l’essere è inesprimibile”), ma non arriva ancora al Nichilismo morale, che sarà la tappa ultima della terza Sofistica[31].

Quindi per Protagora (v. Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 78-80) esisteva una verità anche se relativa mentre per Gorgia non esiste non solo nessuna verità ma neppure l’essere, che è inconoscibile ed inesprimibile. Gorgia sorpassa nella negazione della verità il suo collega e maestro della prima Sofistica.

Gorgia si rifugia, quindi, nel puro empirismo sensistico, nell’opinionismo soggettivistico e relativistico e nell’etica è il fondatore di quella che sarà chiamata la “morale della situazione”del neo-modernismo[32]. Per Gorgia “i doveri morali variano secondo il momento, l’età, le situazioni sociali, in breve una stessa azione può essere buona o cattiva  a seconda di chi ne è il soggetto”[33].

LA SECONDA SOFISTICA
a) L’utilitarismo edonistico di Prodico
Prodico nacque a Ceo attorno al 470 a. C. Il suo sistema filosofico più che essere antimetafisico si disinteressa dell’ultra-sensibile e cerca di ottenere l’utilità in ogni cosa divenendo l’antenato dell’utilitarismo sensitico del XVIII secolo.

Egli ha scritto un Trattato di sinonimia per aiutare i retori a servirsi bene del linguaggio e dei termini sinonimi con una funzione solamente pratica onde manipolare l’opinione pubblica e persuadere gli uomini che il Sofista ha ragione. La Sofistica non è speculativa, osserva i fenomeni, descrive i fatti, ma è caratterizzata da un grande vuoto metafisico e antropologico. Infatti nessuno dei Sofisti ha spiegato cosa è l’uomo e quindi quali fossero i suoi bisogni reali e non apparenti (l’arte di ben parlare per convincere gli ascoltatori che si ha ragione). I Sofisti hanno perso di vista l’essere, la verità e la virtù.

La riflessione morale di Prodico[34] è espressa nel mito di “Eracle al bivio”, riportato da Senofonte (Memorabili, II, 1, 21-34). In questo mito sotto forma di dialogo si affrontano Areté e Kakìa, ossia la Virtù e il Vizio. Kakìa o il Vizio parla esplicitamente ed invita al più sfrenato e depravato edonismo. Aretè invece per molti rappresenta la Virtù in senso morale, ma, come giustamente notano  Giovanni Reale[35] e S. Zeppi[36], essa nel dialogo in questione è l’Abilità perché parla in termini di utilitarismo e non di bene o male etico. Tutti i suoi precetti sono imperativi ipotetici (se esiste una verità oggettiva allora bisogna far così…), finalizzati all’acquisizione di vantaggi pratici per vivere meglio quaggiù, come avrebbe detto Kant nella Critica della ragion pratica circa duemila anni dopo.

Prodico, addirittura, si spinge sino alla divinizzazione dell’utilità umana. Infatti l’utile per l’individuo è non solo il fondamento dell’etica ma anche della teologia. Gli Dèi per Prodico, scrive Sesto Empirico (Contro i matematici, IX, 18 e 52),  vanno considerati in ragione del vantaggio o dell’utilità che apportano all’uomo.
b) Il naturalismo amorale di Ippia
La seconda e terza Sofistica contrappone legge (nomos) e natura (physis) per svalutare la legge e renderla una pura convenzione umana. In Protagora e Gorgia non si era ancora giunti a tanto.
Ippia di Elide (V secolo) è il teorico dell’enciclopedismo, ossia del sapere tutto e poter far tutto (cfr. Platone, Protagora, 315 b-c; Ippia maggiore, 285 b ss.; Ippia minore, 368 b ss.). a tale scopo ha messo a puto un sistema mnemotecnico per ricordare una grande quantità di nozioni.

Tuttavia il punto più importante del suo sistema filosofico è l’amoralismo. Infatti Ippia considera la legge o morale, come “la tiranna degli uomini” (v. Platone, Protagora, 337 c), la quale vìola la natura. Egli quindi non solo distingue ma contrappone la legge (come qualcosa di negativo) alla natura (come qualcosa di positivo). La natura poi è la possibilità e il dovere di far ciò che si vuole. Questa concezione porta alla dissacrazione della Legge naturale e alla violazione per principio delle leggi umane o civili, in breve è la porta aperta all’anarchismo[37].
c) Il naturalismo immorale di Antifonte
Di Antifonte possediamo poche notizie. Si sa che è vissuto nel V secolo a. C. e ha scritto un’opera intitolata La Verità. Essa è stata scoperta solo dopo il 1915 da alcuni papirologi[38]. In Italia E. Bignone (Studi sul pensiero antico, Napoli, 1938) ha contribuito molto a far conoscere Antifonte. Egli ha radicalizzato l’immoralismo di Ippia ed ha portato al limite della rottura il rapporto tra legge e natura o libertà istintiva. Gli uomini devono trasgredire la legge per seguire gli istinti naturali sotto pena di cessare di essere veri uomini. Antifonte ha teorizzato anche il totale egualitarismo escludendo ogni diversità accidentale tra uomini, città e Nazioni. La terza Sofistica porterà al parossismo le conclusioni sovvertitrici della ragione e della morale della seconda Sofistica.

LA TERZA SOFISTICA
a) L’ateismo di Crizia
La terza Sofistica propugna un “immoralismo quasi totale”[39]. Crizia, nato ad Atene verso il 460 e moto nel 403 a. C., ben più degli altri Sofisti dissacrò il concetto della Divinità, considerandola uno spauracchio introdotto per frenare i malvagi e far rispettare le leggi (v. Sesto Empirico, Contro i matematici, IX, 54).
b) L’elogio della prepotenza di Trasimaco
Trasimaco[40] nacque a Calcedonia in Bitinia verso gli ultimi decenni del V secolo a. C. Egli afferma che la giustizia consiste nel vantaggio del più potente (v. Platone, Repubblica, I, 338 c) e quindi la giustizia è un bene per il prepotente e un male per la sua vittima: l’uomo buono, onesto e giusto avrà sempre e solo svantaggi, mentre il prepotente, l’ingiusto e il malvagio solo vantaggi.
c) Il superuomo di Callicle
Callicle lo troviamo presentato nel Gorgia di Platone. Egli è un personaggio letterario e non storico, ma rappresenta una corrente di pensiero della terza Sofistica che prelude al superomismo nicciano. Il più forte deve sempre sopraffare il più debole, la legge è sempre contro la natura ossia contro gli istinti materiali che devono essere sempre soddisfatti e mai educati. L’uomo forte o il “superuomo”, che soggioga e sottomette i deboli è il dio di Callicle (Platone, Gorgia, 483 c-d; 484 a).

CONCLUSIONE

Come si vede ogni errore teologico, politico, sociale, economico e morale lo si trova già espresso in filosofia. Da qui la necessità di uno studio serio e critico della storia della filosofia alla luce della vera filosofia metafisica di Platone, Aristotele e S. Tommaso d’Aquino per capire le moderne deviazioni teologiche, politico/sociali ed economico/finanziarie. 

Gli errori della modernità nominalistica (XIV secolo), umanistica (XV secolo), rinascimentale (XVI secolo), il machiavellismo, il cartesianismo (XVII secolo), l’illuminismo sensista britannico (XVIII secolo), l’idealismo germanico da Kant a Hegel (XIX  secolo) e quelli della post-modernità nichilistica (Nietzsche, Marx, Freud, Scuola di Francoforte e Strutturalismo francese) sono stati posti già nel V secolo a. C. dalla Sofistica, confutata da Platone ed Aristotele, che sono i pilastri su cui S. Tommaso d’Aquino ha costruito il suo edificio metafisico dell’essere come atto ultimo di ogni perfezione, il quale ha sublimato il concetto platonico di partecipazione e di causalità efficiente e quello del realismo moderato, dell’analogia e della metafisica della sostanza di Aristotele. Se quindi vogliamo scrollarci di dosso il giogo dei “sofisti” che dirigono politicamente il “Nuovo Ordine Mondiale” e teologicamente “l’Onu delle religioni” dobbiamo ricorrere alla metafisica tomistica come rimedio al male del mondo moderno che, come scriveva S. Pio X nell’Enciclica Pascendi (1907), “è un male dell’intelligenza: l’agnosticismo!”.

Contro ogni Sofistica vale sempre ciò che scriveva Aristotele a proposito di coloro che negano l’evidenza: “Eraclito dice di negare il principio di non contraddizione, ma allora perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b). Onde “lo scettico coerente dovrebbe chiudersi nel mutismo assoluto, perché parlare vuol dire avere ed esprimere certezze. Quindi Cratilo finì col tacere e muoveva solamente il dito” (Aristotele, Metafisica, IV, 5, 1010 a). In breve ogni uomo fuori della discussione filosofica è immancabilmente realista e per colui che diventa idealista nell’atto di filosofare vale sempre ciò che scriveva Aristotele riguardo ai sofisti del suo tempo: “non si crede a tutto ciò che si dice” (Metafisica, IV, 3, 1005 b). Infatti lo scettico Pirrone “per coerenza si sforzava di non badare ai precipizi, ma, assalito da un cane, si impaurì, ben distinguendo un cane da un agnello” (Diogene Laerzio, Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, IX, 2). Poi Aristotele concludeva: “È ridicolo andare in cerca di ragioni contro chi, rifiutando il valore della ragione, non vuol ragionare” (Aristotele, Metafisica, IV, 4).
d. Curzio Nitoglia
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1. Cfr. W. A Nestle, Storia della religione greca, Firenze, 1973; G. Reale, I problemi del pensiero antico dalle origini a Platone, Milano, 1972; Id., Storia della filosofia greca e romana, 10 voll., Milano, Bompiani, vol. 2°, Sofisti, Socrate e Socratici minori, 2004; E. Zeller – R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, 4 voll., I parte, La filosofia presocratica, Firenze, 1932-1961; W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, 1961; Id., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Brescia, 1983; R. Mondolfo, Problemi del pensiero antico, Bologna, 1935; A. Levi, Storia della Sofistica, 2 voll., Napoli, 1966, M. Timpanaro, I Sofisti, Bari, Laterza, II ed., 1954 .
2. B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, vol. 1°, p. 105.
3. C. Fabro, La svolta antropocentrica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974. Per L’ANTROPOCENTRISMO MODERNISTICO  v. la Costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes su “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (n.° 24, § 4) recita: «l’uomo è in terra la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa (“propter se ipsam”)». Durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II”, il 7 dicembre del 1965, papa Montini giunse a proclamare: «la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo». Giovanni Paolo II afferma nella sua prima enciclica (del 1979) ‘Redemptor hominis’ n. 13: «L’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché, con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero [della redenzione] del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre». Nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives in misericordia” n. 1 Giovanni Paolo II afferma: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio». Nella sua terza enciclica (del 1986) Giovanni Paolo II in ‘Dominum et vivificantem’ n. 50 scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito ad ogni carne [creatura], specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal di dentro. […] l’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di … tutto il mondo visibile e materiale […]. il Generato prima di ogni creatura, incarnandosi … si unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] ed in essa con ogni carne, con tutta la creazione». 
4. Donoso Cortès giustamente scriveva: “Dietro i sofismi filosofici vengono le eresie teologiche e dopo le eresie è il turno delle rivoluzioni politiche e del boja” (Saggio sul Cattolicesimo, il Liberalismo e il Socialismo, Milano, Rusconi, 1974).
5. Cfr. M. Untersteiner, I Sofisti, 4 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1949.
6. La natura del NICHILISMO FILOSOFICO è l’odio contro l’essere per partecipazione  (la creatura), ma soprattutto contro l’Essere per essenza (Dio) ed è il tentativo di eliminare il concetto di creazione dal nulla dando al nulla una certa realtà anti-reale. Oltre l’odio contro  Dio, la realtà e l’essere creato (Nichilismo metafisico), il Nichilismo  odia e vorrebbe distruggere 1°) la ragione umana, rimpiazzandola col sentimento e l’istinto animalesco (Nichilismo logico) e 2°) la morale oggettiva sostituita con l’amoralismo o la trasgressività (Nichilismo morale). Ma, come Aristotele aveva obiettato ai sofisti, i quali asserivano: “la verità non esiste, nulla è conoscibile con certezza”, se son certo della non esistenza della verità e della non conoscibilità della realtà, almeno questi due principi per il sofista sono veri, certi e oggettivi, così si può obiettare al Nichilismo: se nulla esiste, non ha valore e non è vero nulla, almeno questo è certo, è vero ed ha valore ed esiste.  L’anti-Decalogo nicciano può essere riassunto in due anti-comandamenti principali: 1°) se Dio non esiste tutto è permesso 2°) tranne il vero e il bene. È la follia del mondo attuale, in cui tutto è lecito tranne ricercare la verità, conformarvisi ed agire in maniera moralmente conseguente, ossia bene. Come osserva Gianfranco Morra, «Il postmoderno è ancora interno al moderno, del quale costituisce non già un oltre o un contro, ma solo una variante debole. Il postmoderno non è il superamento del moderno, ma il suo esito nichilistico. È un moderno abbacchiato e sfondato, edonistico e narcisistico, pluralistico e ludico, audiovisivo e istantaneo, consumistico e spudorato» (Gf. Morra, Il quarto uomo. Postmodernità o crisi della modernità?, Armando, Roma, 2ª ed., 1992, pagg. 19-20). Insomma la post-modernità è lo scacco o la dissoluzione suicida della modernità. Siccome, per il postmoderno, l’Essere non è, latita, sfugge, è assente, allora praticamente occorre vivere non più stabilmente, ma alla giornata, tirare a campare, lasciarsi andare, tollerarsi, spegnersi, morire, suicidarsi ed annichilarsi se mai fosse possibile. Il postmoderno è la prova del nove del fallimento della modernità, ma non ne offre l’antidoto, la via d’uscita, anzi aggrava la malattia intellettuale idealista (errore per eccesso), con l’irrazionalismo nichilista (errore per difetto) e autolesionista. «La modernità era un’epoca “giovane”, caratterizzata da forti ideali, la post-modernità, invece, è un’epoca vecchia e malata, in cui la sclerosi della decadenza diviene gusto della tolleranza, che non è tanto rispetto quanto indifferenza. Incapace di creatività... Nietzsche non usa ancora la parola postmoderno, ma un’altra che meglio definisce la crisi della modernità. Tale parola è nichilismo» (Gf. Morra, ibidem, pag. 23 e 25). Quindi Nichilismo e post-modernità si equivalgono, o meglio il Nichilismo spiega più dettagliatamente la natura del male che ci avvolge e che rischia di portare l’uomo verso l’abisso del nulla. 
7. La SCUOLA DI FRANCOFORTE trasferitasi dalla Germania in America nel 1933, vi rimase con Teodoro Adorno sino al 1950 e con Herbert Marcuse sino al 1979. Tale scuola politica era caratterizzata dalla sostituzione dell’odio di classe del proletariato della rivoluzione comunista con il pansessualismo freudiano, con lo scatenamento degli istinti e con la perdita della padronanza di sé. Gli anni Sessanta del XX secolo hanno dato inizio alla rivoluzione totale in interiore homine colla Scuola di Francoforte, che ha scatenato l’istinto contro la ragione, l’animale contro il razionale e quindi ha distrutto la libera volontà.
8. Claude Lévi-Strauss, uno dei maggiori rappresentanti dello STRUTTURALISMO FRANCESE, nel 1962 col suo “capolavoro” La pensée sauvage (Parigi, Plon) “contrappone la mentalità primitiva e selvaggia a quella ‘civilizzata’ in base all’idea della superiorità affettiva, di stampo emotivo e irrazionale”. Il suo influsso lo si nota ancor oggi specialmente sui figli del Sessantotto nei quali l’elemento razionale e volontario-libero ha ceduto il posto all’emotività sentimentalistica e irrazionale. Jacques Lacan sostanzialmente propone l’uso della psicanalisi in funzione anti-filosofica, che avversa Socrate, Platone e Aristotele e persino Hegel, poiché nega sia l’oggetto reale della filosofia classica greca, sia il soggetto assoluto della filosofia moderna idealistica, per salvare solo le relazioni o “strutture” senza i termini di esse. Secondo Lacan il vero ritorno a Freud significa ritornare a Cartesio. Tuttavia il ritorno a Cartesio va limitato al suo dubbio metodico e al primato del Cogito sull’essere, mentre tutto il resto del suo sistema filosofico va rigettato. Anzi Freud ha tolto ogni certezza che Cartesio aveva lasciato all’uomo moderno, poiché se per Cartesio dove penso là mi trovo, per Freud “io sono dove non penso” (L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud, 1957, p. 517), quindi il “non-pensieroè il centro della psicanalisi strutturalistica lacaniana, in quanto l’inconscio sta là ove manca il pensiero. Georges Bataille (Su Nietzsche, 1945) segue Nietzsche e riconosce che nel mondo contemporaneo o post-moderno Dio è morto, la Modernità lo ha “ucciso” poiché ha cercato di rimpiazzarlo con l’Uomo. Ora “se Dio non esiste tutto è permesso”. Dunque Bataille nel solco del Nichilismo totale trasgredisce tutti i principi e le norme metafisiche, morali e logiche e cerca la sua realizzazione nel violare per principio la Legge naturale oggettiva, cerca la “santità”, l’eroismo o il raggiungimento del fine ultimo mediante il peccato, l’errore e la distruzione dell’essere creato per poter insidiare, ma invano, quello Increato.
9. Per uno studio sistematico del meta-sensibile occorre attendere Platone.
10. “Il Sofista è un cacciatore stipendiato di giovani ricchi, un rivendugliolo di cognizioni importate, uno smerciatore dei propri prodotti retorici”.
11. “La Sofistica è una sapienza apparente, non reale; il Sofista la vende come se fosse vera”. Inoltre Aristotele scriveva: “Eraclito dice di negare il principio di non contraddizione, ma allora perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b). 
12. V. Volkoff, Il Montaggio, Napoli, Guida, 1993; Id., Il Re, Napoli, Guida, 1989; Id., L’interrogatorio, Napoli, Guida, 1990: Id., La désinformation arme de guerre, Parigi, Julliard, 1986 ; Id., Petite histoire de la désinformation. Du cheval de Troie à l’Internet, Parigi, éd. du Rocher, 1999; A. De Lassus, La désinformation, Parigi, AFS, II  ed., 1998.
“La DISINFORMAZIONE, cerca di sostituire delle idee false, come se fossero buone, a delle altre (che in realtà sono vere) fatte ritenere come cattive”. Si tratta di un condizionamento della mentalità degl’individui, delle famiglie, dei gruppi e dei popoli. Al tempo di Gesù il sinedrio fece accettare alla folla la falsa idea che Gesù fosse un criminale sovversivo e irreligioso, così da chiederne la crocifissione. I cosiddetti mass media e la carta stampata sono un potente strumento disinformatore. Essi oramai sono in gran parte privati e non più ‘nazionali’ e dipendono (oltre che dallo Stato, che ne mantiene una certa proprietà) soprattutto da alcuni ‘privati’ che costituiscono un potere autonomo, fondato sulla ricchezza finanziaria che influenza la vita sociale, politica e anche religiosa. La disinformazione (per es., il sinedrio con la sua autorità), quindi, prima intossica con una falsità (per es., Cristo è un malfattore e un eretico) una persona o un gruppo (i giudei e quindi Pilato con i romani), poi influenza il loro agire (‘crucifige, crucifige eum’, ‘me ne lavo le mani’). Si condizionano, in tal modo, gli spiriti e le mentalità, tramite i ‘mezzi di comunicazione’( il ‘passa parola’, oppure l’informazione pubblica stampata o audio-visiva), secondo il desiderio del ‘padrone’ di essi e così si fabbrica l’opinione pubblica. Si può e si deve reagire alla disinformazione organizzata: a) tramite lo studio della verità; b) con il non sostenere per nulla, neppure estrinsecamente o solo apparentemente, la menzogna disinformante. Il compromesso con la menzogna ci rende schiavi di essa. Restare ‘dentro’ [entrismo] un sistema che si sa essere falso, per poterlo pilotare dall’interno, non è lecito: il fine non giustifica i mezzi; c) col non restare passivi o cooperatori materiali dell’errore, ma denunciarlo, non subirlo, non ‘cavalcarlo’(ne saremmo vittime, forse incoscienti, ma pur sempre vittime: ‘cavalcare la tigre’ significa esserne, prima o poi, sbranati); d) col testimoniare la verità positivamente, dopo aver dimostrato pubblicamente “insottomissione all’errore” [Soljenitsin]; e) non dialogando col demonio: Eva ci sia d’esempio (‘Pour souper avec satan il faut une longue cuillière’).    
13. “Con i Sofisti il pensiero acquista coscienza di sé come di un’essenza assoluta e unica. La soggettività fa di sé un principio primo e un assoluto, che tutto riferisce a sé ”.
14. Cfr. A. Del Noce, Il suicidio della Rivoluzione, Milano, 1978; Id., Il cattolico-comunista, Milano, 1981, Id., Cristianità e laicità, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 161-169; Id., Appunti sull’irreligione occidentale. In Il problema dell’ateismo, Bologna, Il Mulino, 1964, pp. 293-333. 
15. B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., p. 373.
16. Il NOMINALISMO OCCAMISTA  è erede della sofistica greca antica, combattuta da Socrate, Platone e Aristotele (C. Giacon, Occam, Brescia, La Scuola, II ed., 1945, p. 120). Successivamente è stato ripreso dall’empirismo o sensismo inglese, secondo cui la conoscenza umana non è  razionale, ma solamente sensibile. Il nominalismo è all’origine dell’individualismo sensista filosofico, del liberalismo politico e del liberismo economico e quindi del libertarismo morale. Infatti secondo il nominalismo si può conoscere solo il fatto e il singolo nella sua singolarità sensibile. Quindi esso è l’apoteosi dell’individualismo e la negazione della metafisica, della speculazione intellettuale, della sana ragione e del senso comune. Il nominalismo radicale di Occam riduce la metafisica alla logica e l’essere al pensiero, deprime la capacità della ragione umana di conoscere la realtà e spalanca la via allo scetticismo e all’agnosticismo posteriori. “Occam col suo nominalismo logico, che nega il valore oggettivo della conoscenza razionale, e con il suo pre-agnosticismo metafisico, che sopprime le basi razionali della fede e porta al soggettivismo e allo scetticismo, […] influì sulla formazione della filosofia moderna” (Occam, Brescia, La Scuola, II ed., 1945, p. 120). 
17. Secondo l’UTILITARISMO non esiste un valore assoluto morale oggettivo, l’atto umano non è buono o cattivo in sé, ma tutto dipende dall’utilità e dalle conseguenze pratiche di esso, ossia, se l’atto produce conseguenze positive o mi è utile, allora è buono per me; altrimenti è cattivo per me: “Ciò equivale a dire che l’omicidio di un innocente…, la bestemmia ecc., non sono atti sempre ed in ogni circostanza malvagi, ma possono acquisire di volta in volta una qualificazione morale diversa, ossia non sono cattivi in ogni luogo né in ogni circostanza”. La conseguenza del pensiero utilitarista è il cosiddetto “principio di Caifa”, secondo il quale è meglio che un solo innocente muoia per la salvezza di tutto il popolo. Non esiste il bene o il male in sé, ma solo “per me/noi”. L’utilitarismo comporta l’ edonismo psicologico, ossia la ricerca del piacere e la fuga dal dolore. Secondo il londinese Geremia Bentham il piacere coincide con ciò che mi è utile. L’edonismo ricerca il piacere non nel futuro o nell’aldilà, ma nel presente in atto. 
18. M. Untersteiner, Sofisti. Testimonianze e frammenti, 4 voll., Firenze, la Nuova Italia, 1949, II ed., p. 90-92.
19. Cfr. Heinrich Gomperz, Sophistik und Rhetorik, Leipzig-Berlin, 1912; Th. Gomperz, Leipzig, 1896, tr. it., Pensatori greci. Storia della filosofia antica, 4 voll., Firenze, 1933.
20. MACHIAVELLI (1469-1527) è il pensatore che ha teorizzato in maniera sistematica l’autonomia della politica dalla morale. Secondo Machiavelli politica e  morale non debbono combattersi, ma neppure essere subordinatamente coordinate (agnosticismo sociale). Esse, per Machiavelli, esistono indipendentemente e separatamente l’una dall’altra e debbono ignorarsi senza farsi guerra. Il machiavellismo è un sorta di indifferentismo o agnosticismo politico. Non è la lotta contro la morale, ma è il non volersi porre il problema etico e dunque agire in società, ossia politicamente, come se la morale oggettiva non esistesse per il Principe.  L’uomo di Stato o il Principe, secondo Machiavelli, dirigendo lo Stato verso il suo fine che sono la felicità e la sicurezza puramente naturali dei cittadini, deve prendere, in teoria e in pratica, soltanto quei mezzi che risultano migliori per il suo scopo, che è la “ragion di Stato”, indipendentemente dalla legge morale oggettiva e universale anche ma non necessariamente contro di essa, anche se eventualmente sì, ove esse entrino in contrasto. Secondo il Fiorentino esiste solo la natura e non la grazia, la quale tuttavia può aiutare i cittadini a vivere nell’obbedienza al Principe, mentre per Lutero solo la grazia può integrare la natura intrinsecamente corrotta e malvagia. L’errore fondamentale della nuova politica machiavellica consiste nel voler sostituire alla morale oggettiva e naturale e alle  regole oggettive di essa gli interessi dello Stato e del Principe. Come Lutero ha introdotto il soggettivismo in religione, Cartesio in filosofia, Machiavelli lo introduce nella politica. La filosofia politica tradizionale voleva unire la Società a Dio, mentre quella moderna vuole una politica autonoma dalla morale e da Dio. La politica moderna (ossia il machiavellismo) è segnata, come il luteranesimo, da un grave errore: la separazione o la confusione (giacché ogni eccesso è un difetto e gli estremi, nelle eresie, si ricongiungono) tra natura e Grazia, ragione e Fede, fine prossimo e Fine ultimo dello Stato. Il mondo moderno politicamente, specialmente con Machiavelli, considera solo il piano naturale (peraltro senza rispettarne l’ordine) ignorando quello soprannaturale, mentre con Lutero considera solo quello soprannaturale, (che sarebbe dovuto alla natura), per cui senza la grazia tutto è peccaminoso. Luteranesimo e machiavellismo sono le due facce contrapposte di una stessa medaglia. 
21. Cfr. G. Saitta, L’illuminismo della sofistica greca, Milano, 1938
22. S. Zeppi, Protagora e la filosofia del suo tempo, Firenze, 1961.
23. Cfr. G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2, pp. 55-67.
24. “Dietro i sofismi filosofici vengono le eresie teologiche e dopo le eresie è il turno delle rivoluzioni politiche e del boja”. Donoso Cortès, Saggio sul Cattolicesimo, il Liberalismo e il Socialismo (Milano, Rusconi, 1974).
25. La MORALE AUTONOMA o agnostica vuol ignorare ogni oggetto da cui l’uomo possa dipendere e rifiuta di porsi il problema della verità. L’agnosticismo limita la possibilità di conoscere la verità soprattutto riguardo a Dio, che sarebbe totalmente inconoscibile dall’uomo. Esso riduce la conoscenza umana da razionale a puramente sensibile o animale. Quindi trascura le essenze, il perché delle cose, il Trascendente. Non nega li per principio o teoreticamente, come fa l’ateismo, ma è indifferente, li neglige, non se ne cura, anzi afferma che in pratica è meglio non pensarci. In questo senso è una filosofia peggiore anche dell’ateismo, che almeno si pone il problema di Dio, ma poi lo nega. Il modernismo, adottando l’agnosticismo kantiano, è una forma di agnosticismo teologico, che risolve il problema di Dio per via di sentimento o esperienza religiosa. In campo filosofico l’agnosticismo ha il suo massimo rappresentante in Kant, che limita la capacità conoscitiva razionale ai soli fenomeni  e la nega per conoscere il noumeno o essenza intelligibile, che sottostà al fenomeno sensibile. 
26. Cfr. E. Dupréel, Le sopistes, Neuchatel, 1949, p. 25.
27. L. Robin, Storia del pensiero greco, Torino, 1951.
28. Cfr. G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2,  p. 68.
29. Di quest’opera ci son giunte due redazioni: una tramite Sesto Empirico (Contro i matematici, VII, 65 ss.) e la seconda tramandataci dall’anonimo autore del De Melisso Xenophane Gorgia (pervenutoci fra le opere di Aristotele. In italiano lo si può leggere in M. Untersteiner, Sofisti. Testimonianze e frammenti, Firenze, La Nuova Italia, II ed., 2° vol., 1949.
30. Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2, p. 69.
31. Cfr. M. Migliori, La filosofia di Gorgia, Milano, 1973.
32. L’errore principale, che sta alla base della morale soggettivista e relativista detta MORALE DELLA SITUAZIONE, risiede nella filosofia sofistica e poi nominalista (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. II, voce “Morale della situazione”, pp. 1065-1067, a cura di Pietro Palazzini), nella filosofia moderna e contemporanea e nella teologia protestantica e modernistica, che sostituiscono l’io pensante alla realtà oggettiva ed annullano la libertà umana ed il valore delle opere buone oggettive e reali per rimpiazzarle col sentimento morale soggettivistico dell’uomo, che si trova a vivere ed agire in una particolare situazione. La conclusione pratica e morale del nominalismo, negando filosoficamente che ogni uomo mantiene la stessa essenza o natura di essere umano (animale razionale e libero) nelle situazioni particolari e concrete in cui si trova a vivere, è che la situazione soggettiva ha il primato sulla legge morale e diventa, così, la regola dell’agire etico dell’uomo. È la situazione soggettiva che rimpiazza la legge e la morale oggettiva. È per questo che Occam nega la moralità intrinseca della azioni umane, poiché nominalisticamente il criterio della moralità è estrinseco all’oggetto dell’azione umana (G. Occam, In IV Sent., q. 9; Centiloqium theologicum, conclusione 7, B, F).
33. G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2, p. 77.
34. Cfr. S. Zeppi, L’etica di Proclo, in Studi sulla filosofia presocratica, Firenze, 1962, pp. 103-115.
35. Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2, p. 88.
36. S. Zeppi, L’etica di Proclo, cit., p. 115, nota 7.
37. L’ANARCHIA propugna la rivolta contro ogni autorità, non solo quella statale, ma anche umana e divina per arrivare all’autonomia assoluta dell’individuo. Il suo motto è “né Dio, né padrone!”. 
38. Cfr. l’edizione e la traduzione dei frammenti di Antifonte in F. Decleva Caizzi – E. Bastianini, Corpus dei papiri filosofici greci e latini, parte I, vol. 1°, Firenze, 1989, pp. 176-227. 
39. G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. 2, p. 104.
40.Cfr. M. Untersteiner, I Sofisti, c, cit., vol. II, pp. 175-178.

1 commento:

Silvano ha detto...

Ottima trattazione. Chiara e istruttiva.