Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 19 novembre 2024

L'antifona al Communio 'Amen Dico Vobis'

Da dove viene questa antifona al Communio spesso ripetuta ma apparentemente "fuori campo" - usata per tutte le domeniche "traslate" prima dell'ultima domenica dopo la Pentecoste? Leggete questo affascinante articolo per scoprirlo, nella nostra traduzione da New Liturgical Movement. Ascolto qui. (Trovate la meditazione e il proprio di Domenica scorsa qui)

L'antifona al Communio Amen dico vobis

Nelle domeniche dopo la Pentecoste, la maggior parte dei Canti eucaristici sono tratti dai Salmi, come lo sono in effetti la maggior parte dei canti propri gregoriani durante tutto l’anno. Ci sono alcune eccezioni, tuttavia, come i due canti tratti da Giovanni 6, nella 9ª e 15ª domenica, e un altro da Sapienza 16 la 13a: “Ci hai dato il pane dal cielo, o Signore…”. Sono ovviamente scelti in riferimento all’Eucaristia, sebbene non sia mai stata un’abitudine del Rito Romano (né, in effetti, di alcun rito storico) essere costantemente ovvio nella sua scelta e disposizione dei testi liturgici, specialmente nei periodi senza un tema sovrastante come l’Avvento o il Tempo di Passione. In Quaresima, un certo numero di antifone eucaristiche sono tratte dal Vangelo del giorno, e ce n’è una anche nel periodo dopo la Pentecoste, nella terza domenica.

Tuttavia, l'antifona al Communio delle domeniche di fine anno, dalla 23ª domenica fino all’ultima, può sembrare un po’ enigmatica, poiché ha un testo che non ha alcun riferimento evidente all’Eucaristia, tratto da un Vangelo che non fa affatto parte del ciclo temporale.
Communio Amen, dico vobis, quidquid orantes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis. [(In verità vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. (Marco 11, 24)]
La spiegazione di ciò risiede in una caratteristica che si trova nelle prime fonti del Rito Romano, che è stata mantenuta in molti dei suoi usi fino al tempo della riforma tridentina, ma che non faceva parte dell’uso della successiva corte papale medievale, che divenne il Messale di San Pio V. Nei primi lezionari romani, epistole e vangeli propri sono assegnati ai mercoledì e ai venerdì delle settimane dopo l’Epifania e la Pentecoste, come anche a quelli dell’Avvento e del Tempo Pasquale. Questa Antifona eucaristica è tratta dal Vangelo che è assegnato al mercoledì della 23ª domenica dopo la Pentecoste, Marco 11, 23-26, nel secondo lezionario più antico del Rito Romano, il capitolare di Murbach, ca. 750 d.C.
“[Gesù allora disse loro: ‘Abbiate fede in Dio!] In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. * Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati. Ma se non perdonerete, neppure il Padre vostro che è nei cieli vi perdonerà i vostri peccati’”.

Non c’è una ragione immediatamente evidente per cui l'antifona debba essere presa dal Vangelo feriale piuttosto che da quello della domenica, ma questo non è l'unico caso del genere. L'antifona eucaristica delle domeniche da terza a sesta dopo l’Epifania è Luca 4, 22, la fine di un Vangelo feriale da tempo obsoleto attestato nel più antico lezionario romano, il capitolare di Würzburg, ca. 650. Dovremmo notare di sfuggita che quando Sacrosanctum Concilium propose di ampliare il corpus delle letture scritturali nella messa (nei paragrafi 35 e 51), il contesto più ampio del documento rende chiaro che ciò a cui si riferiva era la rinascita di un’usanza autenticamente antica e romana come questa, e non la creazione di un lezionario completamente nuovo fondato su più di un concetto errato.

Sebbene questo brano manchi nelle edizioni medievali del Messale Romano e nelle prime edizioni stampate basate su di esse, tornò di uso comune con la pubblicazione del Messale di San Pio V, in cui forma il Vangelo per la Messa di San Gregorio Taumaturgo, la cui festa cade oggi. (La selezione dei versetti non è esattamente la stessa; include il versetto 22, tra parentesi sopra, e termina con l’asterisco rosso). Il motivo è che si dice tradizionalmente che Gregorio abbia spostato parte di una montagna, come spiegato nelle lezioni del 3° Notturno del Mattutino nel giorno della sua festa, che sono tratte dal commento di San Beda al Vangelo di Marco.

“I pagani, che hanno scritto maledizioni contro la Chiesa, sono soliti rimproverare il nostro popolo dicendo che non ha avuto piena fede in Dio, perché non è mai stato in grado di spostare le montagne. A questi si dovrebbe rispondere che non sono state scritte tutte le cose che sono state fatte nella Chiesa, come fa la Scrittura quando rende testimonianza riguardo alle azioni di Cristo nostro Signore. (Giovanni 21, 25) Per cui può anche accadere che una montagna sia sollevata e gettata nel mare, se ciò fosse necessario, come leggiamo che è stato fatto dalle preghiere del beato padre Gregorio, vescovo di Neocesarea nel Ponto, un uomo eccezionale nei suoi meriti e nelle sue virtù, perché quando volle costruire una chiesa in un luogo adatto, ma vide che era troppo stretto, essendo incastrato tra un precipizio sul mare da un lato e una montagna dall’altro, vi andò di notte e, inginocchiatosi, rammentò al Signore la Sua promessa… e al mattino… scoprì che la montagna aveva lasciato tanto spazio quanto i costruttori avevano richiesto per la chiesa. Perciò quest’uomo, o un altro uomo di pari merito, avrebbe potuto anche, se necessario, ottenere dal Signore, per merito della sua fede, che una montagna venisse rimossa e gettata nel mare”.

In piena sintonia con le tradizioni esegetiche dei Padri precedenti, San Beda prosegue dando anche una spiegazione spirituale di questo brano. “Ma poiché con il termine ‘montagna’ a volte si intende il diavolo — a causa dell’orgoglio con cui si eleva contro Dio, desiderando essere simile all’Altissimo (Isaia 14, 14) —, si solleva e si getta nel mare una montagna al comando di coloro che sono potenti nella fede quando i santi maestri predicano la Parola, e uno spirito immondo viene scacciato dai cuori di coloro che sono preordinati alla vita eterna…”.
Gregory DiPippo, Domenica 17 novembre 2024

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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2 commenti:

Sulla preghiera ha detto...

La preghiera ardente e il santo distacco dal risultato

La preghiera fiduciosa è una implicita lode a Dio perché riconosce l’impotenza del soggetto orante e l’onnipotenza del Destinatario. Quando chiediamo, bussiamo, cerchiamo e imploriamo l’Altissimo per ottenere una grazia o un miracolo non dobbiamo dimenticarci di considerare che Dio vede oltre la nostra contingenza attuale, Egli scruta le miriadi di conseguenze che soggiacciono ad un Suo intervento.
Il piano spirituale è quello su cui tutto ruota, infatti anche la volontà di permissione ha dei risvolti inimmaginabili per quanto difficilissimi da accettare sul piano temporale. È stato giustamente notato che in ogni albero genealogico ci possono essere creature nate da violenze, da tradimenti, matrimoni privi amore o semplicemente non volute dai genitori. Eppure se si saltasse uno solo di questi “eventi” noi, non di rado prigionieri della nostra supponenza, non saremmo su questa Terra.
Chi prega e sa fidarsi, si fida perché ha compreso che Dio non solo non sbaglia, ma pone rimedi fantastici alle nostre misere mancanze di fede e fantasia.

“Signore, vorrei tanto che accadesse questa cosa, ma non so se mi darà veri benefici materiali e spirituali a lungo termine, quindi giacché Tra noi due non sono certo io Dio, lascio fare a Te, convinto come sono che hai la soluzione migliore in assoluto. Amen”
RB

Anonimo ha detto...

Gaudent in cælis ánimæ Sanctórum Ordinis Nostri, qui Christi vestigia sunt secúti: ídeo cum Christo exsúltant sine fine.

Tertiodécimo Kaléndas Decémbris - In festo Omnium Sanctorum Ordinis Militum
S.cti Ioannis Hyersolymitani