Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 5 febbraio 2022

Se qualcuno dice che la liturgia tridentina è ancora lex orandi: anathema sit!

Qui l'indice degli articoli su Traditionis custoders e Responsa.
La violenza dell’offensiva scatenata da papa Francesco contro la liturgia tradizionale, colpevole di prosperare mentre stride con eccessiva evidenza con la liturgia nuova, ha sorpreso persino gli ambienti progressisti. Questa violenza è prima di tutto nella sostanza, Traditionis custodes annulla Summorum Pontificum su di un punto importante: «Queste due espressioni della lex orandi della Chiesa [il messale promulgato da Paolo VI ed il messale promulgato da Pio V e rieditato da Giovanni XXIII] non inducono alcuna divisione nella lex credendi della Chiesa: sono in effetti due attuazioni dell’unico rito romano», affermava Benedetto XVI. Proprio ciò che Francesco confuta: «I libri liturgici promulgati dai Santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono la sola espressione della lex orandi del Rito Romano».

Ma Traditionis custodes non è un ritorno puro e semplice alla promulgazione della riforma di Paolo VI. Succedendo a Summorum Pontificum, rappresenta un rafforzamento del suo significato.

Richiamo sulla massima Lex orandi, lex credendi
Si prega ciò che si crede, si crede ciò che si prega. Il culto divino, di cui si avvale la Chiesa, è un vettore privilegiato della professione di fede. La famosa massima: lex orandi, lex credendi esprime le relazioni strette del culto divino con le sue preghiere, con i suoi gesti, con i suoi simboli e la professione di fede, il catechismo, il dogma. «Dal modo in cui dobbiamo pregare, impariamo ciò che dobbiamo credere: legem credendi statuat lex supplicandi, che la legge della preghiera regoli la legge della fede», diceva una lettera ai vescovi della Gallia attribuita a papa Celestino I (si basava sulle «formule delle preghiere sacerdotali», le collette della messa, per rispondere all’eresia pelagiana).

Pio XII aveva fatto una precisazione nell’enciclica Mediator Dei, che gli esperti audaci del Movimento liturgico, cui essa era rivolta, avrebbero dovuto prendere sul serio: la liturgia non è un campo di sperimentazione che poi la Chiesa approva, come se il magistero fosse al rimorchio della prassi, ma è prima di tutto perché sottoposta al supremo magistero che la preghiera della Chiesa «fissa» la regola della fede come una delle modalità d’espressione di questo stesso magistero.

Ciò che, in relazione alle modifiche – generalmente molto lente, organiche come si dice – che la Chiesa romana approva nella tale parte del suo culto o di quelle ch’essa apporta promulgando un ufficio o una messa o procedendo alla tal riorganizzazione nel calendario, nel rito, nel breviario, ci assicura che, quanto meno, esse non contengano errori e che possano anche apportare precisazioni dottrinali (l’istituzione della messa e dell’ufficio di Cristo Re da parte di Pio XI).

Per la natura propria di ciò ch’è il magistero – la trasmissione del deposito rivelato -, la formulazione successiva non contraddice mai la precedente, ma la chiarisce. Ad esempio, le parole transustanziato, transustanziazione, canonizzate nel XIII secolo da Innocenzo III e dal IV Concilio Lateranense, esplicitano il termine di conversio del pane e del vino in Corpo e Sangue, utilizzato da sant’Ambrogio nel suo De Sacramentis. Parlare oggi di conversio resta in un ambito perfettamente cattolico; al contrario, attenersi al termine conversio rifiutando quello di transustanziazione sarebbe assai sospetto. [vedi: Maria Guarini, La «Sacrosanctum Concilium» oltrepassa la «Mediator Dei»].

Non si può fare un’analogia rigorosa con la successione delle «formulazioni» del culto, ma il principio è identico: «Così come, in effetti, nessun cattolico serio può, per tornare alle antiche formule impiegate dai primi concili, scartare quelle espressioni della dottrina cristiana che la Chiesa, sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito divino, ha nelle epoche più recenti elaborato e decretato dover essere tenute, […] allo stesso modo, quando si tratti di sacra liturgia, chiunque volesse tornare agli antichi riti e costumi, in virtù del mutamento delle circostanze, costui evidentemente non sarebbe per niente mosso da una sollecitudine saggia e giusta[1]». Così, supponendo di poter conoscere la liturgia della Messa di Roma tal quale fu celebrata nell’Antichità cristiana, diciamo nel IV secolo, prima d’esser arricchita dalle numerose preghiere di glossa fiorite tra il VII e l’XI secolo, non ci si sognerebbe di negare il valore chiarificante apportato da queste preghiere durante la Messa e tali da sottolineare il suo significato, soprattutto quello dell’offerta del sacrificio.

Una liturgia in qualche modo regressiva
Evidentemente non abbiamo fatto l’esempio di cui sopra a caso. Uno dei modi – un modo benevolo – per definire la difficoltà che pone il Vaticano II e la liturgia composta a seguito di tale concilio è dato dal fatto che vi sia stata una sorta di regressione nella formulazione dottrinale e nel suo equivalente cultuale.

L’esempio dottrinale più spesso citato è quello del n. 8 di Lumen Gentium, dove viene affermato che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, mentre Mysticis Corporis di Pio XII sosteneva che la Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa cattolica ed il Corpo mistico di Cristo[2]. Qualora non si voglia parlare di equivocità, si dirà quanto meno d’esser passati dalla chiarezza all’evanescenza.

Nella nuova liturgia della messa, l’indebolimento dell’espressione sacrificale è certamente il punto più grave da rimproverare. Ciò si manifesta, in particolare, con la soppressione delle preghiere dell’offertorio, preghiere di glossa contro cui tuonavano Padre Joseph-André Jungmann, S.J., e l’oratoriano Louis Bouyer, che militavano per la restituzione di un rito romano antico, «puro» rispetto a qualsiasi aggiunta. Esse sono state rimpiazzate da una «preparazione dei doni», fatta di preghiere ispirate da benedizioni ebraiche, che si pensava ingenuamente che Gesù avesse potuto pronunciare durante la Cena [vedi].

Certo, non ci sono stati solo ritorni nella riforma, ci sono stati anche dei contributi, il principale dei quali è la maggior partecipazione del popolo da essa attuata, e che Francesco sottolinea nella lettera ai vescovi, che Traditionis custodes: «Tra i desideri, che i vescovi [del Vaticano II] hanno espresso con maggiore insistenza, emerge quello di una partecipazione piena, cosciente e attiva da parte di tutto il Popolo di Dio alla liturgia» [qui]. In realtà, la partecipazione dei fedeli era ben nota anche prima del Concilio, per il fatto d’esser stata promossa da Pio X per la messa cantata, da Pio XI e Pio XII per la messa bassa (cfr. l’istruzione de Musica Sacra et Sacra Liturgia del 1958). Sopravvalutare la partecipazione mediante la riforma liturgica è uno degli elementi, e non l’ultimo, che provoca le fragilità, che si possono notare nelle nuove forme liturgiche, in particolare l’immanentizzazione del culto divino, da cui il mistero esce smorzato (celebrazione verso il popolo, toccare l’ostia), la sua laicizzazione (ministeri laici di uomini e donne), la sopravvalutazione ch’esso fa dell’assemblea autocelebrante [qui]. 

Così la nuova liturgia, manifestando la volontà di tornare alle forme antiche, adattate agli uomini di questo tempo, diffonde un messaggio, per il quale la presenza reale, il sacrificio sacramentale, il sacerdozio gerarchico vengono espressi in maniera più impressionistica d’un tempo.

Il parere di Traditionis custodes
Davanti alla difficoltà del tutto specifica posta da un insegnamento nuovo e da una liturgia nuova, la cui continuità viva con quanto precede non è evidente, Benedetto XVI ha fatto ricorso all’«ermeneutica del rinnovamento nella continuità». Quali che siano i limiti di questo tentativo – in realtà, sono le ultime elaborazioni della Chiesa docente a rappresentare l’ultima parola della tradizione interpretativa[3] -, è applicandolo al culto divino che Benedetto XVI aveva immaginato la coesistenza di quanto aveva qualificato come le due «forme» di un unico rito. A quanti faccian ricorso all’una ed all’altra forma, papa Benedetto ha voluto far capire, su base pressoché volontaristica, che la forma antica non veniva contraddetta dalla nuova: la presenza viva della liturgia antica accanto alla liturgia nuova attestava – affermava nella sua lettera ai vescovi, lettera che accompagnava il suo motu proprio – che «la storia della liturgia è fatta di crescita e di progresso, mai di rottura» e dunque che «quanto era sacro per le generazioni precedenti resta grande e sacro per noi e non può all’improvviso ritrovarsi totalmente vietato o addirittura esser ritenuto nefasto».

Questo riconoscimento inedito, da parte dell’autorità incaricata della liturgia nuova, circa il diritto all’esistenza della liturgia antica intendeva dunque attestare, contro le critiche di molti anziani e contro le affermazioni di molti moderni, che la seconda si poneva in continuità con la prima. Se ne poteva discutere, ma tale era il messaggio di Benedetto: il messale del Vaticano II ed il messale di Trento erano conciliabili. Ciò che Francesco contesta: la liturgia tridentina ormai non saprebbe più esprimere la fede della Chiesa.
Don Claude Barthe - Fonte: Res Novae
__________________________
[1] Pio XII, Mediator Dei.
[2] «Ora, per definire, per descrivere questa vera Chiesa di Gesù Cristo – quella che è santa, cattolica, apostolica, romana -, non si può trovare nulla di più bello, nulla di più eccellente, nulla infine di più divino di questa espressione che la designa come “il Corpo mistico di Gesù Cristo”».
[3] Cfr. Il Vaticano II e il Calvario della Chiesa – Res Novae – Perspectives romaines : «Aver bisogno dell’ermeneutica per risolvere il problema della continuità è già un problema in sé. In claris non fit interpretatio, dice una massima ben nota, secondo la quale è perché la continuità ha bisogno d’esser dimostrata dall’interpretazione che occorre un’ermeneutica».

14 commenti:

Anonimo ha detto...

"la maggior partecipazione del popolo"
Se anche il popolo non vi fosse presente o non potesse esserci, la S.Messa il Santo Sacrificio di NSGC officiato dal solo Sacerdote non e' piu' che sufficiente all'Eterno Padre per la riparazione dei peccati dell'umanita'?

Anonimo ha detto...

"... il saper vivere pacificamente con persone dure e perverse, con i maleducati o con quelli che ce l' hanno con noi ... è grazia grande e degna di molta lode, e atto coraggioso"
(da "L' imitazione di Cristo")

Anonimo ha detto...

https://scenarieconomici.it/green-pass-stroncato-dal-consiglio-deuropa-nessuno-deve-farsi-vaccinare-se-non-lo-vuole/

Anonimo ha detto...

Il celebre scrittore Julien Green (1900-1998) dall’Aglicanesimo si convertì al Cattolicesimo. Ma quando ci fu la riforma liturgica vide quanto questa facesse somigliare il rito cattolico a quello protestante. E allora si chiese con autoironia il perché della sua conversione... Un giorno ero in campagna con mia sorella Anna, assistemmo ad una Messa, in televisione: quella domenica il parroco del villaggio era assente. Mi ricordo che, girando le pagine del mio messale francese, mi sforzavo di riconoscere sullo schermo qualcosa che somigliasse ad una Messa. Ciò che riconobbi, come Anna da parte sua, fu una imitazione assai grossolana del servizio anglicano che ci era familiare nella nostra infanzia. Il vecchio protestante che sonnecchia in me nella mia fede cattolica si risvegliò davanti all’evidente ed assurda impostura che ci offriva lo schermo, e, terminata quella strana cerimonia, domandai semplicemente a mia sorella: “Perché ci siamo convertiti?” J.Green, Ce qu’il faut d’amour à l’homme, 1978

Anonimo ha detto...


qualcosa di simile al commento smarrito di Julien Green si dissero anche ebrei convertiti al cattolicesimo.
Diversi di loro tornarono all'ebraismo.
Ma non solo il culto, la Messa, anche tutto il rimanente è stato ridotto dalle riforme ispirate dal Concilio (e da chi sennò?) ad una farsesca imitazione del cattolicesimo.
P.

Pio ha detto...

Ciò che si chiedeva J.Green è evidenza della decattolicizzazione in atto a partire dal CV2, allo scopo di giungere ad una religione universale, un sincretismo illuminato.
Sintomo grave di vacanza della sede papale, o privazione della sede, secondo la Tesi di Cassiciacum.

Bernardo Guerrini ha detto...

Purtroppo ascoltando la Messa di sempre, nel Canone Romano pregherò soltanto con queste parole.. ""Pro Ecclesia tua Sancta Catholica et omnibus Orthodoxis atque catolicae et apostolicae fidei cultoribus.. "" sperando che Dio l'accetti.. voglio pregare per la vera Chiesa Cattolica con il Liber Usualis.. eliminando ciò che oggi c'è di falso..

Bella omelìa: ha detto...

V Domenica dopo l'Epifania - Santa Messa cantata della FSSPX Italia
https://www.youtube.com/watch?v=T7-Hk7u2wuo

https://www.santodelgiorno.it/santa-dorotea/ ha detto...

Nome: Santa DoroteaTitolo: Vergine e martireNascita: III Secolo, Cesarea di CappadociaMorte: 311, Cesarea Mazaca , Ricorrenza: 6 febbraio

Tanti auguri di Buon Onomastico alla Sig.ra Dorotea !

E' una domanda : Una giornata per la vita e domani parliamo d'altro? ha detto...

Omelìa Santa Messa nella giornata per la vita presieduta da Mons. Guido Marini in diretta streaming 06.02.2022
https://pt-br.facebook.com/radiopnr/videos/santa-messa-nella-giornata-per-la-vita-presieduta-da-mons-guido-marini-in-dirett/351644246964346

Anonimo ha detto...

Il problema è proprio nella "Summorum pontificum" di Benedetto XVI. I sacerdoti hanno il diritto di celebrare la Messa romana grazie all'indulto PERPETUO di San Pio V. Non c'è una duplice esoressione dello stesso rito romano. Il rito romano ha una sola espressione, quella di San Pio V.
Giuseppe Fioretti

mic ha detto...

Io non ho visto la trasmissione, mi manca lo stomaco
Cito Antonio Caragliu
Sarà interessante verificare i dati auditel.
Fazio, che mi provoca repellenza come tutto ciò che è viscido, è un professionista della televisione. Ne conosce molto bene i meccanismi e i tempi. E mi pareva preoccupato. Non certo entusiasta.
Il punto è che Bergoglio è abituato a conferenza stampa in aereo in cui il pubblico è composto da giornalisti che pendono dalle sue labbra attenti ad ogni sua virgola perchè è il loro lavoro e il Papa, nonostante i modi affabili, ha un'autorità indiscussa nell'organizzazione del volo papale (e dei giornalisti accreditati).
Inoltre il successo di queste conferenze stampa ad alta quota è dato dal lavoro redazionale che, da un comizio di un'ora e passa, estrapola la battuta sorprendente, lo spunto polemico...
Questa consuetudine deve avere procurato l'illusione a Bergoglio di essere un abile e coinvolgente conversatore. Ma così non è.
Il linguaggio povero e sintatticamente destrutturato intercalato da pause alle quali seguono banalità social-sentimentali degne di ben altre tempistiche e attenzioni mediatiche non viene qui mediato dal taglia e cuci e dal lavoro di confezionamento redazionale dei giornalisti. La miseria passa senza mediazioni.
Ora, è chiaro che, essendo Bergoglio di sinistra (perchè è questa l'etichetta che lo ha protetto e lo protegge) l'atteggiamento benevolo nei suoi confronti non verrà meno e le critiche saranno tutt'al più felpate. Perchè un papa così è comodo.
Ciò non toglie che questa operazione è stata un totale autogol sotto l'aspetto comunicativo.
E il sigillo all'inequivoca decadenza di questo pontificato.
Che dopo tanti, tra quelli che contano nella politica e nei media, non lo ammettano pubblicamente è un altro paio di maniche.
Ma il velo dell'ipocrisia ormai si è fatto talmente sottile da apparire trasparente

Anonimo ha detto...

Il punto di partenza di tutta questa lunga storia tecno/globalista è stata la presunzione di chi da solo o in compagnia tende a farsi dio senza neanche un po' di riflessione. Loro ebbri si organizzano, si cooptano a vicenda ed entrano a gamba tesa nella vita di miliardi di persone semplici, da loro ritenute in vari modi tarate, corrotte comunque incapaci di intendere e volere. Le persone semplici in realtà sono state addestrate dalla vita a riconoscere i propri e gli altrui limiti e hanno conseguito una saggezza popolare che è sintesi più o meno consapevole della sapienza di sempre che viene ridetta nella propria lingua madre.

E' solo questione di tempo, questo castello di presunzione, vanagloria, menzogne, ipocrisia e perseguita confusione tattica cadrà, cadrà su se stesso. Per allora dobbiamo farci trovare pronti ed aver rigettato in noi stessi il buonismo, i dialoghi illusori, i diritti viziosi, gli inganni religiosi, politici, culturali, economici; solo da un attendo esame del nostro personale pensare, parlare, agire e non agire, potrà nascere una comunità religiosa, statale, nazionale tale da poter stare semplicemente e dignitosamente davanti a Dio, Uno e Trino e davanti al mondo.

E questi che ieri credevamo giganti riprenderanno le loro autentiche sembianze demoniache se, per ostinazione, rifiuteranno la via del sincero pentimento e della autentica conversione.

Bernardo Guerrini ha detto...

Ieri sera mi sono messo un dvd di Peppone e don Camillo... almeno ho rivisto quel Crocefisso meraviglioso.. a me piacciono le cose belle.. e vedere Peppone che traballa in continuazione sotto i colpi di se stesso.... chi ha orecchi per intendere intenda...