Vedi: L'inizio del ciclo pasquale con la Dominica in septuagesima [qui]; e, a seguire, Dominica in quinquagesima [qui]
Domenica di Sexagesima
Noè e il diluvioNel corso di questa settimana la santa Chiesa ci presenta la storia di Noè e del diluvio universale.
Nonostante i severi ammonimenti, Dio non era riuscito ad ottenere la fedeltà e la sottomissione dell’umanità e fu costretto ad infliggere un tremendo castigo a questo nuovo nemico. Trovato però un uomo giusto, farà ancora una volta nella sua persona alleanza con noi. Ma prima vuol far conoscere che è Sovrano e Padrone nel momento da lui stabilito; l’uomo che andava così fiero della sua esistenza, s’inabisserà sotto le rovine della sua dimora terrestre.
A base degli insegnamenti della settimana, poniamo innanzi tutto alcuni brani dal libro del Genesi, estratti dall’Ufficio dell’odierno Mattutino.
Dal libro del Genesi (Gen 6,5-13)
Or Dio vedendo che la malizia degli uomini era grande sopra la terra e che ogni pensiero del loro cuore era di continuo al male, si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e, addolorato, nel profondo del cuore disse: “Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: uomo e animali, rettili e uccelli del cielo; ché mi pento d’averli fatti”. Ma Noè trovò grazia davanti al Signore.
Questa è la posterità di Noè. Noè fu uomo giusto e perfetto fra i suoi contemporanei, e camminò con Dio, e generò tre figliuoli: Sem, Cam e Iafet. Or la terra era corrotta davanti a Dio e ripiena d’iniquità. Ed avendo Dio veduto che la terra era corrotta (ogni carne infatti seguiva sulla terra la via della corruzione) disse a Noè: “Davanti a me è giunta la fine d’ogni vivente; siccome la terra per opera degli uomini è piena d’iniquità, io li sterminerò con la terra”.
La catastrofe che si scatenò allora sulla specie umana fu ancora una volta frutto del peccato; meno male che però fu trovato almeno un giusto, e per merito suo e della sua famiglia il mondo fu salvo dalla rovina totale.
Degnatosi di rinnovare la sua alleanza, Dio lasciò ripopolare la terra, e i tre figli di Noè divennero i padri delle tre grandi razze umane che la abitano.
È questo il mistero contenuto nell’Ufficiatura della presente settimana. Quella della Messa poi, figurata dalla precedente, è ancor più importante. Moralmente parlando, non è la terra sommersa da un diluvio di vizi e di errori? Allora si deve popolare di uomini timorosi di Dio, come Noè. È la parola di Dio, germe di vita, che fa nascere la nuova generazione e procrea i figli di cui parla il Discepolo prediletto, “i quali non da sangue, né da volere di carne né da voler di uomini, ma da Dio sono nati” (Gv 1,13).
Sforziamoci d’entrare a far parte di questa famiglia, e se già vi apparteniamo, conserviamo gelosamente questa fortuna, perché ora è il tempo di salvarci dai marosi del diluvio e trovare un rifugio nell’arca della salvezza; è il tempo di divenire quella terra buona nella quale la semente fruttifica al cento per uno; e lo saremo, se ci mostreremo avidi della Parola di Dio che illumina le anime e le converte (Sal 18). Preoccupiamoci di fuggire l’ira ventura, affinché non abbiamo a perire insieme ai peccatori.
Messa
La Stazione è in Roma, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura.
Intorno alla tomba del Dottore delle genti, del propagatore della divina semenza, di colui che per la sua predicazione ha una grande paternità sui popoli, la Chiesa Romana oggi raduna i suoi fedeli, per significare che il Signore ha risparmiato la terra solo a patto che si riempia di veri credenti adoratori del Nome suo.
L’Epistola è tratta da una Lettura del grande Apostolo, nella quale, costretto dai suoi nemici a difendersi per l’onore e il successo del suo ministero, c’insegna a quale prezzo gli uomini apostolici seminarono la divina Parola negli aridi campi del paganesimo, per operarvi la rigenerazione cristiana.
EPISTOLA (2Cor 11,19-33; 12,1-9). – Fratelli: Voi, che siete saggi, li sopportate volentieri i pazzi; infatti, se uno vi asservisce, se vi spolpa, se vi ruba, se vi tratta con alterigia, se vi piglia a schiaffi, lo sopportate! Lo dico con vergogna, come chi è stato debole da questo lato; del resto, in qualunque altra cosa uno ardisca vantarsi (parlo da stolto) ardisco anch’io. Son essi Ebrei? Anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Son discendenti di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? (Parlo da stolto) lo son più di loro: più di loro nelle fatiche, più di loro nelle carceri, molto più nelle battiture, e spesso mi son trovato nei pericoli di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio; ho passato una notte e un giorno nel profondo del mare. Spesso in viaggio, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli da parte dei miei connazionali, pericoli dei Gentili, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli. Nella fatica, nella miseria, in continue vigilie, nella fame, nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a quello che mi vien dal di fuori, ho anche l’affanno quotidiano, la cura di tutte le Chiese. Chi è debole, senza che io ne soffra? Chi si scandalizza, senza che io ne arda? Se c’è bisogno di gloriarsi, mi glorierò di ciò che è proprio della mia debolezza. Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è benedetto nei secoli, sa ch’io non mentisco. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto guardie intorno alla città dei Damasceni, per catturarmi, e da una finestra fui calato in una cesta lungo il muro e così scampai dalle sue mani. Se c’è bisogno di gloriarsi (veramente non sarebbe utile!) verrò alle visioni ed alle rivelazioni del Signore. Io conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa (se fu col corpo o senza il corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo (se col corpo, o fuori del corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito in paradiso e udì parole arcane che non è lecito all’uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo, potrei gloriarmi; ma riguardo a me non mi glorierò che della mia debolezza. Però, anche se volessi gloriarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, pel timore che qualcuno non mi stimi più di quello che vede in me o che sente da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, m’è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana che mi schiaffeggi. Tre volte ne pregai il Signore, perché lo allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si fa meglio sentire nella debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinché abiti in me la potenza di Cristo.
VANGELO (Lc 8,4-15). – In quel tempo: radunandosi e accorrendo a Gesù dalle città gran folla, disse in parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza e nel seminarla, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e la beccarono gli uccelli dell’aria; parte cadde sul sasso e, appena nata, si seccò, non avendo umore; parte cadde tra le spine, e queste, cresciute insieme, la soffocarono; parte poi cadde in buon terreno e, cresciuta, diede il centuplo. Ciò detto esclamò: Chi ha orecchie da intendere intenda. E i suoi discepoli gli chiesero che volesse mai dire questa parabola. Ed Egli rispose loro: A voi è concesso d’intendere il mistero del regno di Dio; ma a tutti gli altri parlo in parabole, affinché guardando non vedano, ed ascoltando non intendano. Ecco il significato della parabola: la semenza è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore affinché non credano e non si salvino. E quelli sul sasso sono coloro che, udita la parola, l’accolgono con gioia; ma non hanno radice, e credon quindi per un certo tempo e poi al tempo della tentazione si tirano indietro. Seme caduto fra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma,coll’andare avanti, restano soffocati da cure, da ricchezze, e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturare. Seme poi caduto in buon terreno sono coloro che ritengono la parola ascoltata in un cuore buono e perfetto, e perseverando, portano frutto.Vigilanza e fedeltà
Con ragione san Gregorio Magno osserva che la parabola ora letta non ha bisogno di spiegazione, perché la stessa eterna Sapienza ce ne ha data la chiave. Perciò non ci resta che trar profitto da un insegnamento così prezioso ed accogliere in terra buona la semenza celeste che cade in noi.
Quante volta finora l’abbiamo lasciata calpestare dai passanti, o carpire dagli uccelli dell’aria! Quant’altre volte è inaridita sulla gelida roccia del nostro cuore, o fu soffocata da spine funeste! Ascoltavamo la Parola, la trovavamo affascinante, e ciò bastava a farci star tranquilli. Spesso pure la ricevemmo con gioia e prontezza, ma non appena cominciava a germogliare in noi ne facevamo arrestare la crescita. Mentre d’ora in poi dobbiamo produrre frutti, perché tale è la virtù della semente gettata in noi, e dalla quale il divin Seminatore aspetta il cento per uno. Se la terra del nostro cuore è buona ed abbiamo cura di coltivarla usando i mezzi che la santa Chiesa ci offre, sarà abbondante la messe il giorno in cui il Signore, risorgendo vittorioso dal sepolcro, verrà ad unire i fedeli credenti agli splendori della sua Risurrezione.
Preghiamo
O Dio, che vedi come non confidiamo nelle nostre azioni, concedici, propizio, d’essere difesi contro ogni avversità dalla protezione di san Paolo Dottore delle genti.
da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 439-442
6 commenti:
In questi tempi difficili è necessario combattere con coraggio e determinazione. Le armi dei sacramenti e della preghiera sono indispensabili per non cedere all'odio. Così facendo siamo già passati dalla parte del nemico. È giusto essere indignati per le presenti ingiustizie, ma mentre detestiamo queste dobbiamo amare i nostri nemici, perchè Dio ama tutti, vuole salvi tutti e ci ha dato l'esempio in Gesù. Riceviamo con pazienza le prove che Egli permette, espiando così i nostri peccati. Chidiamo a Maria Ss.ma di guidarci sulla barca dell'amore in questo mare in tempesta.
Stella Mattutina
Ma la nostra vera fame è fame dell'onore d'Italia.
La nostra vera sete è sete di giustizia e di verità.
La nostra fame è un grido di dignità e di libertà in una società dominata dalla menzogna.
Questo non è uno sciopero della fame di carattere protestatario. E' un atto vita, un atto politico che tende alla luce del bene, è una lotta, una resistenza, una preghiera, una penitenza, un'implorazione a Dio affinché sconfigga i nemici e salvi i suoi fedeli, è una fiaccola accesa in onore del popolo italiano, preso in giro, addormentato e stanco. Domina in tutta la società un accecamento inspiegabile, una sorta di incantamento, come se fosse il fumo del fuoco sputato dalla bocca di un Drago che mette a tutti paura. E tutti sono prostrati ai piedi di questo Drago. Drago che è agli ordini di un Padrone ancor più potente, glaciale e spietato, che ha ordito un piano di sbriciolamento di tutta l'Italia. - rdv
Prima impressione:l'accordo delle letture con il tempo dell'anno, con l'attualità che stiamo vivendo, con le problematiche umane di sempre, accordo che rimette in tono le stonature di molti e di ognuno.
POLONIA: È stata approvata una legge che consente alle autorità di espellere,oltre agli attivisti LGBTQ,anche chi propaganda questa ideologia, dalle scuole polacche.
Mi colpisce del Vangelo di oggi
...parte cadde lungo la strada e fu calpestata
... Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore affinché non credano e non si salvino.
Il Signore non dice "sulla strada", ma lungo la strada... cioè, poiché la Via è Lui, si riferisce a coloro che restano ai bordi, "lungo" la strada, non "sulla" strada... nel qual caso, essendo in Lui, non sarebbero in balia del nemico che può così strappare via la parola e tutti i suoi possibili benefici effetti.
Forse può apparire scontato; ma questo significato mi è apparso così chiaro solo ora... Deo gratias, semper!
Sono sempre interessanti e utili, oltre al ricorso alle fonti (testo greco e Vulgata), i parallelismi e i confronti quando si vuol approfondire la Scrittura.
Mi sono limitata a consultare la Vulgata e ho scoperto che il termine che indica "lungo la strada" è "secus" ed è lo stesso termine che compare nella parabola del buon samaritano, riferito al levita: " et levita cum esset secus locum et videret eum pertransiit"... Il levita, sfiora di striscio il luogo (la realtà) per questo "guarda", ma non "vede" con gli occhi del cuore e passa oltre...
La differenza col samaritano è che il levita "cum esset secus locum", il samaritano "secus eum" L'attenzione del levita è al luogo (e resta immerso nei suoi pensieri), l'attenzione del samaritano, invece, è alla persona... per questo vede e agisce...
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