Sessant'anni dalla fine del Concilio -- IV : il decreto 'Unitatis redintegratio', 3.
July 25, 2025
Sessant’anni dalla fine del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo - IV : Il decreto ‘Unitatis redintegratio’ sull’ecumenismo include le comunità acattoliche nella Chiesa di Cristo – di Paolo Pasqualucci.
[Eccomi di nuovo a proporre capitoli del mio libro Unam Sanctam.Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa cattolica del XXI secolo, Solfanelli, Chieti, 2013. In questa quarta puntata riprendo il discorso sul concetto di Chiesa di Cristo proposto dal Concilio, notoriamente “ecumenico”, tale cioè da includere, oltre alla Chiesa cattolica anche le “comunità acattoliche” ossia le comunità cristiane scismatiche ed eretiche. Tale “inclusione” dalle peculiari caratteristiche risulta collegando all’art. 8 della Lumen gentium il Decreto sull’ecumenismo, in particolare il suo art. 3. Il cap. II del mio libro è per l’appunto dedicato a questo articolo del suddetto decreto (pp. 43-53 dell’opera). Insomma, il “subsistit in” di LG 8, si comprenderebbe appieno grazie all’art. 3 di Unitatis redintegratio. Vediamo dunque questo testo, uno dei testi-chiave del Concilio per l’elaborazione dell’ecumenismo sincretistico e non conforme alla Tradizione, propalato dal Concilio medesimo]
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Cap. II. “UNITATIS REDINTEGRATIO” 3, CHE SANZIONA L’INCLUSIONE DELLE COMUNITÀ ACATTOLICHE NELLA CHIESA DI CRISTO
Sommario : 1. Gli Acattolici diventano in quanto tali “strumenti di salvezza”. 2. Una nuova ed inaccettabile dottrina del Battesimo, dovuta al cardinale Bea. 3. I Cattolici colpevoli della separazione, come gli Acattolici! 4. Un’unità che trascende la Chiesa cattolica. 5. Comunione e salvezza piene e non piene, nella confusione dei concetti. 6. Quante “Chiese” ci sono, per il Vaticano II?
1. Gli Acattolici diventano in quanto tali “strumenti di salvezza”.
L’articolo 3 di questo decreto concerne “le relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica”. Dopo aver dichiarato il concetto del tutto nuovo, secondo il quale essi si trovano “in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”, onde il movimento ecumenico deve mirare appunto a rimuovere gli impedimenti ad una “piena comunione” con essa, così specifica:
“Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili di essa: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto [iure] all’unica Chiesa di Cristo” (UR, 3.2).
Il testo, dopo aver elencato gli “elementi o beni” che “edificano e vivificano la Chiesa cattolica” e che possono ritrovarsi anche fuori dai confini visibili di essa, dando quindi un contenuto più preciso agli “elementi” di cui all’art. 8.2 LG, afferma che essi “appartengono a buon diritto all’unica Chiesa di Cristo”. Ma ciò non significa, allora, confermare che gli “elementi” di cui al detto articolo fanno parte della Chiesa di Cristo allo stesso modo della Chiesa cattolica, che sicuramente vi appartiene “di diritto”? E quindi che la Chiesa cattolica è inclusa sì nella Chiesa di Cristo ma sempre come parte di essa?
Il paragrafo successivo, tra i suddetti “elementi” include anche “non poche azioni sacre”, terminologia che indica, come sappiamo, la Sacra Liturgia. In queste “Chiese o comunità” non cattoliche esistono, ci si dice, “azioni sacre” che “possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza [ingressum in salutis communionem]” (UR, 3.3). Da affermazioni del genere, come non ricavare l’idea che le liturgie degli Ortodossi e le “cene” dei Protestanti sono, per il Concilio, “atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza”? Non si giustifica forse su passaggi del genere l’ormai inflazionata pratica delle liturgie “ecumeniche”, nelle quali tutti i culti sono spesso rappresentati, persino quelli non cristiani, per quanto oscura possa essere l’espressione “accesso alla comunione della salvezza”? Includendovi le “azione sacre”, il testo mostra che gli elementi o beni di cui sopra sono quelli delle comunità, perché “l’azione sacra” che ha luogo mediante la liturgia non può essere individuale.
Ma la conclusione posta alla fine di tutti questi chiarimenti è ancora più forte: nonostante le loro “carenze”, le “Chiese e comunità separate” vengono utilizzate dallo Spirito Santo “come strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica [Iis enim Spiritus Christi uti non renuit tamquam salutis mediis, quorum virtus derivatur ab ipsa plenitudine gratiae et veritatis quae Ecclesiae catholicae concredita est]”(UR, 3.4). Non singoli loro componenti, nonostante appartengano a comunità eretiche e scismatiche, ma le comunità stesse, in quanto tali. Come sottrarsi all’impressione vivissima che qui le “Chiese e comunità separate” (che, in quanto utilizzate dallo Spirito Santo come “strumenti di salvezza” derivano la loro “forza” addirittura “dalla stessa pienezza della grazia e della verità affidata alla Chiesa cattolica”) risultano essere “strumenti di salvezza” proprio in quanto tali, contro tutto l’insegnamento precedente della Chiesa? Se l’appartenenza alla Chiesa di Cristo fa sì che anche le comunità e Chiese dei non cattolici (le “Chiese” che si autodefiniscono “ortodosse” sono quelle dei grecoscismatici, e “Chiese” sta solo per tradizionale titolo d’onore, mantenuto dalla Chiesa cattolica) siano da considerarsi “strumenti di salvezza”, sia pure gravati da qualche “carenza” (da scisma ed eresia, avversione inveterata per il Papa, per “Roma”, etc.), che cosa ne è del dogma di fede già ricordato, secondo il quale, al di fuori della Chiesa cattolica non può esserci salvezza, se non nei casi individuali di battesimo di desiderio? Salvezza ad opera dell’azione insondabile dello Spirito Santo, nonostante l’appartenenza dei salvati ad una setta eretica e/o scismatica (o ad un’altra religione, non rivelata) e non certo grazie a questa appartenenza?
Del resto, bisogna pur dire che il semplice credente non riesce a comprendere come possano essersi conservate la “vita della grazia” e le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) non presso individui singoli (cosa certamente possibile con l’aiuto dello Spirito Santo, che scruta nell’intimo e conosce i cuori) ma presso comunità eretiche e scismatiche in quanto tali, pervicacemente ribelli all’autorità dell’unica legittima Chiesa di Cristo. Inoltre, il semplice credente vorrebbe sapere quali possibilità di “santificazione” e quali “verità” siano racchiuse nelle dottrine e nel modo di vivere di queste comunità eretiche e scismatiche fieramente avverse al Romano Pontefice e a tutto ciò che è cattolico, nelle quali molti negano il concetto stesso di “santificazione” (preferendovi il blasfemo “pecca fortiter sed crede fortius” di Lutero, pecca fortemente ma credi ancor più fortemente o l’equivalente “simul iustus et peccator”) e propugnano una nozione del tutto soggettiva della verità, compresa quella rivelata.
Per ciò che riguarda in particolare i Protestanti, ripropongo sinteticamente i loro “limiti” come ricordati da Mons. Gherardini, notoriamente uno dei massimi conoscitori delle loro dottrine, in campo cattolico:
nessuna incompatibilità fra vita cristiana ed “eticità” dell’aborto, del divorzio e delle “diversità”; soppressione d’almeno cinque sacramenti; concezione del sacramento con funzione di segno, ma privo della funzione “produttiva della grazia che significa”; riduzione dell’eucaristia alla celebrazione del “testamento” di Cristo, che ha termine con la fine della celebrazione stessa; culto della Sacra Scrittura frastagliato da idee contrastanti sulla sua reale o attuale (anzi attualistica, quella dell’”autopistía”) ispirazione; assenza d’un vero culto della Madonna così come ai Santi, perché esso sarebbe un furto a Dio e a Cristo; […] non solo assenza, ma negazione dell’ufficio papale e, anche là dove vige [presso gli Anglicani], l’episcopato è ben altro rispetto a quello derivante dalla successione apostolica [etc.]”[1].2. Una nuova ed inaccettabile dottrina del Battesimo, dovuta al cardinale Bea.
Ma l’elevazione delle “Chiese e comunità separate” a “strumenti di salvezza” non si giova (è stato notato) anche di quella che sembra essere una sostanziale riformulazione della dottrina del battesimo, rispetto a quanto enunciato ad esempio dalla Mystici Corporis ? Infatti, in UR, 3.1 si scrive che i “fratelli separati” devono considerarsi “cristiani” perché con il battesimo sarebbero stati incorporati a Cristo: “Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo [Nihilominus, iustificati ex fide in baptismate, Christo incorporantur] e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani” (UR, 3.1). Poche righe prima la loro posizione era stata definita (vedi supra, § 1) come quella di chi si trova in “una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”. Ma che significato ha qui l’ “esser incorporati a Cristo”, riferito ai non cattolici? Semplicemente questo, secondo logica: se il Battesimo ricevuto nelle loro sette li “incorpora a Cristo”, allora vengono in tal modo a far parte della “Chiesa di Cristo”. E se il battesimo degli eretici e scismatici li fa entrare in quanto tali nella Chiesa di Cristo, allora quest’ultima è più ampia della Chiesa cattolica. Con tale dottrina, i “fratelli separati” possono esser annoverati tra i membri della Chiesa, indipendentemente dalla professione della vera fede e dall’ubbidienza ai legittimi Pastori!
Quest’idea dell’”incorporazione a Cristo” anche dei “fratelli separati”, il testo del Concilio sembra fondarla sul Magistero precedente grazie a un rimando in nota al Concilio di Firenze del 1439, del quale si cita un passo dal famoso decreto Pro Armenis che ristabilì l’unità con la Chiesa Armena. Il rimando è posto subito dopo le parole “sono incorporati a Cristo”. Ma, andando a rileggere che cosa è scritto in quel decreto si vede che esso illustra (ad edificazione degli Armeni) tutti e sette i Sacramenti, come debbano intendersi per i veri Cattolici, senza far riferimento alcuno al Battesimo degli eretici e al suo significato: “Primo di tutti i sacramenti è il Battesimo, porta della vita spirituale: grazie ad esso diveniamo membra di Cristo e parte del Corpo della Chiesa [per ipsum enim membra Christi ac de corpore efficimur Ecclesiae]”[2]. Coloro che vengono “incorporati a Cristo”, sono qui i Cattolici non gli eretici e gli scismatici. È legittima, allora, l’estensione del concetto a questi ultimi? Sembra proprio di no, se si deve mantenere la dottrina della Chiesa, proposta da ultimo nella Mystici Corporis. Che così insegna:
“Tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che hanno ricevuto il lavacro di rigenerazione [il Battesimo] e professano la vera fede né dalla compagine di questo corpo si separarono disgraziatamente da sé stessi né per gravissime colpe ne furono separati dalla legittima autorità”(Corsivi miei). E l’esclusione dalla Chiesa vale per tutti gli eretici e scismatici pubblici, anche se in buona fede (eretici e scismatici in senso materiale, cioè non per via della loro intenzione ma a causa del contenuto oggettivamente infedele di ciò che professano). Questi ultimi, però, a differenza degli eretici e scismatici in senso formale (che cioè vogliono scientemente esserlo, come un Fozio, un Lutero, un Calvino), sono, per la loro disponibilità a professare la vera fede nella vera Chiesa (votum Ecclesiae), “ordinati da un certo inconsapevole desiderio ed anelito [che solo lo Spirito Santo conosce] al mistico Corpo del Redentore”. Pertanto, pur essendo fuori della compagine visibile di questo corpo, possono appartenervi invisibilmente e per questa via conseguire la giustificazione e la salvezza. Essi, tuttavia, restano “privi di quei tanti doni e aiuti celesti che solo nella Chiesa cattolica è dato di godere”. Per tal motivo Pio XII, come i suoi predecessori, li invitava “ad assecondare gli impulsi interni della grazia e a sottrarsi al loro stato, in cui non possono essere sicuri della propria salvezza” perché “chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano [Mt 18, 17]” cioè come nemico e pubblico peccatore: “Rientrino perciò nella cattolica unità [Ingrediantur igitur catholicam unitatem] e tutti uniti a Noi [al Pontefice] nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore”[3].
Si vede chiaramente che qui si ha un invito a ritornare all’ovile, con assunzione diretta della responsabilità della scelta che, precisa poi il Papa, deve essere assolutamente libera da costrizione (sponte libenterque). Il paterno invito è pertanto rivolto a chi si trova del tutto fuori della Chiesa Cattolica Romana, per quanto ad essa ordinato in voto dal Battesimo. Fuori, perché solo la Chiesa Cattolica Romana è l’unica Chiesa di Cristo: “Pertanto a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa santa, cattolica, apostolica, romana), nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino che quell’espressione con la quale essa viene chiamata “il Corpo mistico di Gesù Cristo”; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che vien frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri”[4].
La mutazione dottrinale introdotta dal Concilio, sembra sia dovuta in particolare al cardinale Bea, che, sull’Osservatore Romano del 27 aprile 1962, interpretava la Mystici Corporis come se “l’ordinazione al mistico corpo” dei “separati” dovesse intendersi (in modo nuovo) quale appartenenza, onde la loro situazione di salvezza non sarebbe diversa da quella dei cattolici[5].
Al dettato sconcertante dell’art. 3 UR va poi aggiunto il noto passo di UR 15.1, nel quale, illustrando “la tradizione liturgica e spirituale degli orientali”, meglio noti come Ortodossi (grecoscismatici), si presenta la “celebrazione dell’Eucaristia” quale loro contributo alla crescita della “Chiesa di Dio”(Ecclesia Dei), termine anch’esso tradizionale, che indica sempre la “Chiesa di Cristo”: “Perciò con la celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione si manifesta la comunione tra di esse [Proinde per celebrationem Eucharistiae Domini in his singulis Ecclesiis, Ecclesia Dei aedificatur et crescit, et per concelebrationem communio earum manifestatur]”. Se la “Chiesa di Dio”, che è la “Chiesa di Cristo”, è “edificata e cresce” ad opera di queste “Chiese” e la “concelebrazione” ne manifesta “la comunione”, allora esse ne sono parte, così come ne è parte la Chiesa cattolica (Apostolica, Romana). Il passo appare per la verità di un’estrema chiarezza nell’affermare che “queste singole Chiese” non cattoliche concorrono in quanto tali “all’edificazione e alla crescita della Chiesa di Dio”. L’espressione “Chiesa di Dio”, ci informa in nota lo stesso Concilio, è tratta da S. Giovanni Crisostomo, morto verso il 407 AD, qualche secolo prima dello scisma bizantino: era termine tradizionale, risalente addirittura all’Antico Testamento (vedi infra, cap. IV, § 2), per indicare la Chiesa in quanto tale, nella sua unità, e quindi la Chiesa di Cristo, nella quale era già riconosciuto il Primato di Pietro[6].
3. I Cattolici colpevoli della separazione, come gli Acattolici!
Ma in che senso il Concilio usa il termine “Chiesa di Dio”? Esso compare anche nel Proemio di UR (UR 1) oltre che in UR 3.1. Nel Proemio, in modo del tutto inaspettato, le divisioni tra i Cristiani sembrano poste tutte sullo stesso piano, tutte causa allo stesso modo di un unico scandalo, come se non ci fosse stata sempre un’unica Chiesa di Cristo – quella fondata sul primato di Pietro – dalla quale sono state le varie sette, eretiche e scismatiche, via via a staccarsi, per colpa loro (come recita la famosa frase di S. Cipriano di Cartagine: “sono stati loro a staccarsi da noi, non noi da loro”). Inoltre, questo Proemio afferma che presso “i cristiani tra loro separati”(in Christianos inter se disiunctos), il Signore negli ultimi tempi “ha cominciato a effondere l’interiore ravvedimento e il desiderio di unione” (UR, 1.2), includendosi evidentemente anche i Cattolici tra i cristiani “separati” che si stavano ravvedendo, dato che il testo non dice “da noi [Cattolici] separati”, come avrebbe dovuto, per mantenere la continuità con la dottrina precedente! All’epoca ci sarebbe stato dunque un generale “movimento che si allargava di giorno in giorno per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani” (ivi). Non so se corrisponda al vero il giudizio qui espresso sulla forza del movimento ecumenico, che era in realtà di élite e di origine protestante-teosofica. Il testo sembra caricare alquanto le tinte. Ma il punto più importante è un altro: l’ecumenismo non è qui inteso in vista del ritorno alla Chiesa cattolica di eretici e scismatici (come secondo la dottrina tradizionale) ma per “il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani [ad omnium Christianorum unitatem restaurandam]”, ristabilimento che non contempla alcun “ritorno”. Da siffatta nozione di “ristabilimento”, come non ricavare l’impressione che, per UR 1.2, l’unità della Chiesa al momento non c’era, che la Chiesa Cattolica (Apostolica, Romana) non realizzava in sé stessa l’unità della vera ed unica Chiesa di Cristo! L’unità non c’era e bisognava ristabilirla, non auspicando la conversione ed il ritorno dei “separati” ma rifondando una “Chiesa di Dio veramente universale”, come se la Chiesa Cattolica Romana al momento esistente non rappresentasse in quanto tale la “Chiesa di Dio” in tutta la sua universalità!
Il concetto espresso da UR 1.2 è ripetuto in modo ancor più forte da UR 24.2, ultimo articolo del Decreto, ove si esalta, come motivo trainante del Concilio, “questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità di una sola e unica Chiesa di Cristo [hoc sanctum propositum reconciliandi Christianos omnes in unitate unius unicaeque Ecclesiae Christi]”. Non esisteva ancora, dunque, una “sola ed unica Chiesa di Cristo”, veramente universale. Bisognava crearla attraverso la “riconciliazione di tutti i Cristiani” in un’unità superiore, nuova!
4. Un’unità che trascende la Chiesa Cattolica.
Consideriamo bene il testo di UR 1.2. Chi partecipa a questo movimento ecumenico “per l’unità”? “Tutti quelli che invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore, e non solo presi a uno a uno, ma anche riuniti in comunità [sed etiam coetibus congregati], nelle quali hanno ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa loro e la Chiesa di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano a una Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale [ad Ecclesiam Dei unam et visibilem adspirant, quae sit vere universalis] e mandata al mondo intero, perché questo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio” (UR, 1.2). La descrizione delle caratteristiche dei Cristiani che partecipano al movimento ecumenico appare talmente generica da potersi applicare, come ognun può vedere, a qualsiasi tipo di “denominazione cristiana”, come si dice oggi, copiando dai media anglosassoni. E a cosa aspira tale movimento, secondo il Concilio? I suoi membri aspirano (adspirant), cattolici compresi, ad una “Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale”! E se vi aspirano, essa evidentemente ancora non c’è. Questa “Chiesa di Dio” così intesa è altra cosa rispetto alla “Chiesa di Cristo”? In realtà essa è solo un ulteriore nome tradizionale della “Chiesa di Cristo”, da intendersi però quest’ultima come esposta da UR 3, ossia della Chiesa di Cristo che ricomprende la Chiesa cattolica e tutte le “Chiese e comunità” cristiane, l’una e le altre in diverso modo “strumenti di salvezza”. Questa “Chiesa di Cristo” costituisce nello stesso tempo un obiettivo ancora da realizzare nella sua pienezza![7]
Queste sono notoriamente le gravi questioni poste dal plesso LG 8 – UR 3 ed addentellati. E che le questioni siano gravi lo dimostra, a mio avviso, anche il fatto che l’idea di Chiesa racchiusa in LG 8 non può appoggiarsi ad alcuna delle precedenti definizioni della Chiesa. Se si guarda lo schema De Ecclesia originario, l’ Aeternus Unigeniti “scartato” in Concilio, si vede che la definizione della Chiesa si premura di dire, senza tanti giri di parole, che la sola ed unica Chiesa di Cristo è la Chiesa Cattolica Romana, appoggiandosi all’autorità del Simbolo Apostolico, di quello Niceno-Costantinopolitano, del Concilio di Trento, di quello Vaticano I, dell’Enciclica Mystici Corporis, dell’Enciclica Humani generis etc., e stabilendo questa chiarissima connessione: La Chiesa come società è il Corpo Mistico di Cristo – La Chiesa Cattolica romana è il Corpo Mistico di Cristo, l’unica che abbia diritto al titolo di “Chiesa”[8]. Stop.
Quale riferimento alle fonti del Magistero troviamo, invece, in LG, 8.2, quale pezza d’appoggio per il “subsistit in”? Nessuna. Solo un rinvio ai Concili tridentino e vaticano I, per ricordare che la Chiesa cattolica (nella quale “sussiste” quella di Cristo) è, sull’autorità di quei Concili, “governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (vedi nota n. 13 della LG). E il lettore disattento potrebbe anche credere che l’idea della Chiesa di Cristo che “sussiste nella” Chiesa cattolica sia già menzionata in quei due fondamentali concili dogmatici: il che non è, nel modo più assoluto.
Ma chi difende l’ortodossia di UR 3 oppone in genere quanto vi si trova nell’ultimo e spesso citato paragrafo di questo articolo.
5. Comunione e salvezza piene e non piene, nella confusione dei concetti.
Dopo aver detto che le “Chiese e comunità separate” sono usate anch’esse dallo “Spirito di Cristo” come “strumenti di salvezza”, il Concilio sente il bisogno di precisare, quasi ad attenuare l’impatto della straordinaria affermazione. Rileva, quindi, che le “comunità e Chiese” dei separati “non godono di quella unità che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata dalla sacra Scrittura e dalla veneranda tradizione della Chiesa” (UR 3.5). E dove la si trova quest’unità, indispensabile alla salvezza? Nella Chiesa cattolica.
“Infatti, solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà noi crediamo che al solo Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio”[9].
In molti hanno sempre ritenuto che questo fosse un testo chiaro, nel quale si dice finalmente e per due volte che solo ad opera della Chiesa cattolica è possibile ottenere la salvezza. Ma osserviamo il testo attentamente. Non godendo dell’unità “elargita” da Cristo ai battezzati, attestata dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, ne consegue che, come “strumenti di salvezza”, le “Chiese e comunità” dei “separati” non possono offrire “tutta la pienezza dei mezzi della salvezza”. Domanda: la pienezza dei mezzi di salvezza implica la salvezza o la pienezza della salvezza? Apparendo privo di senso il concetto di una salvezza non piena (perché la salvezza si dà o non si dà, non può essere parziale, non esiste il Paradiso a metà), bisogna allora dire che “la pienezza dei mezzi della salvezza” è concetto che implica la salvezza tout court, senza distinzioni di pieno e non pieno, completo e parziale. Ma con questa ineccepibile conclusione che cosa resta della qualità di mezzi di salvezza forzatamente non pieni, a causa delle loro “carenze”, attribuita ai “separati”? Se la salvezza non può che essere piena, come possono essere considerate “strumenti di salvezza” quelle “Chiese e comunità” che dispongono di “strumenti di salvezza” per definizione imperfetti e quindi esclusi dalla “pienezza”? Strumenti di salvezza imperfetti o non pieni daranno una salvezza imperfetta o non piena. Ma questo non si può concedere perché significherebbe ammettere il concetto di una salvezza non piena, cosa assurda, come si è detto. In alternativa, bisognerebbe ammettere, allora, che anche gli strumenti di salvezza non pieni possono produrre la salvezza tout court, ossia piena: cosa parimenti assurda e inconcepibile.
Voler considerare le sette di scismatici ed eretici quali “strumenti di salvezza” non porta dunque ad una contraddizione che sembra insanabile, circa il rapporto tra la nozione di mezzi della salvezza e salvezza? Ma procediamo. La pienezza dei mezzi della salvezza spetta dunque solo alla Chiesa cattolica. Veramente il testo non dice sic et simpliciter: “Chiesa cattolica” o, ancor meglio, “Chiesa Cattolica Romana”; dice: “cattolica Chiesa di Cristo”(per solam enim catholicam Christi Ecclesiam). C’è una differenza? Forse no. O forse sì. Ci può essere, a mio avviso, nel senso che la “cattolica Chiesa di Cristo” può indicare la Chiesa cattolica in quanto è la componente “cattolica” della Chiesa di Cristo, quella componente che è appunto “mezzo generale” (non l’unico mezzo!) della salvezza perché possiede “la pienezza dei mezzi della salvezza”, al contrario delle “Chiese e comunità” dei “separati”, che pur farebbero parte della Chiesa di Cristo. In tal modo, il mezzo di salvezza rappresentato dalla Chiesa cattolica non sembra affatto inteso come unico ed esclusivo, l’unico in assoluto, sulla linea della Mystici Corporis. Esso sarebbe, invece, “generale” rispetto alla parzialità dei mezzi di salvezza pertinenti ai “separati”. È solo in quanto “mezzo generale [e non unico!] della salvezza” che la Chiesa cattolica ha “tutta la pienezza dei mezzi della salvezza”.
E secondo me nemmeno l’art. 14 di LG apporta il chiarimento necessario, il raggio di sole che disperde tutte le nubi. È l’articolo nel quale, rivolgendosi espressamente ai Cattolici, il Concilio afferma che la Chiesa “peregrinante”, fondata da Cristo, è “necessaria alla salvezza”. Infatti, “Egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa [necessitatem Ecclesiae], nella quale gli entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi [salvari non possent] quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa Cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria [ut necessariam], non vorranno entrare in essa o in essa perseverare”.
Si ricorda qui Mc 16,16, nel quale Nostro Signore afferma categoricamente: “Chi crederà e si battezzerà, sarà salvo; chi in verità non crederà, sarà condannato”. E Gv 3,5, che ribadisce in modo più sfumato il concetto: “Chi non sarà rinato con l’acqua e lo Spirito Santo non può entrare nel Regno di Dio”. Tuttavia il testo si limita a dire che la Chiesa Cattolica è “necessaria” alla salvezza; non precisa che solo essa è necessaria ed indispensabile. È vero che cita due perìcopi che fanno emergere l’esclusività e l’unicità della Chiesa Cattolica per la salvezza. Ma perché dice poi che quelli che rigettano la Chiesa o i transfughi “non potrebbero salvarsi”? La traduzione italiana recita “non possono”; quella francese, più correttamente, “ne pourraient pas être sauvés [non potrebbero esser salvati]”, dato che l’originale latino usa l’imperfetto congiuntivo (non possent). Nostro Signore è stato categorico. Ha detto “condemnabitur”, traduzione letterale del greco katakrithésetai: “sarà condannato”; non ha detto: “sarebbe condannato”.
Ma, nonostante l’evidente tortuosità della formulazione di UR 3.5 ed i gravi problemi interpretativi che essa fa sorgere, non potremmo considerare ugualmente la “pienezza” ivi proposta come l’equivalente dell’unicità ed esclusività insegnata ad esempio nella Mystici Corporis? Si potrebbe, a mio modesto avviso, forzando il testo, se non fosse per il fatto che “Chiese e comunità” non cattoliche sono senza alcun dubbio incluse, come si è visto, nella Chiesa di Cristo e come tali considerate “strumenti di salvezza”, sia pure afflitti da “carenze”. Ed una controverità teologica affermata in modo così netto, mi sembra impossibile da aggirare.
Stando così le cose, non mi sembra che l’uso dell’avverbio “solo” apporti la chiarezza necessaria. Ciò si vede, a mio avviso, anche dall’ultimo passaggio di UR 3.5. Tutti i tesori della Nuova Alleanza (= tutta la pienezza dei mezzi della salvezza) sono stati affidati al solo Collegio apostolico con a capo Pietro (il testo evita però di precisare: “e quindi alla sola Chiesa Cattolica Apostolica Romana con a capo i successori di Pietro”). Ma al “Corpo di Cristo sulla terra”, cioè alla Chiesa militante (secondo la definizione tradizionale), come si viene “incorporati”? Da “ordinati in voto” per opera della Grazia, che ritornano alla vera e unica Chiesa dopo essersi pentiti e aver fatto abiura dei propri errori? No. Non si ha alcun ritorno o conversione. L’eventuale conversione è concepita come una piena incorporazione, che è cosa ben diversa: il “separato” viene incorporato “pienamente”, dal momento che era già stato incorporato non pienamente con il battesimo (vedi supra, § 2). In quanto già “incorporati” non pienamente (in “comunione non piena”) “i separati” appartenevano già “in qualche modo” al “popolo di Dio” ossia alla Chiesa di Cristo (nel cap. II della Lumen gentium, la Chiesa visibile è concepita come “popolo di Dio”).
Come ha sottolineato Mons. Gherardini, il linguaggio di LG e UR, strettamente connessi tra di loro, oltre che al Decreto Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, “è tutto all’insegna del vago: abbonda l’uso dell’aggettivo “quidam” [un certo, un tale, qualche e simili] che è espressione di radicale insicurezza, e si presume con esso di determinare perfino l’azione dello Spirito Santo o di predisporre un asserto dottrinale (“quaedam in Spirito Sanctu coniunctio [una certa unione nello Spirito Santo]”); “in quadam cum Ecclesia catholica coniunctione [in una certa unione con la Chiesa Cattolica]”; “quaedam immo plurima et eximia elementa extra visibilia Ecclesiae catholicae saepta [”alcuni molteplici e persino ottimi elementi al di fuori del recinto della Chiesa cattolica”]; “ad populum Dei aliquo modo pertinent [appartengono in qualche modo al popolo di Dio]”[10].
6. Quante “Chiese” ci sono, per il Vaticano II ?
Tutto ciò considerato, possiamo dire che UR 3.5 risolva le ambiguità e le contraddizioni presenti nella definizione (non dogmatica) della Chiesa data dal Vaticano II? A mio avviso, esso sembra confermare l’interpretazione secondo la quale la “Chiesa di Cristo”, nelle intenzioni del Concilio, include sia la Chiesa cattolica che le “Chiese e comunità” dei “separati”. La costituzione Lumen gentium doveva definire la natura della Chiesa, in modo da completare quanto definito come articolo di fede dal Vaticano I sulla figura del Pontefice (dogma dell’infallibilità pontificia quando il Papa dà una definizione solenne in materia di fede e costumi). Ma essa sembra aver partorito solo un’enorme confusione tra Chiesa di Dio, Chiesa di Cristo, Chiesa cattolica, Comunità e Chiese separate, Popolo di Dio; confusione che coinvolge anche il concetto della salvezza. Questa è almeno la sensazione di molti credenti, costretti a vedere ora nella Chiesa nient’altro che il terreno “Popolo di Dio” in “comunione” o “federazione” con tutte le “denominazioni” cristiane (e non), con il Papa come capo carismatico, “uomo di pace”, impegnato in frequenti e mediatici “viaggi di pace”, che garantisce a tutti il Paradiso, perché Dio è Amore e l’Inferno è vuoto.
“L’introduzione del concetto di “piena comunione” è stato decisivo per elevare le confessioni cristiane a una condizione diversa da quella, molto più netta, che la dottrina cattolica aveva sempre riservato a tutto ciò che cattolico non è. Tanto per intendersi: non si sarebbe fatto un Concilio come quello di Trento, se non si fosse ritenuta gravemente erronea la posizione di Lutero e del luteranesimo. Ora, leggendo alcuni dei documenti del Vaticano II, si ricava l’impressione di una nuova ecclesiologia, nella quale si avanza una sorta di “federazione” delle chiese cristiane, all’interno della quale la Chiesa cattolica si riserva una posizione di “pienezza”, ma accanto e insieme al parterre di tutte le altre espressioni della riforma protestante. A questo scopo è stata coniata l’espressione “Chiesa di Cristo”, la cui ricomposizione logica con la nozione di “Chiesa cattolica” risulta molto complicata. Si tratta della stessa cosa, o di un’altra? Quante “Chiese” ci sono, allora?”[11].
In realtà, come si è visto, l’espressione “Chiesa di Cristo” preesisteva, unitamente agli altri termini tradizionali. Ma è vero che essa sembra qui una novità perché utilizzata in un senso “allargato”, in passato sconosciuto. E proprio questa sembra esser stata la causa prima della confusione: l’aver voluto estendere la definizione della “Chiesa di Cristo” sino ad includervi tutti gli acattolici, giocando sull’idea di pienezza e non pienezza, comunione piena e non piena o imperfetta. Altro motivo di confusione deriva, io credo, dall’aver poi voluto identificare la Chiesa più che con il Corpo Mistico di Cristo con il “popolo di Dio”, come se la parte terrena del Corpo Mistico rappresentata dal popolo dei fedeli potesse diventare il Tutto. A proposito dell’idea della “pienezza” (plenitudo), bisogna ricordare che essa ricorre in S.Paolo, ma di sicuro senza le sfumature indefinibili ed ambigue ad essa attribuite dal Concilio. Si cita sempre, a questo proposito, Ef 1, 23, uno dei passi fondamentali per il concetto della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo, nel quale l’Apostolo ci insegna che Dio “tutto pose sotto i suoi piedi [di Cristo], e Lui costituì capo supremo della Chiesa, che è il corpo di Lui, la pienezza [plenitudo; pléroma, in greco] di Colui che tutto completa in tutti”. La Chiesa “è piena di Cristo che tutto riempie”. Come “corpo di Lui” coincide perfettamente con Lui, ne è spiritualmente “la pienezza, dato che i membri sono ciò che completa, il complemento [pléroma, di nuovo] del Capo, come affermava S.Giovanni Crisostomo”[12]. Come inteso da S. Paolo e dai Padri della Chiesa, il concetto della “pienezza” della Chiesa di Cristo in Cristo, in quanto Corpo Mistico di Cristo, non lascia evidentemente spazio alcuno alle unioni o comunioni meno piene o imperfette che dir si voglia con coloro che si trovano fuori della Chiesa.
Tutto ciò premesso, studiamo adesso in parallelo il primo capitolo dello schema sulla Chiesa ripudiato, Aeternus Unigeniti, e il primo capitolo della LG, che lo ha rielaborato, dedicati entrambi a definire il concetto della Chiesa. Solo sobbarcandosi a questo lavoro ingrato e faticoso sui testi, credo si possa riuscire a verificare in maniera adeguata l’esistenza o meno di una continuità nella riforma della dottrina inaugurata dal Vaticano II. - Fonte
___________________[1] D, 203-4. L’autopistía è la fede prodotta dal soggetto stesso, la fede del tutto individualistica dei Protestanti, quella del “libero esame” individuale delle Scritture.
[2] DS 696/1314.
[3] AAS 35 (1943) 242-3; DS 2290/3821. La traduzione italiana è quella apparsa su L’Osservatore Romano del 4.7.1943, pubblicata a parte: PIO XII, Enciclica “Mystici Corporis” sul Corpo Mistico di Cristo, Vita e Pensiero, Milano-Roma, 1959, p. 21, 82.
[4] Ivi, p. 15 tr. it. Per la coincidenza perfetta ed assoluta di Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica, il testo cita in nota la costituzione dogmatica De fide catholica, cap. I, promulgata dal Vaticano I. Per la libertà con la quale devono avvenire la conversione e il ritorno: ivi, pp. 82-3 e DS 2290/3822. Nel DS non sono riuscito a trovare il passo che ho appena citato nel testo (sull’identità perfetta e assoluta di Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica Romana), nella scelta di passi della Mystici Corporis. [5] Su quest’ultimo punto: AMERIO, Iota Unum, p. 466 (§ 246); VELATI, Un indirizzo a Roma, cit., p. 107, con le fonti ivi riprodotte in nota.
[6] HUBERT JEDIN, Breve storia dei Concili. I venti concili ecumenici nel quadro della storia della Chiesa, tr. it. di Nerina Beduschi, Herder, Roma, 1960, p. 28, 32 (per il riconoscimento del Primato di Pietro).
[7] L’appiattimento della Chiesa Cattolica sulle altre “Chiese e comunità”, come se la nostra fede non si distinguesse da quella dei cosiddetti “fratelli separati”, è stato colto e criticato da Mons. Gherardini in relazione al Proemio della costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia e ad UR 1 (Quod et tradidi vobis, cit., pp. 373-5). Sul punto, il prof. Cantoni accusa Mons. Gherardini di aver troncato le citazioni dai due testi conciliari nel punto più conveniente alle sue tesi (C, 34-6). Ma il prosieguo dei testi citati non mostra in realtà nulla di diverso, procedendo sempre nella stessa direzione. Non c’è mai l’affermazione della superiorità della nostra religione cattolica (unica rimasta fedele al dogma) né quella della necessità del ritorno dei “separati”, dopo aver abiurato i loro errori. Non c’è perché “la Chiesa” ivi menzionata è la “Chiesa di Cristo” nel senso del Concilio non la Chiesa Cattolica Romana nel senso tradizionale del termine. E in questa “Chiesa di Cristo” in tal modo concepita si ha appunto l’appiattimento.
[8] Si controlli lo schema De Ecclesia “scartato” al cap. I, di 7 paragrafi più le note, intitolato: “De Ecclesia militantis natura”. Sul punto, vedi infra, capp. III e IV.
[9] UR 3.5 : “Per solam enim catholicam Christi Ecclesiam, quae generale auxilium salutis est, omnis salutarium mediorum plenitudo attingi potest. Uni nempe Collegio apostolico cui Petrus praeest credimus Dominum commisisse omnia bona Foederis Novi, ad constituendum unum Christi corpus in terris, cui plene incorporentur oportet omnes, qui ad populum Dei iam aliquo modo pertinent”.
[10] D, 205.
[11] ALESSANDRO GNOCCHI – MARIO PALMARO, La Bella Addormentata etc., cit., p. 192.
[12] LGNT, alla voce pléroma.
5 commenti:
La storia della Chiesa è purtroppo piena di eresie, ma queste sono state, sin dall'inizio del Cristianesimo, contraste e combattute , ma giammai lodate con queste parole!! Ecco perché dalla crisi si esce solo dando al Concilio Vaticano II il suo vero valore: un concilio meramente pastorale, che ha distrutto la Chiesa, quindi un esperimento non riuscito da mettere da parte senza se e senza ma!!
Subito paragono il fatto che ' andare incontro a chi è uscito ' non facilita il rientro dell'uscito, anzi lo allontana ancor di più , solitamente chi ritorna, ritorna spontaneamente perché ha verificato dov'è il bene. Il figliol prodigo è esempio per sempre.
Questa azione è buonista oltre che illusoria.
Quello che si può e si deve fare è migliorare se stessi, esempio se uno è erotomane deve perseguire la castità e così per ogni vizio coltivare la o le virtù risanatrici del male di cui di è schiavi.
Deve restare chiaro che questa azione è buonista tipica di chi ha sentimenti malati, decadenti, modernisti.
Da un nuovo importante articolo, "Looking Backward: Long-Term Religious Service Presendance in 66 Countries", appena pubblicato dal National Bureau of Economic Research (NBER), a Cambridge, Massachusetts, autore del Dr. Barro della Harvard University, Dr. Dewitte dell'Università di Oxford e Dr. Iannaccone della Chapman
« Utilizzando un design di eventi-studio, si scopre che i tassi di partecipazione al servizio religioso nei paesi prevalentemente cattolici hanno iniziato a diminuire rispetto a quelli di tutti gli altri paesi e di altri paesi cristiani proprio dopo il Vaticano II. Questo risultato vale per la presenza al servizio religioso di adulti e bambini e vale anche quando si utilizza la quota di aderenti cattolici di un paese come misura continua dell'esposizione di un paese. Complessivamente, il tasso di presenze relative cattolico è sceso di quattro punti percentuali per decennio tra il 1965 e il 2015. Questo schema è coerente con la religione modellata come un bene di club (Iannaccone [1992]) e con l'opinione che il Vaticano II abbia distrutto la percezione di una Chiesa immobile e fedele (Greeley [2004], MacCulloch [2010]). »
https://rorate-caeli.blogspot.com/2025/07/conclusion-of-major-new-economic.html
Nell' anima della Chiesa é chi crede in Dio, Lo ama e serve con ogni forza in veritá rispettando la legge naturale inscritta nella retta coscienza, pur fuori del corpo visibile, ma anche non vi é chi in esso corpo visibile si muove ma come membro morto fosse anche occulta la sua morte spirituale.Quindi la maggiore ampiezza é purtroppo più che compensata dalla minore ampiezza di quanto appare.
Fermo restando le tante ambiguità e storture ed eresie camuffate dei documenti conciliari, nessuno, nemmeno Paolo Pasqualucci, metterebbe in dubbio la validità del battesimo cristiano amministrato dagli Ortodossi o dai Copti o da altri, imponendo il ri-battesimo. Dato che si entra a fare parte della Chiesa tramite il battesimo, tutti costoro battezzati come acattolici fanno dunque parte dell'unica Chiesa di Cristo, Una Santa Cattolica e Apostolica.
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