Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 3 ottobre 2014

Dal nuovo testo di p. Serafino Lanzetta FI. Sull'ermeneutica delle dottrine conciliari

Propongo il testo pubblicato di seguito, tratto dall'ultimo libro di Padre Serafino M. Lanzetta FI, Il Vaticano II, un concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, Cantagalli, Siena 2014, pp. 490, euro 25,00. 
La ponderosa opera - che si avvale di numerose fonti “di prima mano”, documenti d’archivio, soprattutto perizie di teologi della Commissione dottrinale e di scambi epistolari significativi tra i Padri del Concilio e con lo stesso Pontefice Paolo VI - dimostra che non basta la formulazione dottrinale del Concilio, dettata soprattutto dalla ricerca di un accordo da raggiungere in aula, ma che è necessario ricorrere a un principio ermeneutico superiore: la fede della Chiesa, quindi l’omogeneità della sua dottrina. 
Un interlocutore serio equilibrato e ben orientato, che ci consentirà chiarimenti e approfondimenti più che mai indispensabili in questo momento.

IL CONCILIO VATICANO II PER L'UNITÀ DELLA CHIESA.
RILIEVI CONCLUSIVI

Al termine del nostro itinerario ermeneutico sul Vaticano II, scegliendone i testi e le dottrine da noi ritenute emblematiche e ad un tempo significative per percepire la novità del Vaticano Il rispetto al magistero precedente, novità che auspichiamo sia iscritta nell'unicità e nell'indefettibilità della Chiesa, desideriamo a modo di sintesi indicare i dati emersi via via come piste di una riflessione ulteriore e più specifica. È indubitabile che l'ultimo Concilio, forse come mai era successo nella storia della Chiesa, è stato oggetto delle ermeneutiche più disparate e dei giudizi più policromi. Continuità o rottura con la Chiesa si possono attestare entrambe, e di fatto oggi è così. Anche se la rottura viene sviluppata in modo differente, con un taglio più storico o più teologico: ora come portata dalla pastoralità dogmatica del Concilio, ora come nuova stagione ecclesiale inaugurata dall'ultima assise, ora solo come «Anfang des Anfangs» [Inizio del principio] è comunque frattura con la Chiesa e, vedevamo, con la teologia attestatasi fino alle soglie del 1962. Veramente il Concilio voleva inaugurare soprattutto una nuova stagione teologica? Una teologia dal volto più pastorale? In cui però necessariamente la teologia metafisica si colora di un volto oscuro, intransigente, ormai improponibile? Di qui i motivi di questo lavoro, di cui ora vogliamo indicare alcune linee fondamentali.

1. Un problema riguardante l'ermeneutica applicata al Concilio

Si privilegia spesso la categoria "evento" oltre il testo o le decisioni, e questa è collegata intimamente all`"esperienza". Il testo favorirebbe questa unità, rimanendo quasi in mezzo, in ragione della sua ampia discorsività. Così facendo però risulta evidente che nella categoria ermeneutica applicata al Vaticano Il si finisce col posizionare il Concilio prima della Chiesa e di capire la Chiesa dal Concilio e non viceversa. Invece, prima c'è la Chiesa e poi i suoi concili. Crediamo che questo problema sia stato già visto molto bene da S. Roberto Bellarmino, che, pur con la verve polemica e apologetica, nella sua controversia De Conciliis et Ecclesia, spiega che la Chiesa si può osservare in due modi: o come congregata in concilio o come diffusa in tutto il mondo. Nella sua opera premette la trattazione sui concili a quella sulla Chiesa, pur contravvenendo all'ordine della natura, per il fatto che la questione dei concili è connessa di più a quella del Romano Pontefice - che appunto precede -, che non la stessa disputazione sulla Chiesa[1]. Un'esigenza apologetico-dottrinale, ma l'ordine della natura però rimane immutato, e lo deve: prima la Chiesa come mistero e sacramento, come corpo mistico e popolo di Dio - popolo da ricondurre a corpo e non viceversa, col rischio di confonderla con una Volkskirche - quindi un concilio, o i 21 concili per illuminare il fondamento della Chiesa ed esprimere il suo mistero con un insegnamento magisteriale. Ora, a cinquant'anni dal Vaticano II, dobbiamo recepire (ancora) il Concilio, oppure il suo insegnamento? E se il suo insegnamento, non dobbiamo necessariamente contestualizzarlo al fine di vedere il suo posizionamento magisteriale, la novità da esso portata e ad un tempo la necessaria coniugazione armonica con la dottrina attestatasi fino alle soglie dell'ecumenica assise?

Nel nostro lavoro ci siamo interrogati soprattutto sulle due costituzioni principali e assi portanti di tutto il magistero conciliare, LG e DV. E di esse non abbiamo preso in esame se non alcuni temi dottrinali - non si può vedere neppure una costituzione dogmatica come unicum conciliare, dati i diversi livelli magisteriali che in essa occorrono: in LG altro è la sacramentalità dell'episcopato altro la collegialità o la dottrina dell'appartenenza alla Chiesa - al fine di sviscerarne la genesi e conflagrazione, lumeggiando le intenzioni dei Padri per pervenire così ad un giudizio quanto più attendibile circa il grado di assenso che tale magistero richiede e la rispettiva qualificazione teologica delle dottrine da noi esaminate. Di qui ci siamo imbattuti in un problema che ritorna, quasi un Leitmotiv del Vaticano II: la scelta, da parte dei Padri conciliari, di lasciare aperte alcune questioni teologiche e di dibatterne altre, orientati grossomodo dal fine ecumenico o genericamente più pastorale dell'Assise. Di qui lo status quaestionis delle dottrine lasciate aperte in Concilio e affidate ancora alla discussione teologica, e di quelle invece insegnate, a volte con parresìa, anche se la loro tradizione dottrinale era molto più giovane. Questa è la nostra idea ermeneutica: il fine pastorale del Concilio ha giocato un ruolo così determinante da indirizzare anche il magistero conciliare verso un livello generale autentico ordinario, pur dandosi in esso altre stratificazioni come la stessa infallibilità nella fides credenda. La definitività consterebbe, almeno per quanto emerso, solo circa la sacramentalità dell'episcopato, ma la posizione teologica non è unanime. Entriamo più in dettaglio su queste questioni.

Seguono i sottotitoli che elenco, pubblicando solo il 5°, quello conclusivo.
2. la posizione del Concilio circa la qualificazione teologica delle dottrine
[...]
3. La posizione magisteriale neutra circa la sufficienza/insufficienza materiale delle Scritture
[...]
4. Il dato dei membri della Chiesa legato alla coestensività del Corpo Mistico e della Chiesa Cattolica Romana
[Ne farò oggetto di pubblicazione a parte, per l'importantissimo valore a livello dogmatico del tema]

5. Un nuova “forma” di magistero?

Un’ultima questione ci sembra dover evidenziare a modo di sguardo panoramico sul lavoro fatto e sul Concilio nel suo insieme. Ci chiediamo: col Vaticano II si fa strada una nuova forma di magistero per la chiesa? Qualche autore di recente ha voluto provocare questa domanda[36] che tuttavia nei teologi del Concilio e nell’immediato post-concilio era già presente come coscienza di un cambiamento: il carattere teologico dell'aggiornamento magisteriale avrebbe favorito un modo di insegnare che non fosse più condanna degli errori e di rimando definizione della verità - condannando gli errori si dice ciò che solo è vero -, quanto un'affermazione o dichiarazione della verità in una modalità che potesse favorire anche negli altri la sua percezione e finalmente l'unità. La reale consistenza del peccato originale in ogni uomo dovrebbe invece spingere ad essere più guardinghi su questo aspetto. Il ministero della verità, che compete propriamente alla Chiesa perché Cristo è la verità (cf. Gv 14,6), è il più grande atto di amore che la Chiesa da sempre ha manifestato verso i suoi figli e verso ogni uomo di buona volontà. Soprattutto oggi, in un marasma di idee e di opinioni, la Chiesa deve e può nuovamente risplendere come unica maestra di verità e di vita, perciò di amore.
Ora, si farebbe strada col Concilio un magistero predicativo o dichiarativo come forma nuova del munus docendi?
Ricordiamo che fu Giovanni XXIII, nel suo discorso inaugurale del Concilio, a indicare una nuova forma magisteriale da adottare per esporre la verità. Paolo VI nel discorso di inizio della II sessione conciliare, il 29 settembre 1963, riprendeva la volontà del suo predecessore dicendo:
«Noi non dimenticheremo in nulla le norme che con sapientissima intuizione sono state tracciate da Te, primo Padre di questo Concilio, e che qui è utile rievocare: "Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro - ossia la dottrina cattolica -, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell'opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli". Di conseguenza "si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale" (AAS 54 [1962], pp. 791-792 [p. 1101.1103])»[37].
Ancora il S. Padre Paolo VI, nella medesima allocuzione Salvete fratres alla II sessione conciliare, rimarca questa necessità di esprimere in modo più consono quello che la Chiesa crede e pensa di sé. In questo caso il magistero viene presentato più come forma dichiarativa (in modo riflessivo) di insegnamento:
«Ci sembra sia venuto ora il tempo nel quale si debba più profondamente esaminare, riordinare, esprimere la verità sul la Chiesa di Cristo, forse non con quei solenni enunciati che sono detti definizioni dogmatiche, ma piuttosto facendo uso di dichiarazioni in cui con un magistero più chiaro e autorevole la Chiesa si pronuncia su ciò che pensa di se stessa»[38].
Un nuovo indizio di questa nuova forma del magistero ecclesiastico lo troviamo anche nella I Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si tenne dal 29 settembre al 29 ottobre 1967 dove tra i diversi temi all'ordine del giorno, vi era anche il problema della diffusione dell'ateismo. Fu in quel Sinodo che si propose Padre, che poi approvò, l'erezione di una Commissione Teologica Internazionale, sotto la Congregazione della Dottrina della Fede potesse coadiuvare la S. Sede nell'esame dei problemi teologici di maggior rilevanza. Nella Relazione Ratione habita della commissione sinodale del 24 ottobre 1967, per un esame ulteriore circa Le opinioni pericolose odierne e l'ateismo, si denunciò, a due anni dalla chiusura del Concilio, i pericoli attuali per la fede e la dottrina cattolica.
«Sia permesso rilevare - si disse - come non debba recar meraviglia che lo stesso opportuno e fecondo rinnovamento operato nella Chiesa dal Concilio Vaticano II, che cambiò molti usi e modi di pensare che sembravano immutabili e impresse grande impulso a nuovi studi e ad un nuovo stile di vita cristiana e di liturgia, abbia suscitato difficoltà e incertezze»[39]
La relazione lamentava ancora che non si poteva più parlare, nonostante lo sforzo di seguire l'indirizzo pastorale impresso al Concilio da Giovanni XXIII, di
«una sana e proficua ricerca né di legittimi tentativi per adattare l'esposizione della dottrina rivelata alle nuove necessità e alle esigenze della cultura odierna, ma di innovazioni indebite, di opinioni false, anzi di errori nella fede, in quanto si interpretano e si espongono falsamente alcune verità della fede, abbandonando la necessaria continuità nella progressiva conoscenza della dottrina»[40]
Già serpeggiava «una certa arbitraria e falsa interpretazione dello spirito conciliare»[41]. Nonostante tutto, si esortava i vescovi a conservare un atteggiamento pastorale nell'esercizio del loro magistero, senza trascurare la vigilanza nel tenere lontani dai loro fedeli i pericoli dottrinali incombenti:
«Nell'adempimento dell'ufficio di insegnare, i vescovi siano solleciti sia per quanto riguarda la fedele osservanza del deposito della fede, sia nel tenere lontani i pericoli incombenti al loro gregge. Ordinariamente sarà più opportuno attenersi ad una esposizione positiva delle verità, che non assumere un atteggiamento negativo di condanna dell'errore»[42].
Il problema che però emerge da questo nuovo atteggiamento pastorale è il seguente: il magistero dei concili precedenti e dei Pontefici precedenti non era stato pastorale condannando gli errori? La carità più grande non consiste nel distinguere l'errore dalla verità, come la zizzania dal buon grano? Forse che questo nuovo porsi di fronte alla verità rivelata, in qualche modo, porterebbe lo stesso magistero ad emanciparsi a livello pratico da quello precedente? Non è in questione il munus ma la sua forma. Quindi non significa che il magistero, scegliendo una forma più consona all'oggi, si emancipi dallo stesso munus docendi e rinunci ad insegnare. Ma solo che l'insegnamento, con una forma più pastorale, che comunque in ragione del suo oggetto è sempre insegnamento dogmatico o morale, risulta per il credente e per il teologo ermeneuticamente più farraginoso: significherà distinguere in esso l'argomentazione e il modo di esposizione dal dato propriamente di fede e di morale da ritenere; più spesso significa scovare nella stessa argomentazione il dato propriamente dogmatico che si vuole insegnare. Non si tratta però solo di condannare gli errori quanto soprattutto di asserire la verità in modo inequivocabile. Riteniamo perciò che se anche una forma di magistero più dichiarativo, cioè più pastorale, sia utile e necessaria per raggiungere il cuore dell'uomo, per interrogare le menti, e più consona con lo spirito moderno di richiesta di una maggiore autodeterminazione, non bisognerebbe però tralasciare la forma dogmatica propria che è l'insegnamento definitivo e infallibile.

In conclusione possiamo dire che nel Concilio Vaticano II ci sono diverse questioni che rimangono ancora aperte. Come vedevamo per il discorso sulla Madonna, il loro stato di questioni aperte non può che attestarsi al momento in cui lo stesso Concilio, per una scelta di campo, ha voluto lasciarle ancora al dibattito teologico. Le questioni aperte sono riscontrabili, oltre che per la mariologia (rispetto ad una spiegazione più approfondita e precisa del mistero soteriologico di Maria, e in particolare rispetto alla cooperazione di Maria alla redenzione, declinabile precisamente come corredenzione e mediazione di tutte le grazie), anche nei testi dogmatici riguardanti il mistero della trasmissione della divina Rivelazione e il mistero della Chiesa nella sua ampiezza. Lo sforzo ecumenico ha spinto verso la formulazione di una dottrina più aggiornata al tempo presente. Facendo uso in modo più abbondante del dato biblico e patristico, di conseguenza il nuovo del Concilio non contiene necessariamente "tutto" lo sviluppo successivo ai Padri e quindi dell'intera Tradizione. La Scrittura non ci fornisce ad esempio un trattato sulla Trinità: per questo bisogna aspettare i Padri, e i Padri non ci insegnano ad esempio l'infallibilità del Pontefice: per questo bisognerà aspettare il Vaticano I, anche se la dottrina era già matura da prima e logicamente connessa con la Rivelazione. Se l'appello conciliare è esclusivamente un "ritorno alle fonti", ne va di conseguenza che, per sé, il Vaticano Il non riprende l'intera dottrina della Chiesa, ma una sua parte e talvolta solo iniziale. Se "ritorno alle fonti" invece significherà sviluppo omogeneo di esse secondo il canone della Tradizione viva della Chiesa, allora si potrà uscire da una strada che finora sembra senza sbocco. Tra le fonti e il Vaticano Il sembra esserci come un vuoto, che, ahimè, svuota la fede. Ci auguriamo, con questo nostro lavoro, di contribuire a far luce sul Vaticano Il come parte di un tutto, il quale è ben più grande: la Chiesa.

Ci piace terminare con un grande auspicio, che supera la nostra limitatezza ma ci permette di guardare più lontano, oltre la situazione di stallo in cui ci sembra di essere attestati. Vedremmo in un'auspicabile definizione dogmatica della mediazione di Maria SS. un grande rimedio al clima di esagitazione teologica nel quale viviamo e di diffidenza verso il dogma e verso la stessa fede, come dono dall'alto da accogliere e a cui adeguare la propria vita. Definendo infallibilmente che Maria è mediatrice e quindi la nostra vera madre perché nostra corredentrice, pensiamo che grandi vantaggi ne deriverebbero:
  1. il magistero darebbe piena cittadinanza al suo munus dogmatico più specifico;
  2. il Vaticano II non sarebbe più equivocato e salutato come una nuova era teologica di una Chiesa che non ha più necessità di definire i dogmi, perché la sua fede, quasi mescolata con la prassi, avrebbe in qualche modo deposto, col fare, il credere secondo la regula fidei e secondo il Simbolo; 
  3. sarebbe rivalutato il concetto di Tradizione costitutiva della fede, per un ecumenismo nella verità del deposito ricevuto e fedelmente trasmesso;
  4. la mariologia potrebbe risplendere nuovamente del suo munus profetico per la teologia; 
  5. ci sarebbe un'ondata di grazie salutifera per tutta la Chiesa.
Sono punti che però meriterebbero una trattazione ulteriore. Che la Madre della Chiesa vegli sopra tutti i suoi figli e sull'intera Chiesa, che del suo Figlio è il Corpo mistico vivo, presente nel mondo per la salvezza di tutte le genti.
______________________________
1 «Praeponimus autem disputationem de Conciliis, disputationi de Ecclesia licet, ordo naturae contra suadere videretur, quoniam disputatio de Conciliis magis connexa est cum disputatione de Summo Pontefice, quae iam praecessit quam disputatio de Ecclesia», R. BELLARMINO, Disputationes de controversis christianae fidei adversus huius temporis haereticos, cit, t. II, contr. 1, 1. 1, cap. 1, p.2

36 Cf. Kolfhaus, Pastorale Lehrverkundigung - Grundmotiv des Zweiten Vaticanischen Konzils, cit. pp. 213-219, in cui sostiene che il Vaticano II per UR. DH e NA, ha voluto utilizzare un munus praedicandi più che docendi, perché si tratta di un insegnamento che orienta la prassi e non è esercitato come munus determinandi. Manca, a giudizio di questo autore, un concetto teologico per definire il magistero pastorale del Vaticano II [Approfondimenti riscontrabili nella Relazione Kolfhaus, Convegno sul Vaticano II del 2010, pubblicata qui]. Vedi anche T. CITRINI, A proposito dell'indole pastorale del magistero, in «Teologia» 15 (1990) 130-149; E. VILANOVA, Magistero «pastorale» nel post-concilio, in «Revista Catalana de Teologia» 17/1-2 (1992) 105-132.
37 in AAS 55 (1963) 845.
38 Ibid., pp. 848-849: «Nobis prorsus videtur advenisse nunc tempus, qu Ecclesiam Christi veritas magis magisque explorari, digerì, exprimi debeat, fortasse non sollemnibus illis enuntiationibus, quas definitiones dogmaticas vocant, sed potius declarationibus adhibitis, quibus Ecclesia clariore et graviore magisterio sibi declarat quid de seipsa sentiat».
39 EDS 1, n. 452.
40 Ibid.
41 Ibid., n. 454.
42 Ibid., n. 458.

23 commenti:

Anonimo ha detto...


E' tra i sei sospesi?

mic ha detto...


No.

edoardo ha detto...

OT:

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2014/10/03/famigliabaldisseri-papa-vuole-aperture_e835703d-2c3d-4b6d-92e0-fc0acf9e6f69.html

Cattolico Romano ha detto...

(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 3 OTT - Il Papa, sulle questioni controverse che riguardano la famiglia, "vuole aprire: c'è una porta che finora è stata chiusa e lui vuole che si apra". Lo ha affermato il segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, presentando l'assemblea dei vescovi sulla famiglia, al via da domenica in Vaticano.

Questo il comunicato ANSA.
Questo è quel che dice Socci a proposito di Baldisseri:

IMBARAZZO IN CURIA: NON SANNO CHE COSE RISPONDERE SU QUELLO STRANO CONCLAVE.... E I DUBBI AUMENTANO

Mons. Lorenzo Baldisseri era segretario del Conclave del 2013 ed è stato subito "investito" delle porpora cardinalizia allo stesso Conclave da papa Bergoglio con una procedura inedita...
Ora è stato nominato dal papa Segretario generale del Sinodo dei vescovi. Ieri ha rilasciato un'intervista al "Fatto quotidiano" uscita con il significativo titolo: "Sinodo dei vescovi sulla famiglia: tra i temi anche nozze gay, poligamia, contraccezione".
Alla fine l'intervistatore gli ha posto una domanda sul mio libro, appena uscito. E Baldisseri ha (non) risposto.....

DOMANDA - Nel suo ultimo libro “Non è Francesco” Antonio Socci afferma che durante il conclave sono state violate le norme che lo regolano e quindi che l’elezione di Bergoglio è “nulla e invalida”. Lei che era il segretario del conclave cosa risponde?

RISPOSTA - Escludo nel modo più assoluto che sia stata violata alcuna norma. L’elezione di Papa Francesco è avvenuta regolarmente e Bergoglio è stato eletto validamente.

MIO COMMENTO - Caro Baldisseri, siamo nel 2014, non nel Seicento, dovrebbe trovare una risposta argomentata, perché così è un autogol. Dove sono le risposte alle domande e ai dubbi sollevati dal mio libro su quelle votazioni del 13 marzo?

mic ha detto...

È indubitabile che l'ultimo Concilio, forse come mai era successo nella storia della Chiesa, è stato oggetto delle ermeneutiche più disparate e dei giudizi più policromi. Continuità o rottura con la Chiesa si possono attestare entrambe, e di fatto oggi è così. Anche se la rottura viene sviluppata in modo differente, con un taglio più storico o più teologico: ora come portata dalla pastoralità dogmatica del Concilio, ora come nuova stagione ecclesiale inaugurata dall'ultima assise, ora solo come «Anfang des Anfangs» [Inizio del principio] è comunque frattura con la Chiesa e, vedevamo, con la teologia attestatasi fino alle soglie del 1962. Veramente il Concilio voleva inaugurare soprattutto una nuova stagione teologica? Una teologia dal volto più pastorale? In cui però necessariamente la teologia metafisica si colora di un volto oscuro, intransigente, ormai improponibile? Di qui i motivi di questo lavoro, di cui ora vogliamo indicare alcune linee fondamentali.


Sicuramente percorrere quelle linee fondamentali aiuta ad approfondire e comprendere meglio molte cose...

Anonimo ha detto...

Mic, che ne pensa di questo?

"Da una parte, occorre tener conto e valorizzare ciò che è buono nelle vostre tradizioni culturali – poiché Cristo non è venuto ad annullare le culture, ma a portarle a compimento – mentre si deve chiaramente denunciare ciò che non è cristiano."

mic ha detto...

Dico che è cosa buona e giusta quel che è detto, riguardo al principio dell'evangelizzazione tenendo conto della cultura del luogo, valorizzando ciò che è buono e denunciando ciò che non è cristiano.

Aggiungo, ma è certo scontato, che per valorizzare ciò che è buono occorre avere come riferimento la Rivelazione che ci è stata consegnata e custodita nel Depositum Fidei, ovviamente vissuta e non solo sbandierata.
E intendo quella oggettiva non quella che si evolve a seconda delle mode del tempo.
Mentre, per condannare ciò che non è cristiano occorre conoscere - e vivere - cos'è davvero cristiano.

Trovo, però, ingannevole l'affermazione poiché Cristo non è venuto ad annullare le culture, ma a portarle a compimento.

Perché Gesù non è venuto a portare a compimento le culture, ma la Legge inscritta nella Creazione e quella consegnata ad un popolo (etnico) ed ereditata da un altro popolo (teologale), in Cristo Signore, che ha portato a compimento anche la "storia della salvezza" che è la nostra storia e quella della Chiesa e del mondo che la accoglie e, attraverso essa, è redento e salvato...

Non voglio sapere chi l'ha detto e perché me lo ha chiesto. Chiunque sia, è così che la penso. E, se dovesse essere il vdr, mettiamoci un punto.

Anonimo ha detto...

Mic, tutto crolla e tu stai ancora qui con le ermeneutiche?

RAOUL DE GERRX ha detto...

Vatican II n'avait pas d'autre objectif que de réconcilier l'Église catholique, qui n'était qu' "un ghetto", selon Congar (Congar, "lumière du Concile", cardinalisé par Wojtila !) avec le monde actuel tel qu'il était sorti (nouvelle naissance !) du ventre de la Révolution française — dixit Ratzinger.
Donc un anti-Syllabus, donc un anti Quanta Cura, donc un anti-Pascendi.

Le résultat est sous nos yeux.

Est-il encore besoin d'épiloguer là-dessus ?

Il s'est agi, en somme, comme le dit l'excellent Alain Soral, du Troisième Ralliement.

Je rappelle qu'en ordonnant aux catholiques français le "Ralliement" à la République, Léon XIII croyait amadouer la Franc-Maçonnerie et ouvrir à l'Église de France de glorieuses perspectives…
On connaît la suite !

Quand on ne veut plus combattre (parce que, au fond, on n'a plus la vraie Foi et qu'on est un lâche), on dit tout simplement qu'on n'a plus d'ennemi. Et le tour est joué ! "Embrassons-nous, Folleville !"

angelo ha detto...

Ma no, non crolla niente, stia tranquillo. Papà Francesco e' un ottimo pastore, l'ha scritto pure introvigne. E poi se non bastasse ne abbiamo anche un altro, che esercita un ministero contemplativo e spesso scende dalle altezze del colle vaticano per festeggiare i nonni, i fratelli maggiori , quelli minori e anche i gentili dentro i cortili. Come vede, non c'e' nulla da temere. Due papi, due messe di cui una ha circa 7000 possibilità di esecuzione, teologi che affermano che il signore è risorto si, ma simbolicamente perbacco, e che la vergine era tale, ma non realmente. Altri li contestano: ma la chiesa stat e quindi e' tutto a posto.

Stefano78 ha detto...

Il Lavoro di Lanzetta è monumentale. Ineccepibile, un metodo "socratico", pedagogico, Teologico come non si vede da decenni!

La CRITICA di Lanzetta è altissima. Concreta, e va al nocciolo del problema, con una apertura e un metodo di analisi eccezionali.

Attenderebbe solo di essere posta a fondamento di una "Critica legittima", ufficiale, NELLA Chiesa Cattolica.

Si inizierebbe un cammino virtuoso, il cui domani sarebbe SOLO luminoso. Con tutte le sofferenze, le persecuzioni e gli attacchi di cui sarebbe costellato.

Ma il purismo impera...

Luís Luiz ha detto...

tra i temi anche nozze gay, poligamia, contraccezione

È un sinodo non solo contro la famiglia, ma sopratutto contro la castità.

Conviene osservare che la versione rosa della fede dominante nel post-concilio ha un limite preciso: la Croce, che non si può capire e vivere senza la dimensione agonistica. E dunque la castità, parte inevitabile della nostra croce di uomini carnali.

Non per caso la Chiesa post-conciliare è caduta così basso cogli scandali di pedofilia: non riesce più a difendere la castità, non ha nemmeno un discorso coerente sul tema. È una consequenza inevitabile della Fede "en rose" di tutti i bergoglismi.

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti, a Roma le messe tridentine di precetto (anche sabato pomeriggio) attualmente dove si celebrano e a che ora? Sono a Roma da fuori e vorrei assistervi come faccio nella mia cittá, ma via internet non ci sto capendo niente dove trovarle. Grazie mille.

Alessandro mirabelli ha detto...

Segnalo l'intervista a mons. Fellay pubblicata su www.sanpiox.it

Anonimo ha detto...

La S Messa a S Maria di Nazareth, n°8, è abolita a seguito del provvedimento di Commissariamento FFI

RIC ha detto...

Se non sbaglio la Messa a Gesu' e Maria e' alle 09.30

mic ha detto...

Per Anonimo 20:29.
Grazie alle segnalazioni ritrascrivo l'elenco corretto delle Messe tradizionali a Roma (non ho cancellato quelle abolite - ferite ancora cocenti - perché si possa un giorno non lontano sperare di ripristinarle)

1. Parrocchia personale della SS. Trinità dei Pellegrini - piazza della Trinità dei Pellegrini (su via dei Pettinari) - Domenica: S. Messa letta ore 9,00 e ore 18,30, S. Messa cantata ore 10,30 - Da lunedì a sabato: S. Messa letta ore 18,30 - Per informazioni: 06.68192286 – o sito internet della Parrocchia (LINK) Fraternità San Pietro

2. Chiesa dei Santi Nomi di Gesù e Maria - Via del Corso, 45 - Domeniche e feste di precetto, ore 9,30 -
Primo venerdì del mese, ore 19,00 - Per informazioni: 06 66481244 – Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote

3. Chiesa di San Giuseppe a Capo Le Case, via Francesco Crispi di fronte via di Capo Le Case - Domeniche e feste di precetto, ore 11,00 - Per informazioni: 06 39378985

4. Cappella Cesi della Basilica Patriarcale Santa Maria Maggiore - Piazza Santa Maria Maggiore – S. Messa quotidiana alle 7.10 (don Pertin, diocesano) - Primo sabato del mese, S. Messa alle ore 11,00 - Per informazioni: 06 66481244 - Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote (Abolita d'autorità senza spiegazioni dal 1° sabato del 2014, dopo una consuetudine di 14 anni)

5. Chiesa di Santa Maria Annunziata in Borgo - lungo Tevere Vaticano, 1 – tutti i giorni : S. Messa ore 7,00 - Domenica ore 10,30 (Abolita per effetto del provvedimento contro i FI)

6. Chiesa di Sant'Anna al Laterano - via Merulana, 177 – Domenica, ore 17

7. Cappella di Palazzo Altemps, (vicino a p.za Navona) Si accede al Palazzo da Via S. Apollinare n. 8 (e non da piazza Sant'Apollinare!) portone della Sovrintendenza Archeologica di Roma: entrati, scalone di destra – A cura della "Familia Christi" di don Canovai - Domenica, ore 11 http://www.dongiuseppecanovai.it/familiachristi.htm

8. Parrocchia di S. Maria di Nazareth, via di Boccea n. 590 (ogni giorno, messa conventuale tridentina alle 7:00 e ogni domenica, festivo e precetto messa conventuale tridentina ore 08:00) - (Abolita per effetto del provvedimento contro i FI)

9. Cappella Universitaria all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – ogni mercoledì ore 13 – S. Messa

mesmer ha detto...

Spezzo anche io una lancia in favore di padre Lanzetta, interprete dotto, accurato e lucido.

Annarè ha detto...

Ma padre Lanzetta è ancora dentro l'ordine, sotto le grinfie di Volpi, o ha trovato qualche protettore? Mi pare che insegni in una scuola svizzera, ma sempre da dentro l'ordine?

mic ha detto...

Padre Lanzetta è sempre dentro l'ordine.

Rr ha detto...

Padre Lanzetta e' sempre dentro l' ordine...
In liberta' vigilata, come un tempo idissidenti in Russia...meno male che sta in Svizzera, terra di accoglienza par excellence di rifugiati politici, oltre che di eretici e fuoriusciti.
Isei sospesi a divinis sarebbero filippini e nigeriani, poveretti...
Rr

mic ha detto...

meno male che sta in Svizzera

Al momento sta in Austria. Il riferimento alla Svizzera riguarda il fatto che, col lavoro di cui si parla, ha ottenuto l'abilitazione per l'insegnamento presso la facoltà di teologia di Lugano.

Catholic Mission ha detto...

August 5, 2014
Non uso una inferenza irrazionale, una falsa premessa,non c'è discontinuità tra il Concilio Vaticano II e della Tradizione
http://eucharistandmission.blogspot.it/2014/08/non-uso-una-inferenza-irrazionale-una.html