Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 8 ottobre 2014

Il Sinodo della voglia matta. La chiesa di Francesco e quel fastidio liberatorio per il “giogo soave” di dottrina e sacramento

Grazie ad Alessandro Gnocchi per il suo articolo di oggi su Il Foglio, che ci consente di leggerlo senza indugio. E mi fa respirare l'aria di casa mia.

Clicca qui per ingrandire
Laddove non sia sopportabile il giogo del sacramento arrivi il palpito del cuore, “el latido del corazón”, per dirla nel misericordioso ispanico con cui papa Francesco immagina la nuova chiesa, o magari “der Herzschlag”, come si traduce nell’inflessibile alemanno del cardinale Walter Kasper. Ideato, annunciato e avviato sotto il segno della tenerezza, difficilmente il Sinodo straordinario sulla famiglia prenderà altre vie da quella della pastorale aperta alle voglie matte del mondo.

I gesti, i discorsi, le interviste, gli incontri di cui è intessuto l’attuale pontificato possono condurre solo lì, dove paginate di giornale e minuti di televisione divorano ingordamente il viatico affidato da Francesco ai padri sinodali controi cattivi pastori” che “caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito [Omelia di apertura del Sinodo, 5 ottobre. qui]. Paginate di giornale e minuti di televisione che il giorno prima si pascevano del fulmine scagliato da Casa Santa Marta controi capi del popolo” secondo cui “tutto si riduce al compimento dei precetti creati dalla loro febbre intellettuale e teologica” [Meditazione mattutina 3 ottobre, qui]. E poi su, a risalire con fame insaziabile fino a quell’“Angelus” in cui il papa venuto dalla fine del mondo citava, tutt’altro che casualmente, il cardinale che ora gli fa da portavoce dentro e fuori il Sinodo: intellettuale e teologo, ma, evidentemente, non febbricitante di quel morbo che tanto allarma Francesco. “In questi giorni” diceva il papa nel suo primo “Angelus” “ho potuto leggere un libro di un cardinale - il cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene”. [Angelus, 17 marzo 2013 qui]
Da allora, si è diffuso per l’orbe cattolico un certo fastidio liberatorio per quanto di sacramentale e dottrinale forma il “giogo soave” che Gesù promette ai suoi seguaci. La Nuova Legge, che è legge d’amore, non è scevra da condizioni e da giuramenti, e il ristoro dell’anima, dice Cristo nel Vangelo, è subordinato all’assunzione del vincolo: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le anime vostre. Poiché il mio giogo è soave e il mio peso è leggero”. Ma il ristoro dell’anima non è la pace del mondo, il giogo soave e il peso leggero non sono salvezza a buon mercato. “Se uno vuol venire dietro me”, ammonisce Gesù, “rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E lo diceva quando, agli occhi degli uomini, la croce non era ancora stata trasformata in via di salvezza eterna, ma rimaneva strumento di morte crudelmente solo umano.

E ora, dopo che la chiesa per duemila anni ha tratto fior di santi da carne peccatrice indotta a portare la croce in virtù del giogo soave dei sacramenti e della dottrina, tutto dovrebbe cambiare. Il peso leggero è divenuto insopportabile e la croce una chimera da nascondere alle genti: solo il palpito del cuore è buono per l’annuncio agli uomini, savi e cattivi, santi e dannati, uniti in un unico destino che, al più, può illudere di soffrire un po’ meno su questa terra. Ciò che il mondo non comprende va tolto di mezzo, persino quando si tratta di dare forma cristiana a un fatto naturale come l’unione tra un uomo e una donna. Quasi che il matrimonio, per venti secoli, fosse stato offuscato da un apparato superstizioso di formule, di vincoli, di impegni pensati da “cattivi pastori”, da maligni “capi del popolo”, e non invece voluto da Dio.

Ma se vi è un che di superstizioso, non lo si deve cercare nel matrimonio, nel suo rito, nella sua morale. Come diceva G.K. Chesterton in un saggio di un secolo fa, se c’è una deriva da cui guardarsi, è “La superstizione del divorzio”.
“Se infatti penso che l’amore libero sia un’eresia”, diceva lo scrittore inglese, “il divorzio al contrario mi sembra avere tutto l’aspetto di una superstizione. Non è soltanto una superstizione più grande di quella dell’amore libero, ma è anche molto più grande di quella del sacramento matrimoniale. (…) Sono i partigiani del divorzio, e non i difensori del matrimonio, che attribuiscono una sacralità rigida e insensibile a una semplice cerimonia in sé. Sono i nostri oppositori, non noi, a sperare di poter essere salvati dalla lettera del rituale invece che dall’anima della realtà. Sono loro a sostenere che giuramento o violazione, lealtà o slealtà, possano essere sanciti da un rito magico e misterioso, compiuto prima in palazzo di giustizia e poi in chiesa o all’anagrafe. (…) Che un uomo debba baciare la Bibbia per mostrare di dire la verità può essere una superstizione, come non esserlo. È certamente più meschina la superstizione secondo la quale qualsiasi cosa dica quell’uomo diverrà vera baciando la Bibbia. (…). E questo è precisamente ciò che implica l’affermare che inventare un modo per risposarsi possa alterare la qualità morale di un’infedeltà coniugale. Può essere una macchia rimastaci dal medioevo che Aroldo dovesse giurare su una reliquia, pur sapendo che poi avrebbe abiurato. Ma sicuramente quell’epoca avrebbe raggiunto il fondo della meschinità se, per abiurare, ad Aroldo fosse stato sufficiente baciare un’altra reliquia dopo aver fatto lo stesso con la prima. Questo è il nuovo altare che i riformatori vorrebbero erigere per noi”.
Nel suo saggio, GKC prendeva a male parole la società laicizzata dei suoi tempi e l’anglicanesimo soffocato dall’abbraccio del mondo. Letta un secolo dopo, questa pagina diventa la triste cronaca del declinare di una chiesa cattolica cui il destino dei cosiddetti fratelli separati non ha insegnato nulla. Quando parla del “nuovo altare” su cui i riformatori vorrebbero celebrare le benedizioni dei “nuovi matrimoni” Chesterton evoca con chiarezza quanto nessuno ha ancora il coraggio di chiamare con il tremendo ossimoro che gli compete: divorzio cattolico. Poiché di altro non si tratta se i divorziati contraenti nuove nozze, pur con tutti distinguo che le astuzie pastorali sapranno suggerire, verranno ammessi alla comunione, inducendoli colpevolmente, secondo il monito di San Paolo, a mangiare la propria condanna.

L’infezione mondana che ha penetrato la chiesa chiede il suo tributo. Non ancora per le “forme ideologiche delle teorie del gender”, assicura il cardinale Peter Erdo, relatore generale del Sinodo nel suo discorso, perché per adesso sono invise alla stragrande maggioranza dei cattolici. Per l’ammissione all’eucaristia dei divorziati risposati, invece, i tempi sono maturi, si tratta di “vera urgenza pastorale”. Se si avanzassero dubbi, è il papa stesso a spiegare che “il mondo è cambiato e la chiesa non può chiudersi nelle presunte interpretazioni del dogma”.

Eppure, se si scorrono le lettere dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria raccolte nei “Consigli matrimoniali alle figlie sovrane”, si ha l’impressione che, più dei tempi, sia mutata la religione. Nel promemoria per Maria Amalia, sull’orlo della rottura con il marito Ferdinando Borbone di Parma, scriveva che “la sua felicità e la sua salvezza consistono nel non abbandonare mai, senza esserne obbligata veramente, la residenza, il palazzo, poiché non potrebbe mutare questa con nessun altro luogo al mondo se non con un ritiro a vita in un convento del Parmigiano, in cui, nel caso di separazione da suo marito, potrebbe vivere onestamente da sola”.

Vero è che Maria Teresa anteponeva a ogni incombenza terrena la salvezza eterna, così da dire, a proposito della figlia Maria Giuseppa “Si tratta non solo dell’educazione di una delle mie figli, ma di una che fra quattro anni potrebbe essere chiamata al trono per far felice o infelice tutto un regno, suo marito e, ma questo conta meno, se stessa. Si tratta della sua felicità e soprattutto della sua salute spirituale”.

Non è questione di epoche su cui la religione dovrebbe modellare suoi dogmi a ogni voltar di secolo. E non è neppure questione di rango poiché, davanti a Dio e al suo giogo, una popolana vale quanto una regina. Quando nei suoi romanzi John Fante ricorda la madre, contadina abruzzese trapiantata in America, la vede in trono al centro della casa, intenta a salvare un marito che umanamente non lo merita e figli che non ne vogliono sapere scorrendo i grani del Rosario.
“Ave Maria, Ave Maria. Sogni senza sonno la inghiottivano. Passioni disincarnate la cullavano. Amore senza morte, cantava la melodia della fede. Era lontana, era libera (…) ormai era giunta nella terra dove si possiede tutto. Ave Maria, Ave Maria, senza mai smettere, migliaia, milioni di volte, preghiera dopo preghiera, il sonno del corpo, il volo della mente, la morte della memoria, l’annientamento del dolore, il senso profondo e silenzioso della fede. Ave Maria, Ave Maria. Ecco la sua ragion d’essere”.
Per l’una e per l’altra, per la popolana e per l’imperatrice, nella Messa di matrimonio, il sacerdote aveva pregato perché fossero fedeli e caste, portassero il giogo dell’amore e della pace, imitassero le sante spose di cui narra la Scrittura “amábilis viro suo, ut Rachel; sápiens ut Rebecca; longaeva et fidelis ut Sara”, e poi ancora perché fossero gravi per verecondia, rispettabili per pudore, istruite nella dottrina celeste, feconde per prole, buone e innocenti. Cosicché loro e i loro sposi vedessero “fliórum suórum, usque in tértiam et quartam generatiónem, et ad optátam pervéniant senectútem”.

In virtù di questa fede, l’una e l’altra, la popolana e l’imperatrice, hanno serbato nella loro anima un’evidenza obliata dalle “vere urgenze pastorali” di ultima generazione. Sapevano che il matrimonio cristiano non ammette repliche poiché si regge su ciò che John Ruskin, nella seconda delle sue “Mattinate fiorentine”, chiama l’incontro della vita familiare con quella monastica, del concreto senno casalingo con la follia del deserto. Si alimenta di quella speciale percezione dell’intangibile sacralità racchiusa nei gesti domestici della Sacra Famiglia rivelata allo sguardo umano da Giotto. Mai prima, raramente dopo, si è compiuto nell’arte figurativa questo miracolo tutto cattolico e tutto italiano, per dire romano e universale, nel quale il dogma si fa quasi palpabile traducendosi in vita quotidiana esibita senza difesa agli occhi degli uomini. Al cospetto di tale epifania della santità domestica, lo scrittore d’arte inglese coglie l’impossibilità di ridurre le esigenze sacre della famiglia alle voglie profane del mondo:
“Sui termini ‘vita domestica’ devo dire che la visione divina non si concilia certo né con il razionalismo, né con la concorrenza commerciale che Stuart Mill offrirebbe alle donne il luogo della loro missione di spose e di madri, bensì con la sapienza casalinga, l’opera d’amore, il lavoro della terra, in accordo con le leggi celesti. Queste cose sono assai più conciliabili con la rivelazione in una grotta o in un’isola, con il sacrificio di una vita desolata e priva d’amore, con l’immobilità delle mani giunte che attendono l’ora di Dio!”.
L’eleganza inusitata e ribalda di quel punto esclamativo posto a suggellare mani immobili e oranti in attesa di Dio non è invenzione nata nel delirio di una “febbre intellettuale e teologica”. È il segno germogliato tra i pensieri e le aspirazioni di un’intelligenza per nulla indulgente con il cattolicesimo, allorché si trovò al cospetto dell’arte religiosa italiana. Conquistata dal di più esibito in una fede capace di mostrarsi nella ricchezza della sua dottrina, dei suo dogmi e dei suoi riti in perenne e immutabile guerra al mondo e alla sue lusinghe. Una fede in grado di esigere da chiunque l’abbracci l’inflessibile fedeltà al pronunciamento di un voto, quello religioso come quello matrimoniale.

Non è su questa strada che hanno avviato il Sinodo la teologia e l’intellettualità dominanti, quelle sì febbricitanti e visionarie. L’incontro tenero e amoroso con le voglie del mondo può condurre solo a una resa senza onore alle difficoltà di mantenere fede a una promessa. Una deriva che, dice Chesterton, iniziò con il tradimento di un re ancora cattolico: “La civiltà dei voti fu distrutta quando Enrico VIII ruppe la propria promessa matrimoniale. (…) I monasteri, costruiti per voto, furono distrutti. Le corporazioni, reggimenti volontari, furono disperse. La natura sacramentale del matrimonio fu negata (…). Il matrimonio diventò così non solo inferiore a un sacramento, ma inferiore alla santità. Minacciò di diventare non solo un contratto, ma un contratto che poteva non essere mantenuto. Proprio questo punto ha conservato, tra tanti altri simili problemi, una strana e simbolica supremazia che sembra perpetuare l’origine comune della questione. Tutto è cominciato con il divorzio di un re e sta ora finendo in divorzi per un intero regno”.

Non è ammettendo i divorziati risposati alla comunione che si porrà rimedio a quanto inquietava Chesterton cento anni or sono. In una chiesa dove ormai pochi si confessano e tutti fanno la comunione, mettersi in fila per ricevere l’ostia consacrata è divenuta una pratica sociale grazie alla quale ci si sente accettati dalla comunità in festa. In quest’ottica, escludere qualcuno dalla fila dei comunicandi appare un’inutile crudeltà a cui nessun argomento puramente umano è in grado di opporsi.

Per salvare il matrimonio, bisogna prima salvare l’eucaristia da tale profanazione mondana. Davanti a Gesù, che sta in corpo, sangue, anima e divinità dentro l’ostia pallida e pura, più indifeso di un bambino, bisogna essere mondi con il proposito di non peccare più. Per non tradire l’eucaristia dopo aver tradito il matrimonio, non bisogna tradire la confessione. Ma la confessione deve essere vera, come quella che John Fante fece per la sua prima comunione: “Uscii dal confessionale. Ero felice, molto felice. M’inginocchiai all’altare e dissi la mia penitenza. Poi uscii nel sole di un pomeriggio sereno. Non mi ero mai sentito più pulito. Ero un pezzo di sapone. Ero come l’acqua fresca. Ero come una stagnola lucente. Ero un vestito nuovo. Ero un taglio di capelli. Ero la Vigilia di Natale e una scatola di dolci. Fluttuavo, fischiettavo”.
Ma il piccolo John ebbe la fortuna di nascere nella casa di una contadina abruzzese malata, senza saperlo, di quella “febbre intellettuale e teologica” che aveva contagiato il popolano Giotto e ha i suoi germi tra le pagine del Vangelo.
Alessandro Gnocchi

21 commenti:

RIC ha detto...

La domanda che mi pongo e' sempre la stessa: se il risultato del sinodo sara' quello che tutti paventiamo ci sara almeno un cardinale che avra' il coraggio di alzare la voce pubblicamente e di dire no, di accusare il vdr ed i suoi accoliti di uscire dal seminato di Cristo e di portare milioni di anime alla perdizione? Ci sara' almeno in cardinale che mettera' pubblicamente Bergoglio di fronte alle sue responsabilita'? Ed il Papa piu' o meno emerito (visto quello che scrive Socci) cosa fara'? Restera' nel recinto del Vaticano dando implicitamente il proprio assenso ad una linea che scardina l'intera impalcatura dei valori non negoziabili? O avra' il coraggio, magari in silenzio, di lasciare Roma e di rinchiudersi in qualche monastero con un comportamento che varrebbe piu' di milioni di parole?

angelo ha detto...

Chi porta scompiglio nella casa erediterà vento.

mic ha detto...


http://lafededeinostripadri.blogspot.co.at/2014/10/considerazioni-sinodali-1-sul-reiterato.html

Rr ha detto...

GRAZIE GNOCCHI E GRAZIE MIC !
Rr

Anonimo ha detto...

Sto sempre attento a cosa ne pensa chi è completamente a "sinistra", ossia di fatto protestante o, forse, neppure cristiano. Ecco che ne pensa (don) franco barbero:

«Il sinodo dei vescovi sta trasformandosi in sinodo del popolo di Dio? La struttura è ancora gerarchica, ma le voci che vengono dalle comunità si fanno sentire. Uomini e donne prendono la parola con coraggio, sostenuti dall'esortazione del papa a parlare liberamente.
L'esperienza viva dei credenti ridimensiona la centralità tradizionalmente assegnata alla dottrina e ne evidenzia i limiti, le arretratezze , gli abbagli e la distanza dal Vangelo.
Diciamo: si sente un po' di aria fresca e meno aria fritta.»

E se lo dice lui c'è sul serio da allarmarsi...

Josh ha detto...

gli è che la dottrina non cambia mica, nooo,
è che cambia la prassi.....

tiriamo dentro tutti nell'Eucarestia! anche i non credenti.

E tu che ti santifichi non sei d'accordo?
Guai a te che imponi pesi che non porti nemmeno tu,
sei come il figlio del padrone che stava da sempre a casa, ora geloso del figliol prodigo che ritorna.

peccato che il figlio prodigo che ritorna, adesso, vuole tutte le benedizioni, ma non dice "padre, ho peccato contro di te" e si emenda dal peccato,
ma continua a peccare fortiter e fortius!

vedo che aumenta il numero in società di chi non ha fatto i conti con l'Oste:

"Il SIGNORE è lento all'ira ed è molto potente,
ma non lascia il colpevole impunito"(Naum 1,3)

altri traduce meglio: "ma non tiene il colpevole per innocente"

Turiferario ha detto...

In definitiva, c'è in questi eccelsi teologi e attenti operatori pastorali una scarsa considerazione per Gesù Cristo. Perché, se la felicità dell'uomo passasse attraverso l'avere più famiglie, non ce lo avrebbe detto lui per primo, "ciò che l'uomo ha unito l'uomo separi pure"? Se le coppie di fatto fossero portatrici di santità, lui non ci avrebbe esortato a formarne senza problemi? Evidentemente questi signori considerano Gesù di Nazareth un bravo teologo vissuto millenni fa, ma adesso i tempi sono cambiati e dobbiamo rivedere il suo pensiero.

Anonimo ha detto...

Ci sara' almeno in cardinale che mettera' pubblicamente Bergoglio di fronte alle sue responsabilita'?

ma se neppure mons. Fellay ha il coraggio di prendere una simile posizione ammonitrice, (cfr. "sono venuto a portare la spada...") come può farlo un qualsiasi cardinale della chiesa vat.2 ?

Josh ha detto...

@Turiferario
non so come considerino Gesù di Nazareth,
forse è in corso anche una riabilitazione di Giuda.

tralcio ha detto...

Nelle "cose di Dio" ridotte all'antropocentrismo e umanamente manipolate, avviene quel che è successo con l'esegesi.

Paradossalmente tanto scempio lo dobbiamo soprattutto ai "patiti" del Sola Scriptura...

Si prende il versetto A e si legge ciò che dice. Poi si fa un rimando al versetto B; da questo al versetto C e finalmente al versetto D, dove D dice esattamente l'opposto di A... Quanta "esegesi" funziona così?

Negli ultimi secoli (da Galileo in poi) il "monolite Bibbia" è svaporato, passando dalla sua graniticità storica all'essere un'eterea favoletta per bambini...

Svanita l'inerranza della Bibbia (è bastata l'ideologia del "metodo scientifico" e lo zelo "demitizzante") i cattolici hanno cercato di "consolarsi" con l'inerranza del Papa, con alcuni casi di fiera resistenza al "modernismo".

Poi anche il Papa è "svaporato" e siamo arrivati "all'inerranza del Concilio"...
Dalla Rivelazione di Dio, spiegazione dell'uomo da parte di Dio, da accogliere con timore e tremore, si è giunti all'assemblea degli uomini: oggi l'uomo è spiegazione a se stesso!
Fuori dalla Chiesa e dentro la Chiesa!

Dio non è più al centro, perchè al centro c'è l'uomo.

E' il sole che gira attorno alla terra! In nome del "metodo scientifico"! Sono le "idee" (anche quelle su Dio) a fare l'Essere e non viceversa! Il "Dio misericordioso" delle idee cristiane del XX secolo, tutto aperto al mondo, sembra confliggere con il fatto della misericordia di Dio che ha fondato il cristianesimo, ponendosi in aperta alternativa allo spirito del "mondo".

Se alla fine può valere tutto e il suo contrario (persino dentro nella stessa Legge che diciamo di osservare), alla fine decidiamo noi che cosa dice la Legge...

C'è una distinzione precisa: l'ideologia spiega la natura con la sola natura (è a "dogma zero"), mentre la religione spiega la natura prendendo qualche ragione anche al di fuori (dove il "dogma" è frutto di un'accettazione di ciò che c'è e non si spiega, senza rifiutarlo, ma senza inventarsi nulla).

Oggi c'è molta ideologia nella Chiesa. E poca religione.

E' l'ideologia che parla di famiglia distribuendo bibbie, protestantizzandosi, riducendosi al Sola Scriptura...

Nella realtà solo l'orale permette di capire lo scritto.
Un bambino impara la "lingua madre" dalla mamma, non da un libro.
Solo la mamma insegna la parola. Lo scritto è intraducibile per definizione.
L'ascolto vitale del figlio alla madre (oralità) è del tutto diverso dall'obbedienza gerarchica a un'assemblea (lo scritto), specie se multilingue.

Se viene meno l'alleanza vitale, l'alleanza decade. Restano solo i "vincoli" umani, come quelli di Maastricht...

Lasciando fuori Dio, origine e spiegazione della Parola, che non sta solo in un libro, non basta uno scritto per capire il significato delle parole e non basta una maggioranza che stabilisce l'interpretazione "ufficiale" di quelle antiche parole.

Sono di Dio, non dell'uomo...

La vita non nasce dal fango, dal nostro fango... Se non ci fosse Dio a dare la vita, non ci sarebbe vita...

viandante ha detto...

Gesù disse loro: Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandar via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ed io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per cagion di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio.

Queste cose Mosè permise, altre ne potrebbero permettere le autorità religiose odierne, tuttavia tutto ciò si scontra con le parole di Gesù: "E io vi dico...".
Ma in fondo la spiegazione di tutto si riduce al fallimento di una pastorale lassista che ha ricondotto molti cuori alla durezza! Altro che conquiste...

Annarè ha detto...

E dunque una S.Messa dove Gesù sacramento sarà dato volontariamente dai suoi ministri, a pubblici peccatori, non assomiglia ad una messa nera? Se l'offesa a Dio non sarà più accidentale (dovuta ad esempio ad ignoranza), ma voluta, cosa diverrà la messa? Non è anche da qui che si vede come la Santa Messa salvata da mons Lefebvre sia l'unica che vivifica le anime? Non è questo un 'ulteriore segno che la messa nuova ha condotto le anime, i prelati stessi a perdere la Fede?

Bob Hope ha detto...

"Quando un uomo apre la porta dell'auto alla moglie, una delle due è nuova".

Cattolico ha detto...

Si, Annarè, anch'io sono profondamente convinto che il clero modernista abbia perduto totalmente la fede, sostituendola con una semplice ideologia (comunista, protestante, ecumenica, massonica), e la messa NO non ne è che uno dei seggi più eclatanti. Ma adesso stanno attaccando direttamente i dogmi, il depositum fide, e il Signore li lascerà fare? mi viene qualche dubbio in proposito, mah.

viandante ha detto...

Condivido le vostre preoccupazioni Cattolico ed Annarè.
Il problema sono proprio questi attentati alla dottrina e alla conseguente pastorale cattolica.
Li lascerà fare il Signore?
La stessa domanda potrebbe essere: È veramente giunto il Calvario anche per la nostra cara Chiesa?

Cesare Baronio ha detto...

Sono profondamente commosso dalle parole di Gnocchi. Parole in cui si percepisce il soffio rigenerante della Grazia divina, l'anelito di un'anima buona al Vero e al Bene.

Questo articolo tocca le corde del cuore con un afflato soprannaturale che scioglie le lacrime.

Nel silenzio colpevole di molti, o nello strepito scomposto degli empi, il Signore si degna di suscitare tra i laici nuovi profeti, che richiamano ai pastori traviati ed al popolo disperso le immutabili verità della Fede.

Che Dio vi benedica, caro fratello!

Annarè ha detto...

Il fatto è che molti cattolici continuano a dire che non sta cambiando niente, che tutto va bene, che al massimo sono certi giornalisti o uomini di cultura alla Gnocchi o tipo Socci che sono delle malelingue che mettono confusione nelle anime. Il veleno è penetrato così lentamente che si sono abituati a tutto e non credo che saranno in molti a scandalizzarsi se ci sarà un cambiamento dottrinale riguardo all'indissolubilità del matrimonio. Tanti zombie girano ormai per le strade.

Alessandro Mirabelli ha detto...

Mi meraviglia che ben pochi padri sinodali abbiano utilizzato le parole: conversione, ritorno a Cristo dopo una vita di peccato, ri-orientamento verso Cristo. Perché se incontriamo davvero Cristo ci pensiamo ventisette volte prima di divorziare e di risposarci o di convivere more uxorio. Se lo facciamo e' perché Cristo non l'abbiamo mai incontrato oppure, pur avendolo incontrato, lo rinneghiamo. Perché non si parla chiaramente di conversione ai divorziati risposati? Perché non ricordiamo loro la parabola del figlio prodigo che non indurì il proprio cuore dopo aver compreso il male che stava facendo? La mia impressione e' che alcuni vescovi stiano molto più attenti alle esigenze sessuali che non alle esigenze di Cristo ed alle esigenze dell'anima.

Rr ha detto...

Alcuni vescovi sono molto piu attenti...

a quelle dei fedeli o alle proprie?
Rr

Cesare Baronio ha detto...

Scusate ma non è stato già un primo passo verso la dissoluzione della famiglia e la profanazione del Matrimonio il riconoscere tacitamente valore e validità al matrimonio civile, col pretesto di scongiurare il riconoscimento legale delle unioni di fatto?

Una volta che si è data dignità ad un accordo legale di concubinato, qual è il matrimonio civile che prevede il divorzio, per quale motivo oggi si dovrebbe censurare chi nella pratica si comporta come se il Matrimonio religioso fosse nient'altro che un matrimonio civile con la musica e la benedizione di un prete?

E ancora: quanti concubinari profanano il Sacramento prima di averlo contratto, vivendo more uxorio con l'approvazione dei genitori e del parroco, per poi decidere successivamente di sposarsi, magari solo in comune o in chiesa? I divorziati lo profanano col non rispettare gli impegni presi dinanzi a Dio, i fidanzati che convivono lo profanano nel non volersi assumere impegni e nel non ritenere indispensabile a quell'unione la benedizione del Cielo.

Ma la Gerarchia, dal referendum sul divorzio, si è sempre guardata dal protestare e dal condannare questi comportamenti peccaminosi, prendendoli come un dato di fatto contro il quale non è prudente levare la voce.

Pavidi, come tutti gli eretici. Forti coi deboli e deboli coi forti. Inflessibili coi miti e coi buoni, ed accondiscendenti coi ribelli e coi malvagi.

Usquequo, Domine?

Annarè ha detto...

Da quando hanno voluto il concubinaggio della Sposa di Cristo con le altre religioni, non possono non fare lo stesso per il matrimonio tra uomo e donna. Se la Chiesa rappresentava appunto la sposa di Cristo e oggi l'hanno trasformata in una donna di malaffare, cosa speriamo per il sacramento del matrimonio? Il tradimento con le altre religioni si riflette nella vita degli uomini se i sacerdoti, i vescovi, i papi non si preoccupano di ferire Gesù, perchè dovrebbero preoccuparsene i laici? Oggi gli uomini di Chiesa non hanno forse divorziato dal buon Dio? E continuano a fare la Comunione. Una comunione senza comunione.