Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 16 febbraio 2018

La teologia narrativa di papa Francesco

Ringraziamo di cuore il lettore che ci invia questo suo interessante lavoro che, dalla sapiente recensione di un testo che vale la pena conoscere, ci apre molti ambiti di comprensione sul fenomeno Bergoglio.

Gian Enrico Rusconi, La teologia narrativa di papa Francesco, Laterza, Bari-Roma 2017, pp. 153, euro 16,00.

Il professor Gian Enrico Rusconi, emerito di Scienze politiche all’Università di Torino e noto editorialista del quotidiano «La Stampa», ha voluto proporre, con questo suo saggio, una analisi “laica”[1] della proposta teologica di papa Bergoglio. Rusconi, che è autore non cattolico vicino alle tesi della Scuola di Francoforte e gran conoscitore della cultura tedesca, propone, sin dal titolo, di intendere il pensiero di Bergoglio come una originale espressione della teologia narrativa. 

Ciò che Rusconi rifiuta sin dalle prime pagine è la derubricazione del parlare bergogliano a rozzezza intellettuale, ad incapacità teologica. L’Autore, piuttosto, riconosce a papa Francesco la pretesa di mutare paradigma alla teologia cattolica, dalla sistematica alla narrativa, dall’argomentazione alla narrazione. Bergoglio non sarebbe così un cattivo teologo, un provinciale ignorante venuto a Roma dalla pampa piuttosto, nell’analisi di Rusconi, Francesco assume i tratti del rivoluzionario impegnato, come Papa, a ridefinire la stessa identità del cattolicesimo: «di fatto ricodifica la dottrina tradizionale con codici semantici-retorici-metaforici o mitici, la cui compatibilità con la versione tradizionale è di difficile valutazione».[2]

Il libro di Rusconi non è incasellabile nella dicotomia pro o contro Bergoglio che domina, almeno mediaticamente, il dibattito sulle novità proposte/imposte da papa Francesco. Il professore torinese certo riconosce a Bergoglio una dignità teologica che, spesso, gli stessi “turriferai”[3] non osano affermare e tuttavia, proprio perché condotta a partire da un quadro di generale simpatia, l’analisi di Rusconi riesce ancor più graffiante dove si mostra lucidamente critica. Come saggio critico “da sinistra” è stato appunto letto, almeno maggioritariamente, il volume. Così lo ha inteso il professor Pierfrancesco Stagi recensendolo sulla rivista «Teologia e filosofia» e così certa stampa cattolica che ne ha parlato.[4]

Volendo riassumere il volume in poche questioni potremmo individuarle in tre punti:
  1. Bergoglio e la teologia del popolo; 
  2. Peccato e misericordia in Bergoglio; 
  3. Bergoglio e la teologia narrativa.
Che Bergoglio si riconosca nella teologia argentina del pueblo non è un mistero. Se poi è nel rapporto peccato/misericordia che, nell’economia del saggio, si inserisce la problematica di Amoris laetitia, dei Dubia dei quattro Cardinali e il grande dibattito collegato, così come è la questione del peccato (originale) in Bergoglio a occupare molte pagine del volume, è tuttavia indubbio, sin dal titolo, che la chiave offerta da Rusconi per interpretare papa Francesco sia l’intenderlo dentro lo schema della teologia narrativa.

Il nostro Autore parla di «ermeneutica religiosa bergogliana»[5] e lo fa con l’avvedutezza e il rigore terminologico di chi padroneggia le categorie della filosofia contemporanea. Rusconi, quando indica la teologia narrativa come il quadro del  pensare/comunicare bergogliano, intende evocare tutta la radicalità del concetto e così scrive di «una nuova ermeneutica religiosa»[6] che «significa reinvenzione semantica, espressività emotiva accompagnata da flessibilità concettuale».[7]  È l’ultimo capitolo quello nel quale Rusconi porta a chiarezza il concetto di teologia narrativa utilizzato pagina dopo pagina e lo fa ricorrendo alla categoria del mito così come compresa da Hans Blumenberg.[8]
Scrive Rusconi:
«il mito non è una narrazione pre-logica o meta-logica, tantomeno una manifestazione di un sopranaturale […] Non è una segreta riserva di senso […] Il mito è una forma, una manifestazione peculiare dell’attività della ragione stessa. […] parte costitutiva del mito è la sua ricezione […] Il mito e la sua elaborazione presuppongono sempre un pubblico che reagisce. Un mito si fa mentre viene narrato. Lo si inventa nella sua ripetizione e riproposizione e diventa autoesplicativo.  Il mito – insomma – è tale non già per una sua presunta originarietà, ma per la sua continua ri-narrabilità, ri-semantizzazione. Non c’è nessun senso recondito, tanto meno un senso perduto da recuperare una volta per tutte, ma è una continua ri-creazione. Produzione, riproduzione e ricezione sono facce della stessa realtà. Non c’è un qualche contenuto di verità kerigmatico (per dirla con Rudolf Bultmann) che va disvelato […] perché ciò che conta è la forza performativa della narrazione e soprattutto della sua accettazione da parte dell’ascoltatore. È la potenza del lavoro della ricezione e della pubblicità che lo accompagna. In questo senso il mito è tutt’uno con la sua efficacia comunicativa-espressiva e pubblica».[9]
E mythos «continuamente rielaborato»[10] è il Vangelo, nell’orizzonte della teologia narrativa adottato da Rusconi per spiegare Bergoglio, «la cui verità/veridicità vale la testimonianza non solo di chi lo racconta, di chi ha raccolto la sua testimonianza, ma anche di chi continuamente lo ritrasmette, lo ri-narra, lo rielabora. Sino a Bergoglio, e alla sua teologia narrativa»[11] impegnato a riattualizzare il racconto biblico adeguando la narrazione «alla sensibilità contemporanea»[12] «nell’attuale fase dell’ipermediazione mediatica».[13]

Dopo aver riconosciuto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013 la «matrice argentina»[14] della teologia del popolo, il capitolo secondo, significativamente intitolato Teologia del popolo e populismo affronta la questione della teologia del pueblo in Bergoglio. Capitolo denso che legge in unità tanto le questioni ecclesiologiche quanto quelle politiche implicate nel particolarissimo “populismo” bergogliano.

L’eredità di Lucio Gera, Rafael Tello e Juan Carlos Scannone in Bergoglio è forte ed evidente, passa per la valorizzazione dei movimenti popolari anticapitalisti, per una retorica pauperista e populista, per un pastoralismo prassistico[15], per una ecclesiologia dove il pastore segue il gregge ed è chiamato ad averne l’odore.  Un magma teologico, politico, filosofico e mitico che si concentra nell’idea di popolo, popolo che per Bergoglio «non è una categoria logica: è una categoria mistica»[16]. Rileva, puntualmente Rusconi, come, intervistato dal direttore de La Civiltà Cattolica, Bergoglio abbia «di fatto corretto il termine mistico con mitico. […] rettifica molto importante […] significativo esempio della mobilità semantica di papa Bergoglio, che non è sempre facile seguire»[17]

La mobilità semantica di Bergoglio, rileva Rusconi, fa si che il termine pueblo porti con sé il senso ecclesiologico di “Popolo di Dio” pur indicando anche il popolo come collettività depositaria naturale e spontanea della solidarietà sociale e, ancora, il “popolo degli esclusi”, dei poveri, degli emarginati. Insomma tra la Chiesa, definita dal Vaticano II come Popolo di Dio, è il pueblo inteso come la moderna plebe dei vinti, nella retorica bergogliana, non è agevole la distinzione: «Popolo di Dio e popolo tout court tendono così a sovrapporsi».[18]

Ugualmente equivoco, nota Rusconi, è il motivo della povertà in Bergoglio, «combinazione tra dimensione sociale, economica e dimensione religioso-escatologica»[19] tale da generare «una visione irrealistica»[20] che idealizza la povertà come «situazione soggettiva che promuove solidarietà e spiritualità»[21] confondendo così la povertà evangelica con una condizione sociale e «l’utopia religioso-escatologica con la dura realtà sociologico-politica».[22]

Il populismo di Bergoglio è da Rusconi interpretato come «nuovo tentativo di religione civile unificante»[23] capace di sedurre anche i non credenti, tanto più che Bergoglio lascia i temi “confessionali” a margine della sua proposta.

Bergoglio, nota Rusconi, in questa sua volontà di ri-narrare il Cristianesimo, di ri-dire il Vangelo, sembra scientemente indifferente, se non insofferente, al dogma, a ciò che Rusconi chiama «formule dottrinali tradizionali».[24] Al punto che un documento solenne come la bolla Misericordiae vulnus può essere, con solidi argomenti, plaudita pubblicamente (presso la Facoltà teologica –cattolica - del Triveneto) dalla teologa luterana Elisabeth Parmentier leggendovi «gli stessi orientamenti di fondo della teologia di Martin Lutero».[25]

La questione “luterana”, cui Rusconi dedica un intero capitolo, il quarto, si rivela tutt’altro che marginale per comprendere la nuova ermeneutica religiosa di Bergoglio. Infatti è nella lettura bergogliana di Lutero che il tema del popolo, del peccato, della misericordia si incontrano. Bergoglio applica la sua teologia narrativa anche a Lutero ri-leggendone la figura, le idee e l’eredità storica.[26] A Bergoglio non interessano le questioni dogmatiche, per lui Lutero è un maestro spirituale e un riformatore della Chiesa, uno che «ha scoperto questo Dio misericordioso»[27], lo stesso Dio-Misericordia che Bergoglio propone instancabilmente. E questo Dio misericordioso Lutero lo dice nella sua idea di giustificazione così che per Bergoglio il grande merito dell’eresiarca tedesco sarebbe proprio il sola gratia.

Il dialogo luterano-cattolico è inteso dunque da Bergoglio come una nuova narrazione capace di unire. La divisione è il grande male, non l’eresia che tale divisione ha prodotto e sostanzia. Anzi per Bergoglio la divisione è stata «storicamente perpetuata da uomini di potere»[28] contro la volontà del popolo «che aspira naturalmente a rimanere unito»[29].  La questione dottrinale è completamente obliata affermando che «c’era una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difendere la vera fede, ma […] ci siamo chiusi in noi stessi per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi».[30]

Qui Rusconi definisce «storicamente molto audace»[31] la rilettura bergogliana della rottura protestante a dirne l’insostenibilità su un piano veritativo. Ma è proprio nella non verità storica della lettura bergogliana che si mostra la natura della teologia narrativa, teologia non scientifica ma retorica, non veritativa ma performativa. Nell’orizzonte ermeneutico che Bergoglio fa proprio non vi è alcuna verità oggettiva da attingere, piuttosto la verità è il prodotto della comunicazione efficace che convince creando una narrazione condivisa, un nuovo mito. Ecco allora la priorità ecumenica di «raccontare questa storia in modo diverso».[32]

Molte pagine Rusconi le dedica al plesso tematico misericordia/peccato individuato come centrale nella narrazione bergogliana. Bergoglio imposta tutta la sua narrazione sull’idea di Dio come Misericordia, a lui non interessa affrontare la questione del male, «a lui preme ripetere che Dio perdona […] Il ricorso alla misericordia esonera e immunizza dal cercare e dall’ottenere una risposta sul perché dal peccato dei progenitori sia discesa l’intera sequenza dei mali nel mondo»[33]. E invece Rusconi è proprio nel campo della teodicea che segnala la debolezza della teologia di papa Francesco, di cui pure apprezza le “aperture” su divorziati risposati, omosessuali e aborto[34].

Bergoglio suggerisce «che il nostro Dio si è fatto uomo per poter piangere»[35] portando così su un piano retorico-poetico la questione della teodicea. Questione che Rusconi pone invece con la forza di Epicuro e di Giobbe, di Hans Jonas e dei filosofi/teologi contemporanei più sensibili. E sempre Rusconi pone con decisione la questione del peccato dei Progenitori, delle sue conseguenze. Denuncia Rusconi che nella narrazione bergogliana dove Dio è tutto misericordia e solo misericordia resta inevaso l’interrogativo sul perché del male, «sul perché il perdono di Dio abbia dovuto assumere la forma estrema della cacciata dall’Eden e quindi l’invio del Figlio sulla terra».[36] Il tema del peccato e della colpa, della punizione divina, della dannazione eterna come conseguenza del peccato, del sacrificio (redentore di Cristo) sono estranei alla narrazione bergogliana. Mentre, giustamente, nota Rusconi, oltre che patrimonio permanente della teologia cattolica, sono inevitabili per comprendere la stessa Redenzione.[37]

In fondo, con queste critiche pur saldamente fondate, Rusconi rivela una certa ingenuità pretendendo dalla teologia narrativa di Bergoglio delle ragioni, dei perché dove la nuova narrazione/ermeneutica religiosa, ponendosi come mito, nel senso datogli da Blumenberg, si concepisce auto-evidente e auto-esplicativa perché «ciò che conta è la forza performativa della narrazione e soprattutto della sua accettazione da parte dell’ascoltatore. È la potenza del lavoro della ricezione e della pubblicità che lo accompagna. In questo senso il mito è tutt’uno con la sua efficacia comunicativa-espressiva e pubblica».[38] Come scrive lo stesso Rusconi: «verosimilmente a Francesco non interessa tanto la fondatezza teologica dei suoi argomenti quanto la loro presa immediata sul vissuto quotidiano».[39]

Il merito del libro di Rusconi sta tutto nell’aver compreso Bergoglio nell’orizzonte della teologia narrativa ed averne evidenziato la pretesa radicale di una nuova ermeneutica religiosa. Dalle pagine del volume Bergoglio emerge come un rivoluzionario, come un ri-fondatore (del Cristianesimo) per mezzo d’una mitopoiesi collettiva (del pueblo) di cui lui sarebbe (una) voce. La questione inevitabile è dunque di ordine fondamentale e riguarda l’idea di Rivelazione e, di conseguenza, di Magistero (papale). La questione ultima è quella della Verità!

La teologia narrativa[40], nata sulla scia della linguistica testuale, è in se stessa un radicale relativismo implicante una opzione agnostica dove cioè la Realtà mai è attinta e la “verità” nulla è di ontologico ma cosa tutta interna al testo, al linguaggio, ad una certa narrazione.  Bergoglio, lo dice chiaramente Rusconi, non ha un interesse veritativo ma performativo, da qui l’anti-intellettualismo di Francesco, il suo praxismo, il primato della pastorale . È qui la radicale incompatibilità tra il “cristianesimo” di Bergoglio e quello dei suoi critici, ben prima che su questo o quel punto pur notevole.

La Rivelazione viene ad essere non più Verità donata da Dio che la Chiesa deve custodire e trasmettere inalterata ma ispirazione per una narrazione in fieri, modello per dire e ri-dire miticamente la misericordia di Dio.

L’operazione che Bergoglio starebbe tentando sarebbe titanica, una ri-dizione del Cristianesimo come storia della misericordia. La misericordia, non classicamente intesa ma ri-semantizzata, è così il paradigma ideologico-linguistico attorno al quale viene ri-detto l’intero Cristianesimo. In questa operazione retorica mitopoietica il linguaggio assolve una funzione incantatoria, magica[41] si potrebbe dire, nel senso che la parola non comunica una verità ma è invece strumento per ottenere un effetto. Ed è un effetto, quello ricercato, rivoluzionario, di trasbordo ideologico[42] dalle formule dottrinali tradizionali alla nuova ermeneutica religiosa bergogliana.

La grandezza e la preziosità del saggio di Rusconi è qui, nel segnalare, con laico distacco e quasi senza lui stesso avvedersene pienamente, la portata rivoluzionaria dell’operazione che Bergoglio starebbe compiendo: operazione che, in quanto mitopoietica, si pone non già sul piano della scienza teologica ma propriamente su quello della Parola.

Ci chiediamo così se Bergoglio non abbia già superato il confine della teologia narrativa approdando a quella che Ferruccio Parazzoli chiama narrativa teologica.

Scrive Parazzoli: «Sacra Scrittura. Propongo, in primo luogo, per poter procedere, di sgombrare, per il momento, il campo dall’aggettivo sacra. Scrittura: l’Antico come il Nuovo Testamento, gli Atti, perfino l’Apocalisse, sono scritture (questa volta con la lettera minuscola). A quale genere di scrittura appartengono? La prima e più comune risposta sarà: al genere religioso.

Sbagliato. Nessuna di quelle scritture può essere incasellata fra i testi di scrittura religiosa. Qualunque ne sia il soggetto, sono testi narrativi. La narrazione, il racconto, è la parola di Dio – “Parola del Signore” – che torna ogni volta a vivere attraverso la parola dell’uomo come già fu all’inizio.

Ma l’uomo è capace di Dio? […] Nell’uso del linguaggio, che non è cosa ovvia, ma è un unico e irrepetibile universo di parole, figure, conflitti, il narratore trova il proprio mezzo per fare del proprio racconto qualcosa di necessario e inevitabile […]

A questo punto il discorso del rapporto tra la Parola e la parola si fa complesso e sovrapposto. Tenterò di procedere con ordine e per sintesi.

Lo spazio narrativo tra la Parola e la parola presenta due strade: la teologia narrativa e la narrativa teologica, che possono sembrare, ma non lo sono, la medesima cosa. Può essere la medesima strada ma percorsa nei due sensi opposti.

Ogni narrazione ha un punto d’inizio detto incipit. Se l’incipit sarà: “In principio Dio creò il cielo e la terra” ( Genesi 1); “Genealogia di Gesù Figlio di Davide” ( Matteo 1); “Inizio dell’evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” ( Marco 1); “Poiché molti hanno posto mano a comporre un racconto …” ( Luca 1); “In principio era il Verbo” ( Giovanni 1); “Il mio primo volume, o Teofilo, trattava di quel che Gesù…” ( Atti 1); “Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare …” ( Apocalisse 1), il punto d’inizio, l’incipit, sono le Scritture (con la maiuscola). E poiché le Scritture sono narrazione, qualunque narrazione che potrebbe derivarne apparterrà alla teologia narrativa, una forma di linguaggio che, a differenza dell’esegesi, della didattica, dell’omiletica, dell’agiografia (tutti generi di cui è denunciata la crisi del linguaggio perché spesso incapace di trasparenza), partecipa della forza della narrazione e, insieme, dell’impegno della ricerca. Una narrazione che deriva il proprio soggetto dalle Scritture e lo sviluppa evitando ogni intonazione edificatoria, perché la Parola non ha bisogno di chi la suoni pensando che la gloria di Dio passi per la sua povera tromba.

La locuzione “teologia narrativa” è stata coniata da H. Weinrich in un articolo nella rivista Concilium nel 1973, […] Un ripensamento, quindi, del linguaggio teologico, “il luogo della narrazione in cui si ri-racconta il racconto biblico anche attraverso le moderne scienze del linguaggio”. Un’arte teologica.
[…] Ma poiché l’uomo, credente o ateo, se vuole essere onesto verso quel Dio che ricerca o che rifiuta, non può fare tacere l’inquietudine del proprio spirito, proprio per quel suo essere “umano troppo umano”, resta aperta la seconda strada: la narrativa teologica.

Si rovesciano i termini: non più il percorso narrativo dalla Parola di Dio all’uomo, ma dall’uomo alla Parola di Dio. Narrativa teologica: una narrativa verticale che trova il proprio incipit non più negli incipit della Scrittura, ma all’interno dell’uomo e si sviluppa e si spinge oltre il visibile, “dai tetti in su”. Non più, dunque, come discorso su Dio in trasposizione dalle Scritture, ma scrittura dell’uomo che ha Dio per orizzonte, come limite che continuamente si sottrae e si nega ma che indica e segna il percorso oltre l’immobile orizzonte dell’esistenza quotidiana. Dio come orizzonte e limite, sempre più nuovo e sempre più vasto, oltre quello spazio, umano e troppo umano, terribilmente ristretto, in cui, tuttavia, si può ancora tentare di essere onesti verso la ricca anche se dolorosa ambiguità della vita, verso l’assoluta, irraggiungibile semplicità di Dio».

Giudichi il lettore se la nuova ermeneutica religiosa di Bergoglio sia teologia narrativa o piuttosto narrativa teologica, di certo è la narrativa teologica l’esito più coerente di quella teologia fondamentale, mai esplicitata dall’Argentino ma non per questo meno determinante, che regge lo stesso discorso di papa Francesco. La narrativa teologica, in ultima istanza, è l’unica “teologia” coerente con la fondamentale rahneriana, con l’heideggerismo  teologico, la completa dissoluzione della Verità/Rivelazione nella esistenza e dunque nella narrazione. Quale sia il rapporto tra tutto ciò e il Cristianesimo così come storicamente sinora conosciuto è interrogativo che non si può evadere!
Prof. Francesco Nominedeo
________________________________________
[1] Rusconi parla di sé come di un laico che «vuole solo capire criticamente quello che sta accadendo» (G.E. Rusconi, La teologia narrativa di papa Francesco, cit., p. 10).
[2] G.E. Rusconi, La teologia narrativa di papa Francesco, cit., p. 147; «sia Francesco che i suoi critici affermano di voler rimanere fedeli alla dottrina e alla tradizione, ma le loro posizioni appaiono inconciliabili» (ivi, p. 146).
[3] Il termine designa quei giornalisti/opinionisti/intellettuali cattolici sistematicamente impegnati a tessere, sempre e comunque, le lodi di Bergoglio e a celebrarne decantate virtù cadendo in forme di culto della personalità e rasentando la papolatria.
[4] Ad es. «il Sussidiario» con l’art. di Niccolò Magnani, Il progressista vs papa Francesco del 13 luglio 2017 in http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2017/7/13/IL-PROGRESSISTA-VS-PAPA-FRANCESCO-Ne-lui-ne-Benedetto-XVI-ne-Cristo-mi-convincono-perche-c-e-il-male-/773714/ oppure Sandro Magister con il suo Anche in campo laico e progressista c’è chi critica Francesco in http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/07/13/anche-in-campo-laico-e-progressista-ce-chi-critica-francesco/?refresh_ce  dove, in entrambi, si parla del libro di Rusconi e della recensione allo stesso del prof. Pierfrancesco Stagi.
[5] G.E. Rusconi, cit., p. 3.
[6] Ivi, p. 4.
[7] Ibidem.
[8] H. Blumenberg, Elaborazione del mito, il Mulino, Bologna 1991.
[9]G. E. Rusconi, cit., pp. 150 – 151.
[10] Ivi, p. 153.
[11] Ivi, p. 151.
[12] Ivi, p. 9.
[13] Ivi, p. 153.
[14] Ivi, p. 15.
[15] «compito della Chiesa consiste nello sviluppo di un vero programma pastorale-pratico, da cui poi sorgerà la riflessione teologica» (ivi, p. 34).
[16] Francesco, cit. in Rusconi, p. 31.
[17] Ivi, p. 30.
[18] Ivi, p. 48.
[19] Ivi, p. 36.
[20] Ivi, p. 37.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Ivi, p. 45.
[24]Ivi, p. 5.
[25] Ivi, p. 68
[26] «raccontare questa storia in modo diverso» (Francesco, in Rusconi, cit., p. 62).
[27] Francesco, cit. in Rusconi, cit., p. 67.
[28] Francesco, cit. in Rusconi, cit., p. 65.
[29]Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] Rusconi, cit., p. 65.
[32]Francesco, cit. in Rusconi, cit., p. 62.
[33] Rusconi, cit., p. 77.
[34] Rusconi, da laico libertario, considera anzi le “aperture” bergogliane come troppo timide e talvolta incoerenti per eccessiva accondiscendenza alle posizioni tradizionali.
[35] Francesco, cit. in Rusconi, cit., p. 74.
[36]Ivi, pp. 141-142.
[37]Rusconi amplia la sua critica a tutta la teologia contemporanea “colpevole” di aver rifiutato l’argomento tradizionale formulato da sant’Anselmo d’Aosta per ricercare nuove e non convincenti ragioni al Sacrificio della Croce. Ragioni deboli e contraddittorie: «Su questa problematica, esposta in termini rigorosamente logici, rimangono le tesi di Anselmo di Canterbury, che i teologi di oggi non sembrano prendere più sul serio» (ivi, p. 95).
[38] Ivi, p. 151.
[39] Ivi, p. 74.
[40] Cfr. H. Weinrich, Teologia narrativa, in «Concilium» ed. it., 5/1973, pp. 846-859; J. B. Metz, Breve apologia del narrare, in «Concilium», ed. it., 5/1973, pp. 860-878; C. Molinari, Natura e ragioni di una teologia narrativa, in B. Wacker, Teologia narrativa, Queriniana, Brescia 1981; R. Marle, La théologie, un art de raconter? Le project de théologie narrative, in «Etudes», 358/1, 1983, pp. 123-137; B. Salvarani, Il principio era il racconto, EMI, Bologna 2004.
[41] Guido Vignelli, studiando la strategia adottata dalle forze “progressiste” nel dibattito sinodale e post-sinodale del 2014-2015, scrive: «quest’orientamento sinodale è stato espresso non tanto mediante ragionamenti, quanto mediante alcune parole-chiave […] nella Chiesa di oggi si parla, scrive e insegna usando parole-chiave e slogan […] Tali parole-chiave non si limitano a “esprimere ciò che significano” […] ma tendono a “realizzare ciò che significano”, ossia a produrre in chi le usa un effetto […] Com’è noto, in modo simile operano le formule magiche, ed è per questo che tali parole possono essere chiamate “magiche” o “talismaniche” […] il loro potere si riduce alla capacità di seduzione psicologica […] le prime due (pastorale e misericordia) sono quelle che orientano le altre» (G. Vignelli, Una rivoluzione pastorale. Sei parole talismaniche nel dibattito sinodale sulla famiglia, Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2016, pp. 14-17).
[42] Il concetto di trasbordo ideologico risale al saggio di Plinio Correa de Oliveira del 1965 Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo. Note sulla guerra psicologica contro i cattolici, ripreso da Vignelli che, nel suo Una rivoluzione pastorale, ne applica l’analisi all’attuale situazione della Chiesa sotto il pontificato di Bergoglio.
[43] F. Parazzoli, Se la teologia si fa narrativa, in «Avvenire», 18 novembre 2008.

21 commenti:

viandante ha detto...

Complimenti al prof. Nominedeo per l 'interessantissima recensione.
Senza dilungarmi, scrivendo col cellulare, condivido la frase conclusiva, che indirettamente già risponde alla domanda finale:
"La narrativa teologica, in ultima istanza, è l’unica “teologia” coerente con la fondamentale rahneriana, con l’heideggerismo  teologico, la completa dissoluzione della Verità/Rivelazione nella esistenza e dunque nella narrazione".

irina ha detto...

In suprema sintesi, se ho ben capito, la teologia narrativa, che è quella dei miei tempi, partiva dal dogma, lo esplicitava a piacer suo attraverso esempi, immagini, opere di qualsivoglia risultato, per ritornare al dogma avendone mostrata la veridicità, la giustizia, l'efficacia perenne per la vita del singolo essere umano con se stesso, con Dio, con i suoi simili.

La narrativa teologica, parte dal suo tempo, scoprendovi alcuni agganci reali con le Scritture che parlano dell'uomo ma, anche di Dio. Così la contemporaneità, interpretata dal pensiero corrente umano, diventa punto di partenza per glosse di alcune idee basiche trovate nelle Scritture come comprese ed accettate dall'interprete. Un punto di arrivo non c'è per il semplice motivo che quando sei partito dal tuo tempo ora che lo comprendi, lo scandagli, lo definisci, pur con l'appoggio delle Scritture, esso è già passato. Ed è tempo quindi di un altro sinodo, di un altro concilio che aggiorni tutta la Chiesa.

La Chiesa nasce aggiornata e tale rimane nei secoli dei secoli.

La scelta, a piacere, di alcuni concetti base della Scrittura, tipo per esempio: misericordia, proprio perché scelta selettiva di un tutto, si chiama eresia.

Anonimo ha detto...

A proposito del calo di presenze all’Abgelus domenicale in Piazza San Pietro, come pure nelle celebrazioni domenicali e, più in generale, nell’attenzione prestata a questo papa ed ai suoi vescovi e sacerdoti (si pensi al flop di presenze alla messa celebrata da Bergoglio a Iquique, durante il suo recente soggiorno in Cile), sentiamo il parere di un esperto in materia :
“c’è una ragione profonda che contribuisce a distogliere le masse da questo falso papa e da questa falsa chiesa, che non parlano, né agiscono come i papi e la Chiesa hanno sempre parlato ed agito, nel corso della millenaria tradizione cattolica: e cioè che non vale la pena di prestare attenzione a un papa che non parla mai del destino eterno dell’anima, e a una chiesa che non parla mai della grazia e del peccato, ma sempre e solo di problemi sociali, in chiave, oltretutto, smaccatamente ideologica, e cioè progressista e di sinistra” (cfr :
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/4583-verso-il-redde-rationem)

mic ha detto...

non vale la pena di prestare attenzione a un papa che non parla mai del destino eterno dell’anima, e a una chiesa che non parla mai della grazia e del peccato, ma sempre e solo di problemi sociali, in chiave, oltretutto, smaccatamente ideologica, e cioè progressista e di sinistra

Non val la pena 'prestare attenzione' nel senso di 'non aderire'; ma non si può rimanere indifferenti e tacere di fronte alle distorsioni delle verità di fede, che vanno riaffermate, identificando contemporaneamente l'errore...
Attenzione poi a termini come falso papa... Certo non abbiamo un buon papa, ma non siamo noi a poter trarre conclusioni del genere.

Angheran70 ha detto...

Si può restare invece indifferenti di fronte a "questo falso papa e da questa falsa chiesa" che dovrebbe suggerire non si sa bene che cosa, il salto nell'esoterismo? Nel sempre vezzeggiato sedevacantismo? Nel finto dubbio dell'elezione invalida ecc. ecc.?

Se l’unica “teologia” coerente con la fondamentale rahneriana sta dove sta è perchè una certa ala conservatrice l'ha preferita alla teologia ratzingeriana, fidando sulle garanzie di intransigenza caratteriali dopo il tentativo fallito del 2005. Altrimenti gli adepti del rahnerismo sarebbero rimasti la minoranza che sono sempre stati a partire proprio da quel conclave. Che poi i risultati siano quelli sudamericani col passaggio dal cattolicesimo al protestantesimo e poi al nulla non ci piove (L'Europa è già oltre).

Catholicus ha detto...

@Mic e Angheran70: Certamente non si può rimanere indifferenti, fingere di non aver visto, letto, ascoltato la marea montante di eresie provenienti da questa gerarchia neomodernista che occupa tutte le sedi (S. Anastasio). Ma se volessimo domandarci da dove essa trae (o crede di poter trarre) la legittimità delle sue affermazioni ? in tal caso dovremmo concludere, con l'autore dell'articolo "Verso il redde rationem", che "Il Vaticano II è stato, in tutto e per tutto, un concilio modernista, dunque eretico e apostatico, però molto abilmente dissimulato, nel senso che la sua vera natura non è stata dichiarata apertamente, ma al contrario è stata abilmente velata e mascherata dietro una serie di cortine fumogene che hanno ingannato sia i partecipanti, sia il resto della Chiesa, o la gran parte di essa, allora e negli anni seguenti."

viandante ha detto...

Mah, a me personalmente parlare di teologia ratzingeriana in contrapposizione a quella rahneriana dà fastidio (anche se non per forza sbagliato). Se di teologia si parla, specie in un periodo confuso, sarebbe bene parlare semplicemente di teologia cattolica. Mi sa che con tanti paroloni, si vogliono spesso nascondere ai semplici, filosofie o teologie che non sono cattoliche.

Anonimo ha detto...

Io trovo stupefacente che l'autore riesca a scrivere un intero libro sulla 'teologia' bergogliana, che ,sinceramente, io non trovo in alcuna delle espressioni o emanazioni di questo "pontificato" io da 5 anni vedo e colgo solo l'aspetto politico populista peronista ed una inspiegabile, ma forse no, idiosincrasia per tutto ciò che sa di cattolico o cristiano, insomma, in estrema sintesi, una trasformazione (o distruzione) della dottrina della chiesa in una confusa ideologia panteista che accoglie tutto e l'incontrario di tutto, purché non sia, neppure lontanamente, evangelico e per questo intendo fedele alla parole di Cristo, il resto è solo fuffa da minculpop, con neanche troppo velate sfumature di odio per l'Italia come nazione........non legge, dice, blog come questo, ma qualcun altro li legge eccome per lui, provare per credere quanti sono stati silenziati o ne è proibito l'accesso e non aggiungo altro, non vorrei che ....... Anonymous.

Rr ha detto...

Credo che il concetto di teologia e quello di narrazione non si possano fondere in uno solo, nel senso che la teologia è, per definizione, uno studio, una ricerca, un sapere su Dio, mentre la narrazione è un’affabulazione, una sforia, un racconto. In un caso si cerca di arrivare alla Verità di un Ente, nel secondo di inventare una realtà , di esprimere pensieri e sentimemti, fatti reali o presunti su un Qualcosa che potrebbe essere, come non essere.
La teologia nasce dalla metafisica, e questa, a sua volta, dal tentativo di capire la Realtà, affrancandosi dal Mito, cioè appunto una narrazione, affascinante, sublime, epica, lirica,..., ma non Razionale ( Logos).
Platone ed Aristotele avrebbero molto da ridire al riguardo.

Anonimo ha detto...

Quei blog che criticano Bergoglio: "Il Papa eretico?"
Bergoglio ha parlato dei siti che gli danno dell'eretico. Il pontefice conosce "quei gruppi", ma non li legge. Ecco chi sono i critici italiani

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/bergoglio-eretico-ecco-resistenze-online-pontefice-1494926.html

Anonimo ha detto...

Ecco chi sono i critici italiani

Non me ne faccio sfuggire uno, quindi immagino che sarò già stato "schedato"... :-D

Più seriamente:

E ancora, c'è "Chiesa e postconcilio", un altro blog che già dalla titolazione lascia presumere una certa contrarietà al modernismo, cioè alla corrente dottrinale cui il papa viene spesso accusato di appartenere. "

Non sarebbe male se il Giornale fosse più preciso nel riportare le notizie, perché questi articoli sono uno dei rari momenti in cui i fedeli che non seguono siti o riviste specializzate hanno la possibilità di comprendere qualcosa. Diamine, il modernismo è eresia definita e condannata, come si può usare l'espressione "una certa contrarietà"?

mic ha detto...

Fabrizio,
Non ti ho ancora ringraziato per i tuoi efficaci input sull'iniziativa per l'Italia, che ho molto apprezzato.
Devo ancora vedere il sito. Ci sono molte cose da approfondire anche su alcune mie iniziative sulla rete e non. Per favore dammi un'ora per chiamarti direttamente.

gianlub ha detto...

Ma ChiesaePostconcilio non dà dell'eretico a Bergoglio, qindi come fà a rientrare nella lista che il giornale a stilato?

mic ha detto...

Questo blog contiene una marea di testi nei quali si denunciano e si rettificano i contenuti a rischio di eresia relativi a documenti e atti di Bergoglio...

Angheran70 ha detto...

@Viandante

"Mah, a me personalmente parlare di teologia ratzingeriana in contrapposizione a quella rahneriana dà fastidio (anche se non per forza sbagliato). Se di teologia si parla, specie in un periodo confuso, sarebbe bene parlare semplicemente di teologia cattolica. Mi sa che con tanti paroloni, si vogliono spesso nascondere ai semplici, filosofie o teologie che non sono cattoliche".

Scusa Viandante ma se dal 2005 si cerca di individuare l'erede di Martini che traghetti la Chiesa fuori dai "200 anni di arretratezza" e finalmente ora la si vede galoppare in quella direzione, non mi pare che ci voglia un master in teologia per rendersene conto. Il resto sono tutte elucubrazioni con le quali si offre il fianco poi ai soliti resoconti giornalistici e in un certo senso anche alle ragioni di "igiene mentale" menzionate da Bergoglio. Ma no , ma no, è meglio parlare di due foglietti attaccati , del codice Ascii , delle varie profezie e locuzioni interiori , degli errori in una frase di Ratzinger estrapolata da un libro di 50 anni fa..

mic ha detto...

Angheran,
trovo il suo intervento capzioso perché né Viandante né altri qui si limitano a parlare di due foglietti attaccati (e qualche altra implicazione: Socci), del codice Ascii (so a che si riferisce ma qui non ha trovato spazio) , delle varie profezie e locuzioni interiori (idem niente spazio da noi), degli errori in una frase di Ratzinger estrapolata da un libro di 50 anni fa. Su quest'ultimo punto, se si riferisce a Radaelli, non si è soffermato su un'unica frase; ma ha approfondito diverse parti del testo.
Quanto a noi, pur ammirando molte luci ed un stile di Ratzinger più adeguato alla funzione nonché ancora infarinato di "romanità", con nostro rammarico, insieme a molte luci, abbiamo dovuto prender atto di alcuni 'bachi' del suo pensiero confluito in scritti e insegnamenti, ampiamente illustrati argomentando non con nostre opinioni ma con citazioni magisteriali e idee filosofiche. E allora? Bergoglio non è solo una scheggia impazzita e sotto molti aspetti anomala, ma una risultante di un processo di 'rottura' mascherata da 'aggiornamento' innescata dal concilio, mentre appare con sempre maggiore chiarezza qual è l'humus in cui si è formato e ancora si muove...

Gederson Falcometa ha detto...

Da leggere:

"Rivelazione e tradizione", Karl Rahner e Josef Ratzinger
https://www.ibs.it/rivelazione-tradizione-libro-generic-contributors/e/9788837220976

Anonimo ha detto...

Dal quotidiano La Verità del 15 febbraio articolo a tutta pagina dal titolo
"Il Papa che dagli artigli gronda misericordia". Giancarlo Perna ne evidenzia garbatamente le contraddizioni e la spietatezza.

Marisa ha detto...

Apprendo dal web che il professor Gian Enrico Rusconi è politologo, professore emerito di Scienze politiche, filosofo, storico (non storico della Chiesa), germanista e LAICO dalla concezione radicale di laicità.
Con queste ben definite caratteristiche biografiche, mi pare di poter dire che le sue riflessioni sul papato di Bergoglio(che desumo dall'interessante e profonda recensione del prof. Nominedeo, perché il libro non l'ho letto) siano molto più 'cattoliche' di quelle bergogliane...


(cfr anche: http://www.lastampa.it/2017/06/08/cultura/gian-enrico-rusconi-bergoglio-quel-che-resta-della-dottrina-wEyqXgX5RMK6qY0KkR1l7M/pagina.html)


Della trentina (salvo errore) di opere di G.E. Rusconi, ne trovo due i cui titoli sembrano parlare già di per sé soli(al netto del loro contenuto, che per mia ignoranza non conosco) della situazione di questo papato:

- "Come se Dio non ci fosse"
- "Non abusare di Dio"

Anonimo ha detto...

Per me, per capire il Santo Padre è importante riflettere su due aspetti: la sua provenienza latino-americana e la sua appartenenza alla Compagnia di Gesù.

Giorgio Mario Bergoglio è il primo papa americano e è il primo papa gesuita.

Ma non è un intellettuale. Attribuire al suo pensiero una sistematicità o una coerenza interna mi parrebbe (salvo sempre miglior giudizio) forviante.

Diverso è il giudizio su qualcuno dei suoi collaboratori, come il cardinal Kasper.

Maso

Anonimo ha detto...

Secondo me, è narrativa perché, non dotato di cultura, per usare un elegante eufemismo, è al livello delle storielle da bar...senza citazioni, senza latino, senza logica, senza niente. Diversamente non saprebbe fare...discorsi da bar, altro che teologia. Comunque la si pensi, lo scarsissimo spessore della persona è ormai evidente a tutti.