Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 24 novembre 2016

Alcune riflessioni in merito alle risposte fornite dal Prof. Buttiglione sui cinque “Dubia”

Importante dissentire o porsi interrogativi con lo stile dei figli di Dio, dal cuore aperto all'amore per la Verità e alla premura nei confronti dei fedeli, sine ira et studio ma con la dovuta attenzione. Come in questa nuova condivisione di Giuseppe Fallica, che ringraziamo di cuore.

L’accademico Rocco Buttiglione nel sito Vatican Insider [qui] ha fornito una sua personale risposta ai Dubia [qui] formulati dai cardinali Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner (in merito ad Amoris Laetitia), su cui ad avviso di chi scrive è utile riflettere, perché essa costituisce un paradigma degli equivoci, non solo teologici, in cui cadono coloro che rifiutano la dignità, prima ancora che la correttezza, delle domande formulate al pontefice dai sopraccitati cardinali.

Il primo equivoco che salta all’occhio è il rifiuto, da parte dei critici, di capire che i quattro prelati sono mossi unicamente dal desiderio di favorire la salvezza delle anime e non di precluderla, perché dovrebbe essere noto a tutti che il ricevere o meno l’Eucaristia (come insegna la dottrina) non è  un evento neutro, o un gesto che può portare solo benefici spirituali. Se così  fosse avrebbero ragione i detrattori nell’accusare di ingiustificata rigidità chi ritiene inammissibile l’accesso alla comunione per i divorziati risposati more-uxorio. La dottrina invece insegna che l’Eucaristia dona benefici spirituali ricevendola  nello stato di grazia, cioè senza peccati mortali sulla coscienza, perché altrimenti (come spiega san Paolo in 1Cor 11,17-34) si commette il gravissimo peccato di profanazione e sacrilegio, il quale aggraverebbe la situazione spirituale del peccatore anziché favorirla. Consegue come sia fuorviante affermare che “l’Eucaristia è una medicina per i peccatori”, se non si precisa che ciò vale solo per i peccati veniali, e consegue ancora che la richiesta di chiarimento da parte dei quattro cardinali e più che legittima sul piano pastorale, per il bene delle anime, dal momento che Amoris Laetita ha dato vita a interpretazioni antitetiche che vedono contrapposti vescovi, cardinali e conferenze episcopali. In pratica Burke e soci hanno chiesto al Papa: “Dobbiamo ancora credere a Giovanni Paolo II quando afferma che il more-uxorio è sempre peccato mortale, senza eccezione alcuna, oppure Lei Santità ci sta insegnando che in alcuni di questi casi il peccato mortale può non sussistere?”.  Si tratta di una domanda di chiarimenti che vuole favorire una interpretazione univoca  e non certo fomentare divisioni, come affermano malevolmente alcuni critici, dal momento che questa divisione interpretativa è da ricondurre esclusivamente all’ambiguità del testo, il quale da un lato sposa il precedente magistero di Giovanni Paolo II, ma dall’altro esprime concetti che sembrano contraddirlo.

Ma torniamo all’articolo del professor Buttiglione. Egli risolve la questione suddetta rispondendo che in alcuni casi il peccato mortale non sussiste, ma al limite può esserci solo colpa veniale, in quanto sebbene ci sia presenza di materia grave, a suo dire nel singolo caso può mancare la piena avvertenza o il deliberato consenso. Si tratta di una riproposizione di quella etica della situazione già in passato respinta dal Magistero. Circa la piena avvertenza ecco cosa ha scritto il teologo don Angelo Bellon:
“Va tenuto presente quanto dice il Concilio: “Succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo perda la propria dignità” (Gaudium et spes, 16). In tal caso, commenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, “il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. È quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori” (CCC1793). Ma il medesimo Concilio avverte anche che talvolta l’ignoranza, sebbene invincibile, possa essere colpevole: “È colpevolmente erronea, perché l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato” (GS 16). Ora molti oggi non hanno consapevolezza di compiere il male perché la loro coscienza è diventata “quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato” (GS 16). Inoltre, pur sentendo richiami interiori a cercare la verità non si curano di conoscerla. Allora il giudizio della loro coscienza può essere dettato da ignoranza invincibile, ma colpevole.”
Da quanto espone il teologo consegue che anche qualora il soggetto non sapesse che il more-uxorio costituisce peccato mortale (cosa che a rigor di logica sembra impossibile per chi si definisce cattolico e si prende la briga di chiedere la comunione), sarebbe sufficiente il primo dialogo con un sacerdote per superare il suo stato di ignoranza. E non si può chiamare a giustificazione il fatto che il soggetto non comprenda il valore della norma morale oppure che interpreti essa come una ingiusta imposizione, perché il cattolico è chiamato ad accogliere ed ubbidire al decalogo SOLO in quanto essa è legge divina, e non nella misura in cui egli capisca o meno la sua utilità (altrimenti non sarebbe un cattolico “ignorante”, ma un apostata).

Per quanto riguarda invece la presunta assenza del deliberato consenso, il professor Buttiglione espone due possibili cause: la tentazione invincibile e il timore di incorrere in gravi conseguenze (qualora ci si astenesse da una determinata azione peccaminosa). Vediamo la prima. Al concetto eretico di tentazione invincibile ha risposto adeguatamente il teologo don Alfredo Maria Morselli, laddove scrive che
“Purtroppo si constata, leggendo tanti interventi di chi vuole sovvertire la dottrina della Chiesa sull'Eucarestia e sul matrimonio, un radicato pessimismo nei confronti di quei fratelli verso i quali si vorrebbe esercitare la misericordia (…) le persone con tendenza omosessuale e i divorziati risposati sarebbero soggetti ad una concupiscenza invincibile - sempre di sapore luterano – giansenista -, per cui si ha persino paura a proporre loro la Verità di Cristo;”  ma Egli non permetterà mai che siamo tentati sopra le nostre forze "Dio è fedele, e non permetterà che siate tentati oltre il vostro potere, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di sostenerla" (1 Cor. 10,13). Ecco la promessa che dissolve ogni "etica della situazione".
Riguardo il timore di incorrere in gravi conseguenze, il quale determinerebbe un consenso forzato (e dunque una minore responsabilità), il professor Buttiglione fa l’esempio di una povera donna che qualora proponesse al partner l’astinenza dagli atti sessuali si troverebbe abbandonata a un destino di indigenza, mentre nell’Amors Laetitia si accenna ad eventuali conseguenze per i figli nati dalla nuova relazione, qualora venisse meno il more-uxorio. Ma le cose stanno davvero nei termini esposti dal professore? No, perché fin quando il soggetto rimane libero di scegliere tra due opzioni (compiere una azione peccaminosa, oppure non compierla) la sua rimarrà una scelta pienamente consapevole e responsabile e questo a prescindere dalla preoccupazione e dalla gravità delle eventuali conseguenze di un scelta rispetto all’altra. Ce lo conferma la storia della Chiesa per esempio nel caso  dei Lapsi. Durante le persecuzioni  del III secolo, si pose il problema di accogliere nuovamente nella Chiesa quei cristiani che avevano accettato di sacrificare agli dei  pagani perché minacciati di spoliazione e di morte. Nel loro caso ci sarebbero state valide attenuanti “psicologiche”, se queste fossero state ammissibili, ma non fu mai così. I Lapsi furono sempre considerati in stato di peccato mortale e per rientrare nella Chiesa dovettero compiere lunghi percorsi penitenziali.     
Giuseppe Fallica

14 commenti:

Annarita ha detto...

La piena vertenza del peccato, possiamo almeno sperarla nei sacerdoti che danno l'Ostia? Dunque se un sacerdote conosce i comandamenti, può fare due cose: istruire i fedeli perchè non cadano a causa di una buona fede che poggia sull'ignoranza (si tolgono quegli ostacoli che determinano la non piena vertenza), oppure visto che lui la piena vertenza è obbligato ad averla, non da l'Ostia, prima di tutto per rispetto del Corpo di Cristo e poi per il bene delle anime.

Anonimo ha detto...

"...nel singolo caso può mancare la piena avvertenza o il deliberato consenso. Si tratta di una riproposizione di quella etica della situazione già in passato respinta dal Magistero."

Mi permetto di precisare che questa è una legge emanata dal Concilio di Trento, per poter stabilire se si è in presenza di peccato mortale o meno, valida sempre e comunque. Non è un qualcosa che può essere "respinta dal Magistero".
Semmai per ciò che riguarda la mancanza di "piena avvertenza" si tratta di verificare se ci si trova in presenza di "ignoranza, (che) sebbene invincibile, sia (da doversi considerare come) colpevole".

Per quanto riguarda la mancanza di "deliberato consenso", non so se sia possibile e sensato fare un paragone fra la realtà dei "Lapsi" e quella di donne (non poche) che nell'ambito proprio famigliare si trovino a dover fronteggiare un certo tipo di "situazione".

irina ha detto...

Due Chiese ormai sono in essere, assolutamente non credo che tutti i buoni siano da una parte e i cattivi tutti dall'altra. La discriminazione reale sta nella presenza dell'esoterismo, dello gnosticismo, della magia seppur bianca. Di questo sono ormai sicura a naso. Il tutto ognuno lo copre come sa e vuole.Non credo che mai nessuno farà in merito una pubblica dichiarazione. Accanto a questa voragine, da una parte e dall'altra ci sono milioni che nulla sospettano e che tutto prendono per buono o come cosa che non li riguarda da vicino nè vogliono saperne anche volendo. Nè credo se ne possa venire a capo. E' come se fossimo ai tempi di Giuliano l'apostata. Perchè si voltano le spalle alla Chiesa? Perchè questa trascuratezza nel trattare i Sacramenti? Perchè dall'altra parte c'è una tecnica che non la fa tanto lunga con la morale, proprio perchè è una tecnica. Perchè J.M.Bergoglio accusa sempre i tradizionalisti? Perchè, credo, sa o sospetta che un buon numero di gnostici,esoterici, smagheggianti ci siano anche da questa parte. Questo mix non è solo nei vertici, anche a scendere. Sono sicura che non perda il sonno, sa che la contaminazione è in essere a livello di moltitudini. Quindi siamo contenti che pochi cardinali,vescovi, sacerdoti e semplici fedeli abbiano chiesto chiarezza ma, sono quasi certa che senza un intervento del Signore è impossibile ristabilire la purezza della Fede anche solo al 50%. Perchè non si crede più in NSGC, forse simbolo, forse mito, chissà. Vorrei sbagliarmi con tutto il cuore.

Anonimo ha detto...

Nel frattempo , camminiamo sul filo del rasoio :
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/11/23/FINANZA-Sapelli-cosi-Trump-puo-salvarci-dalla-Germania/734365/

Anonimo ha detto...

Mammamia , scenari granguignoleschi !
Chi l'avrebbe detto che saremmo scivolati tanto in basso in così breve tempo !
http://www.marcotosatti.com/2016/11/24/utero-in-affitto-e-crimine-in-italia-ma-se-parli-contro-scatta-la-censura-lgbt-la-denuncia-di-pro-vita/

Epiphanio ha detto...

E' indignante leggere l'intervista del prof. Buttiglione, profondo conoscitore del magistero di Giovanni Paolo II. Di fatto la questione si risolvere nella pastorale, la quale considera piuttosto l'aspetto soggettivo dell'atto morale dell'uomo concreto, o dell'uomo storico. Dunque, si riafferma la dottrina morale della Chiesa. Niente è cambiato, si è solo "generato un processo" in cui si esce all'incontro della coscienza morale dell'individuo... Alla fine il Buttiglione non ha detto niente e ha lasciato le cose così come sono. I quattro cardinali chiedono chiarezza se ancora si debba ritenere l'esistenza di atti oggettivamente cattivi, perché da questo dipende il giudizio morale del confessore. Buttiglione spiega che ora si punta alla soggettività dell'individuo per cominciare un discernimento e un accompagnamento all'interno della comunità. Ma quale comunità? Si riferisce a un contesto in cui tutti i membri credano le stesse cose? Se prima la Chiesa scomunicava i divorziati era perché si viveva in un contesto cristiano, ora non più, quindi i conviventi more uxorio possono battezzare i loro bambini, ecc., ma non possono ricevere l'Eucaristia. Francesco "ora" ha fatto ancora un passo in avanti, ha aperto la possibilità della comunione eucaristica a questi conviventi dietro un certo discernimento e un certo accompagnamento dentro la comunità. Ma quale comunità? Se ammettiamo che non viviamo più in un contesto cristiano, l'accompagnamento e l'accoglienza non hanno senso, in quanto non tutti credo le stesse cose. Forse si parla della comunità parrocchiale, ma fuori della parrocchia perderebbe senso. E così si andrebbe avanti con all'infinito tentando di centrare la morale cattolica nella soggettività dell'uomo concreto. Non per niente Karol Wojtyla nel suo libro Persona e atto cercò di andare dagli atti della persona all'essenza della persona, solo che quando si è trovato davanti al nocciolo (costitutivo ontologico, dicono i filosofi) della persona ha dovuto ripetere i concetti della filosofia aristotelico-tomista. Come diceva P. Julio Meinvielle, se non ricordo male, il problema del modernismo è un problema di essenze, di non poter e de non voler definire le cose.

Anonimo ha detto...

Per l'anonimo del 24 novembre 2014 ore 20,24: preciso al lettore che per etica della situazione il mio riferimento non è indirizzato ai concetti di piena avvertenza e deliberato consenso, i quali fanno parte a pieno titolo della Catechismo della Chiesa Cattolica, ma mi riferisco alle forzature che a mio parere il professor Buttiglione e altri, oggi come in passato (l'etica della situazione era già presente tra i gesuiti nel XVII secolo) fanno di questi concetti per giustificare determinate situazioni di peccato.
Giuseppe Fallica

Anonimo ha detto...

Personalmente ritengo possibile, anzi forse non proprio infrequente, che chi vive in una situazione oggettiva di peccato mortale (per esempio, i conviventi “more uxorio”) non sia, sul piano soggettivo, gravemente colpevole, per mancanza di piena deliberazione. Viviamo in un clima culturale d’ignoranza e di corruzione morale estrema, che ci pervade e ci ottunde tutti. L’imputabilità morale, caso per caso, dei nostri atti la conosce solo il Signore. È vero che presumiamo probabilmente con troppa facilità la mancanza della piena deliberazione; ma non meno sbagliato sarebbe crederla sempre, o quasi, presente. Per esempio, non andare alla messa la domenica, anche una volta sola, è indiscutibilmente peccato mortale. Ma, credete voi che tutti quelli che non vanno alla messa siano in istato di dannazione, e che per esempio il 70-80% degl’italiani (non so le percentuali precise), o il 90% dei francesi, vadano all’inferno? Chi ha un po’ di fantasia si rende conto facilmente che molti di costoro saranno scusati, davanti a Dio, in tutto o almeno in parte, da circostanze complesse. Certo, il caso d’uno STATO permanente di peccato, nel quale si persevera ostinatamente, è diverso; ma anche qui, l’assenza di colpa grave sul piano soggettivo non può esser esclusa in termini assoluti per ogni singolo caso.

Per me quindi l’argomento principale contro la comunione ai divorziati risposati o a altri pubblici peccatori è un altro: anche dato che in un caso particolare si possa presumere che manchi la piena deliberazione, la tradizione impone, saggiamente, di rifiutare la comunione proprio perché si mette non tanto sul piano soggettivo quanto su quello oggettivo. Il rifiuto della comunione si giustifica infatti, se non isbaglio, già solo colla preoccupazione

1) d’aiutare il peccatore a rendersi conto del suo errore, che oggettivamente è grave, e dunque a uscirne: se bevo un bicchiere di veleno, muoio, anche se per avventura fossi convinto di bere una spremuta d’arancia: non farmi far la comunione è un modo di dirmi: “Bada che codesto è veleno”, e dunque è un atto doveroso di carità fraterna;

2) d’evitare lo scandalo: vedendo che un concubino notorio fa più o meno regolarmente la comunione, tanta gente ne concluderebbe sùbito quel che ha già tanta voglia di credere, cioè che anche per la Chiesa, come per la morale corrente, il concubinato non è, o non è più, un peccato grave.

Maso

Anonimo ha detto...

Ottima riflessione Sig. Maso, la ringrazio per il suo contributo. Sono d'accordo con lei che molti di coloro che vivono in uno stato permanente di peccato potranno comunque salvarsi perché Dio dispensa la sua Grazia non solo mediante I sacramenti ma anche per vie straordinarie note a Lui solo. Oltre al fatto che ci si può salvare pentendosi sinceramente in punto di morte con un dolore perfetto. Come le giustamente dice, è possibile in teoria che il soggetto possa trovarsi in un determinato momento in stato di grazia nonostante le azioni esterne facciano pensare il contrario, ma si tratta di una situazione in FORO INTERNO che può conoscere solo Dio, il confessore, che non può leggere nelle coscienze è tenuto a valutare esclusivamente gli elementi per lui conoscibili, cioè quelli oggettivi in FORO ESTERNO. Altrimenti il confessore esprimerebbe un giudizio temerario che come sappiamo costituisce materia grave di peccato. Infatti il giudizio temerario non lo si commette solo quando attribuiamo alla coscienza di un soggetto una malignità sulla base di azioni che in se stesse non costituiscono peccato (per esempio potrebbero essersi macchiati di giudizio temerario coloro che accusano i 4 cardinali che hanno scritto al Papa di voler spaccare la Chiesa), ma si può commettere un giudizio temerario anche al contrario, cioè quando essendo chiamati a giudicare per il proprio ministero, si pretenda per opinioni personali opinabili di giudicare innocente una coscienza (foro interno) nonostante gli elementi oggettivi conoscibile facciano ritenere il contrario (foro esterno).
Giuseppe Fallica

Anonimo ha detto...

Ma veramente a me risulta che nel determianre la penitenza imposta ai lapsi per rientrare nella chiesa, si tenesse invece conto delle attenuanti: infatti, i lapsi dopo un'adeguata penitenza pubblica (exomologesis), avrebbero potuto essere riammessi in comunione, ma nel fissare la durata della penitenza, i vescovi dovevano prendere in considerazione le circostanze dell'apostasia; per esempio, se il penitente aveva offerto il sacrificio immediatamente o solo dopo tortura, se aveva portato la sua famiglia nell'apostasia o l'aveva risparmiata dopo avere ottenuto un certificato. Se ben ricordo, così riporta Eusebio di Cesarea (anche se come storico è spessp inattendibile).

mic ha detto...

Il fatto che le attenuanti fossero considerate per la determinazione della penitenza, non le estende anche al peccato...

mic ha detto...

Inoltre il peccato dei 'lapsi' era compiuto attraverso un'azione puntuale e rimesso dopo l'espressione del pentimento. Nel caso dei divorziati-risposati c'è uno status di vita in situazione peccaminosa per la quale non viene posta la condizione di porvi rimedio.

Anonimo ha detto...

A mic

Non discuto sul 2° post (7:58) perchè in effetti la condizione del divorziato-risposato è analoga a quella dell'autore del "reato continuato".

Sul 1° invece c'è da discutere, perchè la determinazione della pena è essenziale per il colpevole, in quanto è ovvio che, nonostante permanga la qualificazione di "peccato grave", per il peccatore è cosa ben diversa cavarsela con una piccola penitenza o con una gravosa. Tanto è vero che ai novaziani non stava bene nemmeno tale soluzione di compromesso (fu questa infatti la causa "dividendi"). Ad un colpevole (tanto per continuare la similitudine col diritto penale) interessa la misura della pena più che la configurazione del reato in sè.

Anonimo ha detto...

Ringrazio per le precisazioni, ma ciò che ho inteso evidenziare è che la GRAVITA’ del peccato dei Lapsi non fu mai messa in discussione dal clero, a prescindere dalle forti pressioni che essi ricevettero, fino al rischio per la vita. Come lei stesso evidenzia essi furono (sempre e in ogni caso) privati della comunione con la Chiesa cattolica e questo è un segno lampante che il peccato era considerato come “mortale”. Oggi invece si vorrebbe ridimensionare il peccato del more-uxorio, da “mortale” a “veniale” chiamando a giustificazione attenuanti psicologiche che in confronto a quelle ricevute dai Lapsi appaiono (con tutto il rispetto) decisamente banali.
Giuseppe Fallica