Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 9 dicembre 2024

Il segreto di Fulton Sheen

Il segreto di Fulton Sheen
Disse in tarda età, rispondendo ad una domanda:
"Il segreto del mio potere è che in 55 anni non mi sono mai perso di passare un'ora al giorno di Adorazione alla Presenza di Gesù Nostro Signore nel Santissimo Sacramento. Ecco da dove viene il potere. Ecco da dove nascono i sermoni. È da lì che viene concepito ogni buon pensiero."
L'impegno di Sheen nel mantenere un'ora Santa di Adorazione Eucaristica iniziò il giorno della sua ordinazione il 20 settembre 1919 e durò fino al giorno della sua morte, il 9 dicembre 1979. Morì durante l'Adorazione Eucaristica, davanti a Gesù nel Santissimo Sacramento. Era chiaramente devoto alla pratica, non la considerava come una devozione ma come "Una Partecipazione all'Opera della Redenzione". Per molti decenni ha esortato i fratelli sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli a fare un'ora santa quotidiana.

45 anni fa, il 20 settembre del 1979, celebra la Santa Messa per il suo 60.mo di sacerdozio e nell’omelia pronuncia queste parole:
“Non è che io non ami la vita, ma ora voglio vedere il Signore. Ho passato tante ore davanti a Lui nel Santissimo Sacramento, ho parlato a Lui nella preghiera e di Lui con chiunque mi volesse ascoltare. Ora voglio vederLo faccia a faccia.”
Due mesi dopo, il 9 dicembre 1979, Mons. Fulton Sheen morì mentre era in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento nella sua cappella privata a New York.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

MARIA IMMACOLATA È IL PARADISO DELL'INCARNAZIONE

Prima di fare l'uomo, Dio formò l'Eden, un giardino di delizie bello come solo Egli sa farlo. In quel Paradiso della Creazione si celebrarono le prime nozze dell'uomo e della donna. Ma l'uomo non volle altre benedizioni che quelle corrispondenti alla sua più bassa natura. Non soltanto perdette la sua Felicità, ma ferì persino la sua stessa mente e volontà. Allora Dio progettò la ricreazione o redenzione dell'uomo.

Ma prima, volle fare un altro Giardino. Questo nuovo Giardino non sarebbe stato di terra, ma di carne; sarebbe stato un Giardino sul cui ingresso non sarebbe mai stata scritta la parola "peccato", un Giardino in cui non sarebbero cresciute le erbacce della ribellione per soffocare i fiori della Grazia; un Giardino dal quale sarebbero sgorgati i quattro fiumi della Redenzione per i quattro angoli della terra, un Giardino così Puro che il Padre Celeste non si sarebbe vergognato di mandarvi il Figlio Suo, e questo "Paradiso recinto di carne che doveva essere coltivato da Cristo, il Nuovo Adamo" era Maria, la Nostra Madre Benedetta.

Come l'Eden fu il Paradiso della Creazione così Maria è il Paradiso dell'Incarnazione. In Lei come in un Giardino vennero celebrate le prime nozze tra Dio e l'uomo.

Quanto più ci si avvicina al fuoco, tanto più se ne sente il calore: quanto più ci si avvicina a Dio, tanto maggiore è la purezza. Ma siccome nessuno fu più vicino a Dio della Donna i cui portali umani Egli valicò per venire su questa terra, nessuno poteva essere più puro di Maria. Questa sua Speciale Purezza la chiamiamo "Immacolata Concezione".

(Fulton J. Sheen, da "Maria Primo Amore del Mondo" edizioni Fede e Cultura)

Il rispetto per la Presenza ha detto...

Incredibile antica testimonianza della reale presenza sostanziale di Cristo nell'Eucaristia.

“Voi che siete abituati a partecipare ai misteri divini [la messa] sappiate, quando ricevete il corpo del Signore, come lo proteggete con ogni prudenza e venerazione affinché non ne cada alcuna piccola parte, affinché non vada perduto nulla del dono consacrato.

Perché voi credete, e giustamente, di essere responsabile se qualcosa cade da lì per negligenza.

Ma se state così attenti a preservare il suo corpo, e giustamente, come pensate che ci sia meno colpa ad aver trascurato la parola di Dio che aver trascurato il suo corpo? ”

Origene, Omelia 13 sull'Esodo ( §3) (244)

Anonimo ha detto...

DUBITARE DEL PERDONO DI DIO È FARE IL PRIMO PASSO VERSO L'INFERNO!

Il peccato che non emerge in modo dovuto nella confessione, e che quindi non può essere debitamente lavato dalla contrizione e dall’assoluzione, emerge spesso anormalmente in complessi, come la mania di persecuzione, l’ipercritica, il bisogno di evadere attraverso i piaceri. Una siffatta condizione può facilmente condurre alla disperazione. Allora il diavolo, giubilante, piomba sulla sua preda.

L’Apocalisse (12, 10) chiama il demonio «l’accusatore dei fratelli». Prima che commettiamo il peccato, Satana ci assicura che è una cosa da niente; dopo, ci persuade che è una cosa imperdonabile. Prima del peccato, si presenta come l’amico che spinge l’uomo alla rivolta; dopo, opprime l’anima con la falsa convinzione che la liberazione è impossibile. Dubitare del perdono è fare il primo passo verso l’inferno.

Le Scritture ci narrano che Esaù non trovò un luogo di pentimento, pur avendolo cercato piangendo. Le lacrime di rimorso, anziché di contrizione, sono inutili come lo furono quelle versate da Saul sulla perdita della regalità, da Giuda sulla perdita dell’apostolato, da Esaù sulla perdita del diritto di primogenitura. Ma lo Spirito Santo vede la colpa in relazione al Calvario per spingerci a sperare e perdonarci, perché su quel monte noi udiamo il grido di Cristo: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23, 34).

(Fulton J. Sheen, da "Il Sacerdote non si appartiene")

Anonimo ha detto...

Alla Consacrazione, Cristo rinnova il suo sacrificio in maniera incruenta.

L’atto d’amore che dettò quel sacrificio è eterno, perché Egli è l’Agnello «sgozzato fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13, 8). Ogni volta che il Sacerdote pronuncia le parole della Consacrazione, applica i frutti del Calvario a quel luogo particolare in cui viene celebrata la Messa. Il Calvario, situato a un dato punto nello spazio e a un dato momento nel tempo, viene così universalizzato nello spazio e nel tempo.

Il Sacerdote prende la Croce del Calvario, con il Cristo ancora inchiodato su di essa, e la innalza a New York, a Parigi, a Tokyo, al Cairo, oppure nella più povera missione del mondo. Sull’altare non siamo soli. Siamo in rapporto orizzontale con l’Africa, con l’Asia, con la nostra parrocchia, con la nostra città; in una parola, con tutti. Aggrappati alla pianeta di ogni Sacerdote vi sono, per esempio, i 600 milioni di cinesi che ancora non conoscono Cristo.

Le nostre mani, mentre prendono l’Ostia, sono quelle corrose dal duro lavoro nelle miniere di sale della Siberia; mentre stiamo ritti davanti all’altare, i nostri piedi sono i piedi sanguinanti dei profughi che si trascinano verso Occidente, verso quelle barriere di filo spinato oltre le quali vi è la libertà. La fiammella delle candele è la vampata degli altiforni, attizzati da uomini sparuti, alla cui fatica è negata la giustizia economica. Gli occhi che contemplano l’Ostia sono bagnati dal pianto della vedova, del sofferente, dell’orfano. La stola è il pettorale del giudizio, il fardello della preoccupazione costante delle nostre chiese, delle missioni del mondo intero.

È tutta l’umanità che il Sacerdote porta all’altare, dove egli congiunge il cielo e la terra. E quando, al momento della Consacrazione, solleviamo le nostre mani al cielo, esse si intrecciano con le mani di Cristo, «sempre vivo per intercedere per noi» (Eb 7, 25). All’Offertorio, il Sacerdote è l’agnello portato alla morte. Alla Consacrazione è l’agnello sgozzato come vittima del sacrificio. Alla Comunione egli scopre di non essere morto affatto, ma di essere invece ben vivo dell’abbondanza di vita che gli viene dall’unione col Cristo.

(Fulton J. Sheen, da "Il Sacerdote non si appartiene" edizioni Fede e Cultura)