Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 20 luglio 2013

Confutazione di alcuni luoghi comuni sul Rito Romano usus antiquior

Il lettore Minstrel mi citava, come fonte autorevole e convincente del nuovo corso liturgico, Mattias Augé, che anche dalle pagine del suo blog porta avanti il suo discorso centrato sulla Riforma post-conciliare. Come promesso, approfitto per proporre qui, recentemente rivista, una mia vecchia riflessione su alcune sue affermazioni, per sottolinearne e confutarne alcuni punti, individuandone l'origine nel pregiudizio coniugato con la diversa visuale ecclesiologica, tipica del post-concilio o forse dalla stessa scaturente.

E aver con ciò l'occasione di ribadire l'unicità e la sacralità dell'Antico Rito, "mai abrogato".


Confutazione di alcuni luoghi comuni
sul Rito Romano usus antiquior

Mi sono soffermata su un articolo di Matias Augé che propone una riflessione: “Quale partecipazione alla Liturgia?”, partendo dalla definizione della Sacrosanctum concilium, 26 e formulando una serie di considerazioni sugli ostacoli alla cosiddetta “actuosa participatio”, trattata con maggiori dettagli nel documento di cui al link.
Ciò che oggi ostacola la realizzazione di una siffatta partecipazione alla liturgia è, tra l’altro, il riemergere insistente dell’individualismo(1), da una parte, e/o di un nuovo clericalismo dall’altra parte. Dal versante della comunità cristiana l’individualismo assume i lineamenti di un’assemblea ridotta a massa amorfa, che riduce a stereotipi i comportamenti simbolici e linguistici, incapace di comprendere la dinamica della pluralità dei ministeri e dei compiti nel contesto celebrativo. L’individualismo può portare a considerare la liturgia della Chiesa come la cornice sacrale all’interno della quale esprimere le proprie devozioni. L’individualismo, poi, non è altro che il rovescio della medaglia rappresentato dal clericalismo. Si potrebbe ben dire che una lettura condotta in modo esclusivo nella direzione della sacralità legata alle persone, ai luoghi e agli oggetti, fino a ritenere essi stessi più in funzione del sacro e meno in funzione della santificazione del popolo di Dio, rende, da un lato, i ministri della Chiesa simili allo “stregone del villaggio” e, dall’altro, riduce l’assemblea dei fedeli a spettatrice anonima e passiva.”
Questa analisi mostra dati che potrebbero essere presi in considerazione, ma solo come fenomeni degenerativi e non possono essere genericamente considerati e quindi attribuiti a tutta la realtà considerata:

1. si abbina la perdita di qualità della “partecipazione” a due estremi: “individualismo” e “assemblea ridotta a massa amorfa”.
Innanzitutto cominciamo a considerare l'attuale prevalenza, per contro, del collettivismo e dell’identità di gruppo. Lo dimostra l'enfasi sempre centrata sull'Assemblea, che certamente non è un 'collettivo' usuale, ma che non va dimenticato esser composta da persone, e invece risulta preminente soprattutto nei nuovi movimenti ecclesiali (ciò accade in particolare nelle comunità neocatecumenali), mentre la persona risulta ridotta ad un ingranaggio di qualcosa di più grande dal quale deriverebbe la sua identità, ma che non completa in realtà un sano “processo di individuazione”, che implica anche maturazione psicologica e spirituale.
Se partiamo dall’Evangelico “ Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori ad una ad una… e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10, 3-4), riconosciamo che un vero cristiano realizza in Cristo e nella vita sacramentale e di Fede – e quindi vive nella quotidianità – la sua creaturalità Redenta, perché preziosa e irripetibile agli occhi del Signore.
Proprio nella sua creaturalità Redenta e orientata al Signore la persona è destinataria della dignità che fonda qualunque riconoscimento dei diritti umani - che riguardano l’individuo-persona e non l’individuo-parte-della-comunità qualunque essa sia - e realizza una ‘individualità’ sana, portatrice di umanità in pienezza e non di ‘individualismo’, che è la degenerazione operata dal centrarsi egoistico dell’individuo su se stesso, frutto del materialismo, dell’edonismo e di tutti gli –ismi di questo nostro tempo confuso e disorientato, compreso il relativismo che è entrato purtroppo a pieno titolo nel linguaggio e quindi anche nella realtà ecclesiale.
Tuttavia, poiché l’uomo è un essere-in-relazione, è ovvio che esiste anche la dimensione comunitaria della sua spiritualità e della sua vita di fede, che nella nostra Fede si dispiega nell’Ecclesìa: Corpo Mistico di Cristo (altro che Assemblea anonima!) e porta i suoi frutti in tutti gli altri ambiti relazionali a livello familiare, sociale, ecc. 

2. si riconduce l’attenzione e lo sguardo alla ‘sacralità’ di persone, luoghi, oggetti ad un ‘assoluto’ che distoglierebbe l’attenzione dalla “santificazione del popolo di Dio”.
È un argomento pretestuoso che non ha alcun fondamento; tant’è che si tratta di una semplice affermazione apodittica che non porta alcun argomento dimostrativo; ergo, non è altro che uno slogan ideologico, così com'è di conio tipicamente conciliare la definizione di sapore veterotestamentario del ‘Popolo di Dio’, più generica, meno identitaria e meno centrata rispetto al ‘Corpo Mistico di Cristo'- Sposo, che è anche la Sua Chiesa-Sposa.

La desacralizzazione, la banalizzazione, l'orizzontalità di gesti parole e atteggiamenti riscontrabile nelle celebrazioni odierne non è meno nemica della santificazione di quanto non lo si attribuisca, assolutizzando, al rispetto e alla cura di 'luoghi', oggetti cultuali o alla venerazione di figure di santi (peraltro venerazione, appunto, ben distinta dalla adorazione dovuta a Dio), ad esempio, dato che si parla anche della sacralità di persone...

3. si riafferma lo ‘stereotipo’ dell’antica liturgia ridotta a “cornice sacrale per esprimere le proprie devozioni”. È il cavallo di battaglia dei novatori quando tirano in ballo, oltre alle vecchiette, la “gente che pregava con propri libri di preghiera”. A prescindere dal fatto che si tratta di dati impropri ed anche improbabili, non sarebbe neppure realistico pensare che l’Assemblea fosse composta unicamente da quelle vecchiette, da gente che pregava per conto suo – persone che comunque si facevano presenti al rito sapendo che vi incontravano il Signore e che cosa vi accade – o soltanto da fedeli analfabeti in sacris, se generazioni di Santi si sono formate vivendo la Liturgia di sempre. Il problema è di tutti i credenti e di tutte le generazioni: è missione altissima del Sacerdote guidare e formare i fedeli alla piena consapevolezza ed attiva partecipazione interiore ed esteriore come fedele dispensatore dei misteri divini.

4. si riduce la partecipazione ad un ‘fare’. L’actuosa participatio promossa e raccomandata anche dal concilio - e prima ancora - non è determinata dal protagonismo dell’Assemblea, ma dal vivere e seguire lo svolgersi del Rito con consapevolezza e con le giuste disposizioni d’animo (apertura di cuore, atteggiamento di accoglienza e gratitudine, stato di grazia conservato o riacquistato…).

Il valore pedagogico e catechetico dell’Eucaristia non è solo in quello che si ascolta e a cui si partecipa, ma anche e soprattutto in quello che accade ad Opera del Signore e che si accoglie nella Fede… Stare, esserci, accogliere: la povertà che si lascia raggiungere ed esprime la sua gratitudine. Necessità dell'essere visitata. Anche lasciarsi attraversare dall'irruzione del Soprannaturale è partecipazione consapevole, attiva, fruttuosa, actuosa participatio (da me sviluppata qui).

Innanzitutto, la Liturgia è primaria funzione della Chiesa nell'esercizio dello ius divinum del culto da rendere a Dio. La Liturgia infatti non è il luogo della catechesi, cui sono destinati altri momenti specifici, è ‘luogo’ che parla e opera già da sé: celebrando il sacro rito le persone sono portate ad un atto di preghiera e non ad un atto umano; invece nel Novus Ordo si crea un cerchio orizzontale di persone che si parlano addosso e si è persa la verticalità, la soprannaturalità, ignorando che nella liturgia c’è un linguaggio che introduce al mistero e ci sono anche i “sacri silenzi”… come pure i “bisbigli”. Il sacerdote sussurra per dire l’indicibile.

Parlare di consapevolezza, vuol dire presenza sia della dimensione intellettiva che di quella spirituale, entrambe caratterizzanti l'essere umano discretamente evoluto. Ma davvero ‘fare’ è soltanto quello che si compie materialmente? In realtà è più presente la dimensione del Mistero, quella del silenzio,  dell’Adorazione… 

Non si vorrà sostenere che nel vivere consapevolmente e profondamente queste dimensioni, rapportate al momento e all’atto liturgico che si compie, c’è solo ‘passività’! Forse nel mio intimo accadono molte più cose - e non sto parlando in termini spiritualisti o intimistici, ma dico quello che davvero succede - che poi si traducono in vita… perché ci sono momenti così intensamente vissuti alla Presenza del  Signore che quello che sei: difficoltà, problemi, resistenze, doni e altro… di una persona-in-relazione, ti si svelano e non possono rimanere gli stessi se ti esponi all’azione dello Spirito, che coinvolge te e nello stesso tempo l’Assemblea di cui fai parte, che oltretutto non ha confini, perché si estende alla Chiesa di ieri di oggi e di domani, terrestre e celeste, contemporaneamente…

Se solo si rendessero i fedeli consapevoli di questa realtà, non esisterebbero più Assemblee anonime o tentazioni devozionistiche.

Consideriamo poi anche queste affermazioni successive:
“D’altra parte, il sospetto freudiano, secondo cui le religioni non sarebbero altro che nevrosi collettive coercitive, dovrebbe essere preso in considerazione. La religiosità decaduta ha il carattere di un’azione forzata che si estrinseca nel compimento “religioso” come un “rito”. Questo, però, nell’economia psichica di un essere umano, ha un senso ambiguo, simile a quello della routine nel fenomeno del quotidiano. La ritualizzazione, se si pone in modo assoluto, è un segno di religiosità decaduta.”
Può parlare così solo qualcuno che della nostra Santa e Divina Liturgia di sempre 'vede' solo il "guscio esteriore" e forse neppure quello.

Non dimentichiamoci che Freud e la psicoanalisi sono dei validi sussidi come scienze umane; ma proprio nell'essere scienze umane hanno il loro limite intrinseco; mentre la Fede, pur incarnata nell'umano, ha le Sorgenti nel Soprannaturale. Non si tratta di contrapporre Fede a Ragione: in questo caso a scienze come psicologia e psicoanalisi; ma si afferma la necessità di un giusto equilibrio per non cadere né nel fideismo disincarnato né nello scientismo sterile, ricordando tuttavia come per S. Tommaso, purtroppo defenestrato dai seminari cattolici, la filosofia, salvo quando è ancilla theologiae, “ancella della teologia”, rimane la regina delle scienze. Tutte le altre scienze le sono subordinate.

E la nostra Fede – che è in Una Persona, la Persona del Risorto – ci dona una loghikè latrèia, un culto logico, perfettamente comprensibile e spiegabile anche con la Ragione... anche se la Fede ci porta oltre... ma Fede e Ragione non vanno mai separate, altro che "nevrosi collettive coercitive"!

Resta inspiegabile come qualcosa che provocherebbe “nevrosi collettive coercitive“, abbia invece l'effetto di trasformare, eliminandole, vere e proprie 'coazioni a ripetere' come i peccati più radicati. Se ad orecchie moderniste può dar fastidio la parola 'peccato' - che invece va ritrovata soprattutto nella sua connotazione di offesa a Dio - chiamiamoli vistose 'distorsioni della personalità', che inducono a commettere errori che dispiegano conseguenze sia sulla persona che sulla realtà che la circonda e che un credente sa quanto lo allontanino dal Signore da se stesso e dagli altri, se non adeguatamente 'vinte' con il Suo aiuto.

Ebbene, se può accadere concretamente tutto questo e si tratta di una realtà intrinseca al rito, com’è possibile cavarsela col ridurre tutto a “nevrosi” di qualunque genere? Ricordiamo che in più occasioni Benedetto XVI, forse la più illustre vittima di tale tipo di nevrosi, ha chiamato “trasformazione“ uno degli effetti del Rito, consolidato dalla preghiera e dalla vita di fede personale e comunitaria. 

Si tratta, lo ribadisco con vigore, della Paolina 'Configurazione' a Cristo, che è ciò che caratterizza ontologicamente l'essere e l'“esserci“ su questo mondo di ogni cristiano e che il cattolicesimo custodisce come proprio fondamento identitario.

Come potrebbe questa realtà – che rientra nelle serie dei 'fenomeni' misurabili, almeno per quanto può essere nel tempo verificato in ragione del mutato comportamento delle persone che ne portano l'effetto – venire attribuita a « ministri della Chiesa simili allo “stregone del villaggio”, che riduce l’assemblea dei fedeli a spettatrice anonima e passiva », dal momento che non è al Sacerdote che si fa riferimento, ma al Signore e l’Assemblea non è solo una realtà collettiva ma è composta da individui: 'pietre vive', li chiama Pietro? E non dimentichiamoci che essi, sia personalmente che comunitariamente unum con il sacerdote, partecipano e vivono un culto autentico che implica un rapporto intimo e profondo col vero Celebrante, Cristo Gesù Signore, che era è e viene sempre ad ogni celebrazione. È alla Sua Persona - che appartiene all'Ordine Soprannaturale perché è il Verbo Incarnato-Dio, proprio in virtù dell'Incarnazione strettamente e indissolubilmente intrecciata alla nostra umanità - che essi aderiscono. Ed è l'effetto del Suo Sacrificio, purtroppo da molti ridotto ad un 'mito', al pari della Sua Risurrezione, a riversare su sacerdote e fedeli presenti (nonché sulla Chiesa intera: militante, trionfante e purgante, di ogni luogo e di ogni tempo, presente e non) i beni escatologici che il Signore ci ha promesso nel Suo 'rimanere con noi' fino alla fine dei tempi. Questa è la nostra fede, che diventa vita quotidiana e rende veramente umane e vitali le esperienze le relazioni e le situazioni che la Provvidenza mette sulla nostra strada. 

Viceversa è ormai normale rimanere luteranamente inesorabilmente peccatori, tanto il Signore salva tutti a prescindere dalla risposta alla Sua Grazia Santificante, che non si sa neppure più cos’è…
Nel contempo mi chiedo come possa ritenersi ‘passiva’ un’Assemblea che sia individualmente che comunitariamente si fa presente a ciò che accade nel rito con cuore ed intelletto aperti, desti, consapevoli e, in Cristo, cioè nel Figlio Diletto, accoglie, esprime gratitudine commozione gioia, adora, loda e benedice, supplica, intercede, offre la sua vita con tutta la ricchezza dei suoi orizzonti interiori ed esteriori, con le sue valli (imperfezioni) da colmare e colline (presunzione, superbia) da abbattere, con i suoi limiti accettati e eventualmente superati se e quando è volontà di Dio, con i suoi talenti al servizio di tutti, con le sue gioie dolori attese speranze che non riguardano solo la singola persona, ma il ricco fecondo intreccio di relazioni a tutti i livelli, che vedo a cerchi concentrici allargarsi oltre i confini dell'evento puntuale, fino all’infinito e sconosciuto orizzonte dello spazio e del tempo e oltre, nella ‘vita eterna’ che già e non ancora comincia qui! E tutto questo acquista senso e valore solo ed esclusivamente nel Sacrificio di Cristo, ché questo è la Messa.

Chi non sa di cosa sta parlando sarebbe più conveniente che tacesse, non tanto per il vuoto insito nella evidente superficiale arrogante e mistificatoria ignoranza dei fondamenti della Fede cattolica, quanto perché sta calpestando in maniera brutale e grossolana "cose Sacre".

Perché nella Tradizione, che noi amiamo e custodiamo, non si dà affatto il caso, posto come più che un’ipotesi, secondo l’affermazione che «la ritualizzazione, se si pone in modo assoluto, è un segno di religiosità decaduta». Infatti niente, neppure il Rito, è un ‘assoluto’: esso è un dono prezioso – il cui nucleo risiede nell’Ultima Cena e la cui attuale ‘forma’ che racchiude una ‘sostanza’ impareggiabile, è frutto della Rivelazione Apostolica trasmessa nei secoli e arricchita dalle esperienze di fede di  generazioni di credenti – e, proprio in quanto tale va vissuto, custodito, difeso e trasmesso; semmai vedrei «religiosità decaduta» nell’ostinata pertinace orizzontalità che pone l’uomo e l’Assemblea al centro di tutto e diviene pensiero ritualità e azione antropocentrica anziché Cristocentrica. Ed è per questo che possiamo constatare che essa è ben lontana dal santificare qualcuno. 

Infine, altro segno di ideologia malsana è vedere l'individualismo come rovescio della medaglia del ‘clericalismo’. Circa l'individualismo ho espresso ampie considerazioni nel precedente punto 1).

Quanto all'asserito clericalismo, si sta invece assistendo purtroppo alla svalutazione del sacerdozio ordinato - le cui coordinate anche misteriche sono così ben indicate e ripetute da Benedetto XVI in seguito alla non casuale indizione dell’Anno Sacerdotale - che nulla toglie al sacerdozio battesimale dei fedeli, che differisce da quello ordinato non solo di grado ma anche di essenza e deve essere vissuto per quello che è, dal Popolo di Dio che è innanzitutto Corpo di Cristo, cerchiamo di non dimenticarlo, altrimenti ricadiamo nelle categorie e suggestioni veterotestamentarie che il Signore - e noi con lui - ha portato e porta a compimento. Del resto, basta richiamarsi al Concilio Vaticano II. 
«I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del Corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico... Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità» (Sacrosanctum Concilium, 59).
Giova ripetere che è missione altissima del Sacerdote guidare e formare i fedeli alla piena   consapevolezza ed attiva partecipazione interiore ed esteriore come fedele dispensatore dei misteri divini, esercitando in pienezza il ‘Triplice Munus’: Docendi, Regendi e Sanctificandi.

Sarà bene ricordare cosa pensava Giovanni Paolo II del Sacerdozio. La citazione è tratta dal Discorso ai sacerdoti delle Comunità neocatecumenali, Lunedì 9 dicembre 1985:
«La prima esigenza che vi s’impone è di sapere mantener fede, all’interno delle Comunità, alla vostra identità sacerdotale.
In virtù della sacra Ordinazione voi siete stati segnati con uno speciale carattere che vi configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in suo nome (cf. Presbyterorum ordinis, 2). Il ministro sacro quindi dovrà essere accolto non solo come fratello che condivide il cammino della Comunità stessa, ma soprattutto come colui che, agendo “in persona Christi”, porta in sé la responsabilità insostituibile di Maestro, Santificatore e Guida delle anime, responsabilità a cui non può in nessun modo rinunciare. I laici devono poter cogliere queste realtà dal comportamento responsabile che voi mantenete. Sarebbe un’illusione credere di servire il Vangelo, diluendo il vostro carisma in un falso senso di umiltà o in una malintesa manifestazione di fraternità. Ripeterò quanto già ebbi occasione di dire agli assistenti ecclesiastici delle associazioni internazionali cattoliche: “Non lasciatevi ingannare! La Chiesa vi vuole sacerdoti, e i laici che incontrate vi vogliono sacerdoti e niente altro che sacerdoti. La confusione dei carismi impoverisce la Chiesa, non la arricchisce”».
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1. Ciò è in sintonia, in particolare, con gli sviluppi della teologia di Odo Casel e del movimento liturgico dell'epoca che vede nell'"Ecclesia come convocazione di una Assemblea viva" il superamento dell'individualismo liberale ottocentesco e la riscoperta del mistero della Chiesa. Molto rivelatrice la seguente affermazione di Casel : "Così l'intera Chiesa e tutti i suoi ordini hanno collaborato all'adornamento liturgico del mistero, ciascuno a proprio modo, secondo il proprio carisma, tutti basati sul fondamento della propria interiore partecipazione alla liturgia misterica [...] da ciò deriva che la Chiesa tutta quanta, e non soltanto il clero, deve partecipare attivamente alla liturgia. Ciascuno conformemente al sacro ordinamento, nel grado e nella misura per lui stabiliti, al posto a lui assegnato. Tutte le membra sono collegate in modo fisico-sacramentale con il capo che è Cristo. Ogni credente, a motivo del carattere sacramentale ricevuto con il Battesimo e con la Cresima, prende parte al sacerdozio di Cristo". Ma ciò, che è cosa buona e giusta, nelle applicazioni concrete ha portato ad enfatizzare il sacerdozio battesimale del credente - ben distinto sia per grado che per essenza da quello ordinato (Lumen Gentium 10) - e la focalizzazione dell'attenzione sulla comunità e dunque sull'Assemblea. Il che è avvenuto anche per superare la devozione individuale (vedendone solo l'aspetto individualista e non anche la dimensione comunitaria) di cui si dà arbitrariamente per scontata la degenerazione in devozionismo. Ciò, nelle conseguenze applicate, è avvenuto a discapito della Comunione dei Santi e della dimensione metafisica, come se il fedele che non abbia accesso ad una dimensione comunitaria concreta - nel senso attuale di comunità di base o in un movimento - non possa vivere una vera esperienza di fede. Per recuperare la fede viva (e non intellettuale) e la devozione autentica nonché il valore del sacerdozio battesimale, non c'era bisogno di sovvertire la liturgia; sarebbe bastata un'efficace catechesi. Il problema è che è cambiata l'ecclesiologia e la teologia che la sottende, per effetto dell'orizzontalismo antropocentrico, che ha spostato il "centro" dell'azione cultuale da Dio all'uomo ed alla fine il senso del mistero lo ha perso.

44 commenti:

Anonimo ha detto...

Riporto solo l'incipit di uno pseudo-dotto modernista infarcito di luoghi comuni.

Ma cara Signora,perchè si ostina ad arrampicarsi sugli specchi?L'analisi di P.Augè è esattissima e solo chi non vuole vedere non vede. Il fatto che le vecchiette recitassero il Rosario o facessero novene ai santi durante la Messa è vero non sono luoghi comuni nè l'eccezione ma la regola...

Intanto che fosse la regola lo dice lei. Io c'ero prima della Riforma di Paolo VI ed ero praticante e non mi riconosco né riconosco tutti i luoghi comuni con cui è stato giustificato lo scempio della Liturgia che è diventato anche lo scempio del Sacrificio di Cristo Signore e della nostra Fede...

Anonimo ha detto...

Siamo sommersi dai luoghi comuni sull'Antico Rito.

Del resto, basta anche tornare al famoso discorso ai sacerdoti del 14 febbraio, nel quale lo stesso Benedetto XVI ci lascia parole sulla Messa antica che ripropongo con riluttanza tanto sono simili ai peggiori pregiudizi che cozzano con la nostra esperienza di fede! E forse spiegherebbero come mai non ha mai visitato la Parrocchia personale o non ha mai presenziato (non c'era bisogno che il Papa celebrasse!) ad una messa usus antiquior... Pensavamo per non incorrere negli strali del modernisti; ma dopo quelle parole le nostre illusioni sono cadute! Nonostante peraltro esse cozzino con quanto affermato nei sui scritti nei quali tra l'altro ha stigmatizzato la liturgia "fabbricata a tavolino" e giudicato il Rito antico "mai abrogato".

"...Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia... (Discorso ai Sacerdoti romani 14 febbraio 2013)

A questo punto, mentre occorre sgombrare ogni equivoco sull'actuosa participatio, fatta passare per una scoperta del concilio, ci sono molti che la Santa e Divina Liturgia Romana non l'hanno mai abbandonata e non solo grazie alla Fraternità di San Pio X. Per quanto mi riguarda, l'ho ritrovata nel 2007 con grande commozione e gioia spirituale; ma dentro di me vivevo il NO con lo spirito precedente, ricevuto nella Chiesa e non dai "libri devozionali", che - non so in Germania - ma io non ho mai visto usare durante la messa: ho ancora il mio bel messale degli anni '60! E, finalmente, sono riuscita a dare un nome ai miei disagi e alla mia sofferenza, sfociati nell'approfondimento e nello sviluppo dei temi riguardanti questa questione centrale per la nostra fede!

E so bene che questi disagi e questa testimonianza non sono solo i miei.

Anonimo ha detto...

Penso che prima del concilio molti vivessero la liturgia più come abitudine che come esperienza viva. Ma forse oggi accade il contrario?
Credo che non fosse un problema preconciliare, ma che sia un problema di sempre, che il concilio non ha affatto risolto. E' compito dei sacerdoti e dei testimoni far conoscere e introdurre i fedeli ai Sacri Misteri e la carenza di formazione o anche la diminuzione di fervore non era certo attribuibile al rito, ma a tanti fattori tuttora presenti e per nulla sconfitti né superati, anzi aggravati!
E' compito di ogni generazione scoprire e vivere le ragioni della propria fede, incarnandola come un dono vivo e vitalizzante nella Chiesa - proprio a partire dalla Liturgia - e così trasmettendola alle nuove generazioni...
Per risolvere un problema che è sempre esistito e sempre esisterà: l'actuosa participatio, appunto, si è riformato ciò che non si doveva.

Diceva Giovanni Paolo II nell'Enciclica Ecclesia de Eucaristia n.52: « ... A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale ».

Anonimo ha detto...

Eppure anche Giovanni Paolo II celebrava il NO e non ha fatto niente per la messa tradizionale.

Anonimo ha detto...

In effetti Giovanni Paolo II si riferiva in particolare agli abusi liturgici consentiti dalla "creatività" attribuita alla nuova 'forma' rituale. Ma ugualmente è costretto a riprendere i concetti della Chiesa universale.

Anonimo ha detto...

Vorrei fare alcune considerazioni, se mi è consentito. Innanzitutto Matias Augè è un professore di liturgia con anni e anni di ricerca e insegnamento, quindi sarei molto prudente prima di chiamare "luoghi comuni" ciò che ha scritto nel suo articolo. Vengo alle osservazioni.
La Chiesa come Corpo mistico di Cristo è vissuta pienamente nella Liturgia riformata, anche se ci sono alcune prssi che non permettono di vivere in pienezza questo aspetto. Ad esempio, l'uso dei foglietti liturgici, che portano il fedele alla lettura individuale, come avviene nel V.O., e quindi a cadere nell'individualismo. Invece, occorre che le letture e le preghiere si ascoltino (questo è ciò che bisogna imparare: l'ascolto, non la lettura personale). Questa è la "sana individualità", non quella di chi non sa niente di latino e deve leggere sul foglietto la traduzione e anche in modo sconnesso con il prete, che quando arriva al termine della preghiera bisbigliata, concludendo con il "per Christum Dominum nostrum", non si sa se il fedele sia già nell'ultimo punto o indietro o addirittua abbia già terminato la lettura da un bel pezzo. Questo è solo un aspetto. L'ho spiegato in sintesi, anche se ci sarebbe molto altro da dire. Ad esempio, l'accesso alla lingua italiana favorisce la partecipazione interiore ed esteriore, perchè elimina l'ostacolo della lingua. E coì via. Segnalo questo articolo: http://www.stpauls.it/vita/1303vp/spettatori.htm . E' sintetico, ma spiega bene l'argomento. Grazie.

Anonimo ha detto...

Solo un'analisi del significato di "actuosa participatio" e della sua evoluzione fin dai tempi di S.Pio X, lungo il XX secolo per arrivare all'insegnamento magisteriale di oggi permetterebbe una discussione del punto di vista di Augé che faccia senso.

Sennò si rimane al livello di compitino di classe liceale che non porta avanti discorsi ma solo preconcezioni da bar: ciò andrà anche bene per tutti gli utenti di questo blog poco avvezzi ad un discorso oggettivo, ma non serve una sana ricerca della verità.

Anonimo ha detto...

"Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti,alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento".
Card. Bergoglio, 2007

Anonimo ha detto...

La ringrazio delle sue considerazioni.
Ma non mi faccia dire e pensare cose che non erano nelle mie intenzioni nei confronti del Professor Matias Augé.

Ho solo confutato alcune sue affermazioni sull'Antico Rito che non esito a riconoscere tra i luoghi comuni che vengono ripetutamente diffusi su di esso, dei quali testimonio il fatto che sono e restano "luoghi comuni" sia per esperienza diretta del sensus fidei preconciliare che per conoscenza, amore e frequentazione partecipe e sempre più consapevole (per grazia) della Liturgia millenaria della Chiesa Latina d'Occidente.

Respingo anche il suo accento sull'individualismo, perché nel V.O. non esiste "lettura" nel senso e nel modo che lei esprime né l'individualità è mai scissa dall'essere in comunione solo perché ci si esprime e si segue individualmente. E' una visuale molto materialista e poco spirituale, se mi permette. Ho già sottolineato come il rapporto col Signore sia innanzitutto personale e, contemporaneamente ma non in alternativa, comunitario.
Nel V.O. l'intera celebrazione consta di parti "dialogate" col sacerdote e parti "seguite" più spiritualmente che sul messale (specialmente per chi ormai ha interiorizzato almeno l'ordinario della Messa e non ci vuole poi molto). Inoltre anche la "sconnessione" che lei sottolinea può verificarsi soltanto per chi segue il Rito agli inizi e ancora non è entrato né nei ritmi né nei significati delle mirabili, saporose e sapienti formule, la cui espressione latina diviene ben presto familiare. Esse peraltro sono ricche di tesori insondabili tutti da scoprire nella gradualità, nella fedeltà e nella Grazia Soprannaturale che si fa presente e tangibile...
Ma nonostante ciò è già sufficiente conoscere cosa il rito è e rappresenta perché, pur senza seguire parola per parola, la partecipazione sia ugualmente fruttuosa e completamente immersa nella insostituibile Actio divino-umana che il Signore Gesù vi compie, in primis attraverso il sacerdote cui si unisce ogni fedele e dunque l'intera assemblea, che non è solo quella dei communicantes presenti in quel luogo e in quel momento, ma riguarda la Comunione dei Santi sia nella gloria che nel tempo, che non è altro che la Chiesa intera di ieri di oggi e di domani che oltrepassa lo spazio e il tempo puntuali.

Posto questo come essenziale premessa, tutto il resto lo ritengo secondario, ma ci tornerò su appena esaminato il link che mi segnala.

Anonimo ha detto...

occorre che le letture e le preghiere si ascoltino (questo è ciò che bisogna imparare: l'ascolto, non la lettura personale).

Su questo avrei un appunto da fare.
Le Letture - dunque la Parola - si ascoltano, le preghiere non si ascoltano, si elevano a Dio sia mentalmente che a voce.

Inoltre anche nel VO Le Letture si ascoltano e certo nessuno può impedire che il Signore parli ad ognuno personalmente anche se la partecipazione è comunitaria e viene vissuta in comunione (che preesiste e permane anche dopo la celebrazione), perché questa comunione è in Lui ed è dunque Lui a crearla non chi partecipa, che ci mette solo la sua presenza la sua persona, la sua attenzione apertura e disponibilità e quant'altro ancora potrei enumerare a lungo. Ma questo è l'essenziale.

Anonimo ha detto...

Solo un'analisi del significato di "actuosa participatio" e della sua evoluzione fin dai tempi di S.Pio X, lungo il XX secolo per arrivare all'insegnamento magisteriale di oggi permetterebbe una discussione del punto di vista di Augé che faccia senso.
Sennò si rimane al livello di compitino di classe liceale che non porta avanti discorsi ma solo preconcezioni da bar: ciò andrà anche bene per tutti gli utenti di questo blog poco avvezzi ad un discorso oggettivo, ma non serve una sana ricerca della verità.


Queste considerazioni dimostrano di non aver letto qui (link inserito nell'articolo).

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/p/il-post-concilio-e-lactuosa-participatio.html

Anonimo ha detto...

E' bene aver dato un'occhiata al concetto di actuosa participatio, ma troppe sono le affermazioni apodittiche e puramente polemizzanti non comprovate da una presa di posizione sostenuta dal Magistero.
Esempio: "L’ actuosa participatio è molto più di una mera “disposizione interiore dell’assemblea” o della persona singola. ..."
Ogni frase come questa deve essere provata: il lettori del blog si possono permettere di scrivere a vanvera ma non chi lo gestisce.

Anonimo ha detto...

...pur senza seguire parola per parola, la partecipazione sia ugualmente fruttuosa e completamente immersa nella insostituibile Actio divino-umana che il Signore Gesù vi compie, in primis attraverso il sacerdote cui si unisce ogni fedele e dunque l'intera assemblea, che non è solo quella dei communicantes presenti in quel luogo e in quel momento...

Questa affermazione richiede una puntualizzazione e una precisazione basilare da scolpirsi nel cuore e nella mente.

Ogni fedele e dunque anche l'intera assemblea si unisce al Sacerdote durante l'intero Santo Sacrificio - e ciò vale per ogni preghiera (non ascoltata ma elevata al Signore) - tranne che nel momento in cui il Sacerdote agisce in persona Christi: cioè alla Consacrazione, durante la quale il Sacrificio si compie. E ogni volta viene ri-presentato al Padre fino alla fine dei tempi. E' questo che il Signore ci ha consegnato durante l'Ultima Cena. Ed è solo dopo questo e grazie a questo che possiamo nutrirci del suo Corpo ora glorioso.

Questo momento appartiene al Signore e a Lui solo. Soltanto dopo, e l'unde et memores ce lo insegna e lo compie, il fedele e l'assemblea si uniscono al sacerdote per unire a quella di Cristo la propria offerta, che l'Angelo del Signore porta al Trono dell'Altissimo...

Prego chi vuole approfondire di leggere con attenzione qui, andando direttamente alle precisazioni riguardanti il raffronto tra la Mediator Dei e la Sacrosantum Concilium:

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/p/notazioni-sul-catechismo-della-chiesa.html

Anonimo ha detto...

Esempio: "L’ actuosa participatio è molto più di una mera “disposizione interiore dell’assemblea” o della persona singola. ..."
Ogni frase come questa deve essere provata: il lettori del blog si possono permettere di scrivere a vanvera ma non chi lo gestisce.


Ah sì? In quel testo è ampiamente scritto cos'è l'actuosa participatio.
C'è poco da provare. Ci sono due millenni di spiritualità cattolica a dirlo. In quel testo se ne è estratto il succo (oltre a inserire alcune citazioni magisteriali preconciliari e anche dei testi di Ratzinger). Se queste non sono prove e se il 'succo' non viene recepito, che dire?
Affido tutto al Signore.

Angelo ha detto...

Ma lascialo perdere, non lo vedi che è mezzo scemo. A proposito: sono d'accordo con Don Camillo, la storiella del "numquam abrogatum" è assurda.

Anonimo ha detto...

Sign. mic, l'Anonimo delle 15.06 sono io e ho solo scritto quell'unico messaggio. Questo è il secondo. L'altro Anonimo non sono io. Scusi se ho mancato di mettere la firma. Grazie per la sua risposta, ma la penso diversamente. OGC

Marco P. ha detto...

l'accesso alla lingua italiana favorisce la partecipazione interiore ed esteriore, perchè elimina l'ostacolo della lingua.

Ecco, allora come la mettiamo con la gmg in portugues, obrigado!
Cos'è poi la partecipazione esteriore, cantare "mamma maria" ad un matrimonio?

il lettori del blog si possono permettere di scrivere a vanvera...

Ecco, ce ne ha dato una bella dimostrazione, obrigado novamente.

Luisa ha detto...

Tentare di discutere con l`anonimo è, si dice da noi, "come far pipi in un violino", non serve a niente, la sua idea su chi gestisce questo blog e chi partecipa è già fatta, l`arrogante supponenza di chi non ha nemmeno il coraggio di darsi un nick...forse perchè tanto anonimo non è, il disprezzo per questo spazio, e chi vi scrive, non merita nessuna attenzione, è solo tempo perso.

Anonimo ha detto...

Scusi se ho mancato di mettere la firma. Grazie per la sua risposta, ma la penso diversamente. OGC

Caro OGC,
apprezzo la sua "civiltà" e rispetto il suo pensiero;
ma sono rammaricata perché, se non sbaglio, ci diciamo entrambi cattolici e sembra darsi il paradosso che possiamo pensarla diversamente su una cosa così seria e fondante come la santa e divina Liturgia!

Angelo ha detto...

Attenzione, perchè pare che il palco della GMG costi 150 milioni e che il povero Bergoglio abbia nominato allo IOR una checca dal passato folle.

RIC ha detto...

Le due corna ai lati dell'altare sono tutto un programma...

luigic ha detto...

Quando l ha detto? In che occasione? Dov'è citato? Grazie

Anonimo ha detto...

Per luigic
Ecco il link della frase di Bergoglio sulla tradizione:

http://www.30giorni.it/articoli_id_15978_l1.htm

Silente ha detto...

Il termine "rito" ha come etimo la radice sanscrita: "rta" che significa "ordine stabilito dagli dei" e che richiama un'ulteriore radice indoeuropea "*rta" che significa semplicemente "ordine". Il rito è il ripetersi, ordinato, formalizzato, attuale, vero e sacralizzato dell'Evento originale. Questa è la Santa Messa e, massime, il Sacrificio. Così come stabilito da N.S. Gesù Cristo.
La "actuosa partecipatio" dei fedeli può essere utile (forse) da un punto di vista "intellettuale", ma non necessaria da un punto di vista soteriologico.
Inoltre, la diversificata partecipazione dei fedeli al Divino Sacrificio (libri "privati" di preghiera, Santo Rosario e così via) semplicemente rifletteva la gerarchia delle conoscenze liturgiche e delle consapevolezze dottrinarie, fermo restando che la salvezza grazie al Rito è offerta a tutti, a prescindere della diversificata consapevolezza liturgica. E' il Sacrificio che salva, non la "cultura" liturgica dei fedeli o la loro comprensione razionale del testo che è del tutto ininfluente ai fini soteriologici del Rito.
Infine, ogni giustificazione "assemblearista" del Sacrificio è semplicemente sacrilega. Il Rito non ha bisogno di alcuna giustificazione e legittimazione "democratica". Il Rito "sta", anzi, "è", perfettamente e ontologicamente, a prescindere dal numero di persone che vi partecipano. Non è un'assemblea condominiale. Inoltre, l'insistenza sul carattere "assemblearistico" del Sacrificio può oscurare, o addirittura negare, il dato dottrinario che la salvezza è individuale e non certo "comunitaria" e "assembleare". Quindi chi insiste sul valore "assemblearistico" della S. Messa è legittimamente sospettabile di eresia.

Concludo: il problema dei cattolici di oggi non è solo una mancanza di conoscenza liturgica, ma soprattutto di conoscenza metafisica, che nella liturgia trova il suo riflesso "rituale".


Anonimo ha detto...

Caro Silente,
quando parlo di "quel che accade" mi riferisco proprio al piano metafisico, che ovviamente ha i suoi effetti anche sul piano materiale, grazie all'azione teandrica (divino-umana) del Signore, che lascia irrompere il Soprannaturale.
Per questo è maggiormente nefasta la banalizzazione e la desacralizzazione del rito operata dalla riforma in un clima di abbandono della metafisica, secondo parametri del personalismo storicista.
Per questo credo che quella che noi chiamiamo cecità e incapacitá di comprendere, dipende dal fatto che, abbandonata la metafisica, la formazione di sacerdoti e fedeli post-conciliari risente di questo grande 'vulnus' che è di tutta la Chiesa.
Mancano infatti al linguaggio attuale gli strumenti concettuali propri della metafisica.

Anonimo ha detto...

Cito un'affermazione molto calzante di padre Lanzetta FI: Per molti, infine, il vero problema oggi nella Chiesa sono le cose che non vanno, questo o quel gruppo. I tradizionalisti o, per altri, i progressisti. Questa è una visione piuttosto pragmatica della realtà: la bontà di un'azione la si giudica dal risultato degli effetti e non dall'in sé, dall'oggettività. Non è la prassi che non va ma le idee. Forse perché mancano. Manca uno sguardo metafisico su Dio e sull'uomo, e questo ci impedisce di rivolgerci al vero problema. Se solo riuscissimo a vederlo avremmo già fatto un grande passo in avanti. Saremmo cioè già usciti dalla mentalità della prassi, che ahimé domina. Molto spesso a discapito del Concilio. Ma soprattutto della Chiesa.

La vera crisi non è altro che la crisi della Chiesa in quanto mistero. Il vero nodo teologico è riconducibile allo smarrimento proprio del concetto metafisico di partecipazione del mistero-Chiesa. E così la teologia si riduce ad antropologia. Infatti la teologia stava già da tempo coniando un nuovo linguaggio, accantonando per lo più quello metafisico-scolastico, per fare posto a quello più moderno, che sfocerà, poi, nell'adozione di una filosofia esistenzialista e fenomenica.

In quella che oggi viviamo come difficoltà ermeneutica si nasconde la carenza della metafisica: è un problema di forma e di sostanza (la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo, ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede che è messa in un angolo).

Angelo ha detto...

http://www.tempi.it/

Se guardate i primi articoli in testa, potete notare come la rivista di CL abbia cominciato a difendere la lobby gay (una conferma sta negli articoli a difesa, addirittura di Dolce e Gabbana), oltre a Napolitano (articolo assurdo sulla laicità, altro loro cavallo di battaglia forse funzionale alle ruberie di CL).

Luisa ha detto...

Nell`articolo di 30 giorni è già prefigurato il discorso che Jorge Bergoglio sta tenendo da quattro mesi, solo che non è più cardinale è diventato Papa.
Ci sono in quell`articolo dei passaggi da brivido, non sono brividi gioiosi ma di paura.

Possono stare tranquilli con lui tutti i creatori, anche i più selvaggi, tutti coloro che si inventano prassi, liturgie, preghiere, calpestando quel che la Chiesa domanda e comanda.
possono stare tranquilli i ribelli, i novatores liturgici e dottrinali.
Al diavolo le certezze, che "possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo.",
alle ortiche "i propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio." ,
se poi quelle certezze e quei convincimenti sono la Tradizione e la Dottrina della Chiesa, no problem!
Bisogna uscire, dovete uscire!

Diceva ancora il card. Bergoglio:
"Colui che isola la sua coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l’allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza. È il rischio che corre la coscienza isolata."

Che popolo di Dio, quale cammino?
Ebbene io, vedendo certi cammini percorsi da certi che si dicono non solo parte del popolo di Dio ma la sua élite (ancor più oggi), che invocano lo Spirito Santo per giustificare ogni loro invenzione anche la più eterodossa, sento di correre un rischio non isolandomi, ma camminando con chi sta portando la Chiesa su altre vie.
Preferisco restare fedele e coerente con ciò che la Chiesa mi ha insegnato, non intendo gettare alle ortiche le certezze che non sono mie, perchè pecchererei di autoreferenzialità, ma quelle che si sono radicate talmente in profondità da permettermi di non perdere la Fede pur restando lontana dalla pratica un tempo non indifferente.

Angelo ha detto...

Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida. Che è il cuore della missione.
Fedeli brasiliani presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida

Fedeli brasiliani presso il santuario di Nossa Senhora da Conceição Aparecida
Può spiegare meglio questa immagine?
BERGOGLIO: Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé stessi. Paradossalmente proprio perché si rimane, proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele. È la dottrina cattolica. San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo, tra l’uomo che cresce, e la Tradizione che, nel trasmettere da un’epoca all’altra il depositum fidei, cresce e si consolida con il passo del tempo: «Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate».


Questo è il passaggio chiave, mi pare. Bergoglio è fissato su questa idea dell'uscita, che ovviamente non implica un'ascetica, ma è diretta alle periferie dell'esistenza. Uscire, poi, paradossalmente, non per convertire, perchè il Signore non lo chiederebbe più (anche Lui cambia idea). Non credo si riferisca all'epektasis greca, che comunque riguarda l'escatologia: sarebbe troppo per la sua totale mancanza di teoresi (= pelagianesimo). Non capisce, come ha giustamente detto Colafemmina, che solo una Chiesa ricca può aiutare i poveri. Se la Chiesa è povera, i soldi ai poveri chi glieli dà? Il Rotary? Monti? Napolitano? CL, che ora difende i ricchi sfondati e invertiti?
La frase sul cambiamento è talmente idiota che non merita commenti: egli scambia il cambiamento che opera in noi il Signore con il cambiamento dottrinale. Osa anche citare san Vincenzo, confondendo sviluppo omogeneo con eterogenità ed equivocità (pluralismo, per lui). Chi l'ha detto poi che i tradizionalisti sono fissisti? Il VII, nella mens di Ottaviani e di altri con sale nel cervello e vera carità, doveva proclamare la Corredenzione mariana e la Regalità Sociale di NSGC. Invece, ci hanno dato la libertà religiosa e la laicità positiva, su cui sguazzano CL e i massoni.
Tra l'altro, Bergoglio non può dare lezione di esegesi a nessuno, lui che scambia Adamo con Caino ed i poveri in spirito con i poveri materialmente (teologia del popolo, che parte dalle tesi erronee di GPII e media con la TdL, classico, rozzissimo prodotto di menti sudamericane). Dovrebbe stare bene attento a citare il latino, lui che non conosce bene neppure l'italiano e la logica.

A Silente:
Quindi chi insiste sul valore "assemblearistico" della S. Messa è legittimamente sospettabile di eresia.

Institutio generalis 1969/1970, p. 7.
D'accordissimo sulle ragioni metafisiche della crisi (dislocazione della Monotriade): ma mi si permetta di ricordare come il pensiero cattolico ontologizzava già da secoli, sebbene la mistica carmelitana e quella renana costituivano il "complemento" metafisico al tomismo.

Anonimo ha detto...

Cara Luisa,
ci restiamo dentro soffrendo e pregando, con dolorosa consapevolezza, che però è frutto di grazia e di maggiore presenza.
Dobbiamo continuare ad essere, oltre che sentinelle, piccole fiaccole accese di una Luce che è il Signore, pregando e offrendo, oltre che vigilando e testimoniando.

Angelo ha detto...

Tralasciando il resto dell'intervento di Giovanna, mi concentro su questo punto:

[cambieranno le] apparenze anche, perché no?, liturgiche

Perchè no?!? Apparenze? Io chiederei invece: perchè dovrebbero cambiare? A parte il fatto che sono già cambiate... Bisogna mettersi in testa che il papa, tantomeno Bergoglio, non è Dio. Non può fare quel che vuole, anche se tutto il mondo lo loda. Io gli occhi ce li ho bene aperti, entrambi. Capisco umanamente che Lei cerchi di chiuderli, di fronte a tanto orrore: ma ciò non dimostra che il presente --più che il futuro-- non sia la rovina della Chiesa. Saluti

Anonimo ha detto...

Forse uscire da sé può significare anche guardare con gli occhi di Dio cui appartiene la Chiesa e il suo futuro. Sono un'ingenua imbecille, dirà qualcuno:), ma è il mio modo di stare e restare.

Vorrei essere una ingenua imbecille come te e vorrei anche che lo fosse il Papa (il che non farebbe meno danni); ma non lo credo. E mai come questa volta spero di sbagliarmi.
Piuttosto credo che questo papa sia il frutto più maturo del concilio che ci sia stato dato di vedere e purtroppo sperimentare sulla pelle e sull'anima dei fedeli e di una Chiesa sempre più contraffatta e snaturata delle sue essenze.
Il che, lo crediamo de fide, non potrà andare oltre certi limiti.
Il come e con chi, umanamente ancora non affiora. Non ci resta che starci dentro e continuare a pregare.

Luisa ha detto...

Stamattina la mia tv, svizzera, ha diffuso un documentario su un pastore evangelico carismatico di New York, passo sui suoi modi tipici dei predicatori carismatici, quel che mi ha colpito è quel che diceva, le sue parole assomigliavano come una fotocopia a quel che ci sta "martellando" da mesi ormai papa Bergoglio.
Con l`amara impressione che stiamo camminando verso una fratellanza universale, une religione universale.
Usciamo da noi stessi, abbandoniamo sacristie e parrocchie, andiamo alle periferie, guardiamo quel che ci unisce non ciò che ci separa, magari ci sbaglieremo, ma tanto il Signore sempre ci perdona, se stiamo dentro ci ammaliamo, fuori magari avremo degli incidenti, ma tanto il Signore tutto perdona e guarisce.

Angelo ha detto...

Convengo con quanto detto da Luisa. Lasciamo cuocere Bergoglio e i suoi accoliti, tra cui il sobrio Mons. Ricca, l'entusiasta (in senso etimologico e metaforico) Cantalamessa (sic), i ciellini e forse anche gli amici di questi ultimi, gli ascetici Dolce e Gabbana, nel loro brodo pentecostale. Disinteressiamoci totalmente di lui, mero incidente della storia di questo mortifero Occidente, "etsi papa non daretur", e continuiamo a assistere alle nostre Messe: come Cristo comanda. Ora, tra l'altro, lo attende uno spossante viaggio in Brasile, che egli senza dubbio vivrà con spirito antipelagiano e antizitellesco; Brasile, dove sarà celebrata una mastodontica (ma umilissima, non sia mai) GMG, in uno stato, peraltro, molto noto per le sue periferie esistenziali, oltre che per il rigore e l'affidabilità dei suoi abitanti. Certe volte penso che forse sarebbe stato meglio se le Americhe non fossero mai state scoperte: ne avrebbero guadagnato gli Indiani, poi sterminati dai protestanti e dai massoni con cui di fatto Bergoglio è in comunione, e noi, che non avremmo Bergoglio tra le scatole. Ah, dimenticavo: grazie, e buon pranzo!

Louis Martin ha detto...

Per Angelo.

Su CL concordo con Lei. Non tutti hanno capito di che razza di polpetta avvelenata si tratta.

Ad ogni modo, se può interessarLe:

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/05/brunero-gherardini-ne-obstupescat-qo.html

Cordialmente

Anonimo ha detto...

Grazie e buon pranzo anche a te ;)

Hai visto mai che a qualcuno venisse in mente di rispolverare l'ormai obsoleto: "sia lodato Gesù Cristo"!

Angelo ha detto...

Un'ultima cosa e poi non vi disturbo più (tranne che se chiamato in causa): Bergoglio potrebbe --sarebbe la naturale prosecuzione di quanto da lui operato in questi fulgidi mesi-- spogliarsi di quei pochi simboli che egli, misericordiosamente, ha per il momento risparmiato. La GMG giunge, in questo senso, a pennello: a Copacabana, simbolo palese di un cattolicesimo intransigente epperò non fissista, potrebbe, dopo aver predicato dall'avveniristico palco contro tutti i pelagiani, le zitelle e chi pettina le pecore, denudarsi della talare e della fascia, con tutto il (poco) resto --sono tutti segni eloquenti di superbia: infatti, tutti i papi precedenti a lui erano posseduti dalla vanagloria, che diamine! --, donare gli indumenti ai poveri, insieme al suo anello di argento, fuso per l'occasione insieme a un po' di piombo in bocca ad un rappresentante della SPX (in gabbia, esposto al pubblico ludibrio dalle masse brasileire danzanti). Poi, potrebbe celebrare in acqua, se vuole anche su una zattera in movimento (a lui piace il dinamismo), al limite orientata verso la deriva, con 64 concelebranti (mi raccomando, però: nessun cattolico!), presi equanimamente a casaccio fra: autoctoni, meglio se in costume adamitico (qui GPII avrebbe potuto dare un consiglio), pentecostali, agnostici, ebrei, musulmani (solo se delinquenti), Pelé, Falcao, new agers, progressisti e pliniani, abitanti delle periferie, esistenzialisti. Una variante del rito potrebbe essere l'abbraccio degli alberi: qui i concelebranti new agers potrebbero dare una mano, vista la loro esperienza in materia, e all'uopo fare da alberi, con conseguente giubilo delle folle di giovani antipelagiane. Sarebbe il massimo, la primavera del Concilio realizzata (anche se siamo in estate, anzi in inverno in Brasile: ma basta con questa precisione da lenti di cuore!). Noi pelagiani non potremmo più dire niente, e ci ritireremmo mesti non in periferia (dove già buona parte di noi abita: ma lo sa Bergoglio quanto costa una casa a Roma, al centro, o anche un alberghetto come Santa Marta?), ma nelle catacombe, dove la Chiesa delle origini difendeva una fede che oggi sembrerebbe dileggiata da chi dovrebbe esserne il custode.

Japhet ha detto...

Non sorprende che Francesco decida di mantenere Ricca nella sua posizione.
Nei quattro mesi di pontificato, non ha menzionato l'aborto o il matrimonio gay e quando ha citato la lobby gay a giugno non ha dato l'impressione che fosse troppo convinto sul da farsi.
Evidentemente questi problemi non rientrano tra le sue priorità.
Credo che voglia dare di sé un'immagine tipo GPII, che diffonde la parola a quanti come può, indipendentemente da altre questioni.
E, come nelle migliori tradizioni politico-gestionali, se hai a che fare con un problema che davvero non vuoi affrontare, nomini una commissione...

Anonimo ha detto...

A proposito di commissioni, leggete l'ultima:

http://fidesetforma.blogspot.it/2013/07/la-svendita-del-vaticano-spa-e.html

Tra i commenti, interviene criticamente anche don Scalese, che non è un tradizionalista (Querculanus)

Louis Martin ha detto...


A proposito di CL, avete visto l'intervento di Negri su don Ariel?

http://www.libertas.sm/cont/news/san-marino-mons-elio-ciccioni-e-mons-luigi-negri-su-intervento-di-don-ariel-levi-di-gualdo-dopo-i-funerali-di-don-gallo/78771/1.html#.UeqRwMr6KBA

Anonimo ha detto...

"http://fidesetforma.blogspot.it/2013/07/la-svendita-del-vaticano-spa-e.html"

Pensate che c'entrino i "saldi di fine stagione"?

Anonimo ha detto...

Per Louis,
lo abbiamo visto e ne abbiamo parlato nella discussione di questo articolo:

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/06/don-ariel-levi-di-gualdo-sui-primi-100.html

Angelo ha detto...

Per Silente: grazie molte, conosco quel testo, di cui condivido tutto, pur tenendo conto delle evidenti distanze (esperienza, preparazione, santità) di Mons. Gherardini.
Su Don Ariel: è un uomo coraggioso, quindi va rispettato. Peccato che Negri, di CL ma forse leggermente più serio rispetto alla media di quel movimento, abbia riposto sulla forma, ma non sulla sostanza. Ma la colpa è sua; non si può dire: "sei maleducato, quindi non ti rispondo". Interessante la tesi di chi dice che per non affrontare la questione si nomina una commissione. Mi pare più che verosimile. Grazie anche a Mic.

Anonimo ha detto...

Don Ariel ha prestato il fianco con un linguaggio davvero eccessivo che fa parte del suo temperamento appassionato e del grande impegno che profonde.
Peccato, perché in questo modo ha consentito che chi l'ha ripreso (per il linguaggio) distogliesse l'attenzione dai contenuti, ineccepibili.