Il prof. Enzo Fagiolo fa parte del mio "Gruppo Messa Tradizionale" e gli sono grata per il testo e la notizia riguardante il libro di un testimone. A seguire, troverete una interessante intervista a p. Emidio Papinutti, l'autore di Musica e concilio. Un bilancio dopo cinquant'anni dal Concilio Vaticano II.
L’attuale situazione della musica liturgica è il risultato della guerra, durante e dopo il Concilio, contro una tradizione millenaria che aveva costruito il mirabile edificio del gregoriano e poi delle laudi e della polifonia, per proclamare la parola di Dio al popolo con l’efficacia del canto. La storia della riforma liturgica, ormai ben documentata, è verità scomoda per i novatori che si appellano alla Sacrosantum Concilium (SC), nascondendo quello che è accaduto dopo e riecheggiando Paolo VI il quale all’Istituto Gregoriano di Parigi nel 1964, disse: “ Forse alcuni sono preoccupati sulle future applicazioni delle Costituzioni sulla Sacra liturgia. Il tesoro della musica sacra sarà conservato e coltivato con la più grande cura “.
Alla musica liturgica sono stati dedicati vari saggi, di musicisti di chiesa, teologi, storici della musica, direttori e compositori, quasi tutti contrari all’impoverimento avvenuto, ai quali si aggiunge il recente volume di 177 pagg. ‘Musica e Concilio’ per le edizioni Urban di Saronno, del p. Emidio Papinutti OFM, profondo conoscitore della musica sacra, organista titolare della Basilica Vaticana dal 1969 al 1989, segretario, per tre lustri dell’Ass. Nazionale S. Cecilia, testimone autorevole, pertanto, di quanto accadde fin dalla fase preparatoria del Concilio. Una storia completa che evoca anche i maggiori personaggi coinvolti nella vicenda e contiene nei capitoli: ‘La musica sacra’ è Partecipazione interiore’, approfondite analisi sul ruolo della musica nella liturgia e sulla partecipazione dei fedeli mediante l’ascolto. Il titolo di altri capitoli rivela il loro contenuto: ‘Rinnovamento o distruzione?’ ‘La musica cambia in peggio’, ‘La desacralizzazione della liturgia’, ‘Il fumo di Satana’.
Nel capitolo sulla fase antipreparatoria del Concilio, ‘Musica senza musicisti’, ricorda che nella sottocommissione De Musica Sacra i musicisti di chiesa furono esclusi, ad iniziare dal M° Bartolucci che, con la Cappella Musicale Pontificia (CMP), fu il primo bersaglio dei riformatori poiché custode della tradizione fino al punto che spesso i cantori, come nella Pasqua 1966, erano allontanati bruscamente all’inizio della Messa papale e sostituiti da cori dilettanti! Il relatore mons. Anglés, preside del Pontificio Istituto di Musica sacra (PIMS), entrò in aperto scontro con il cardinale presidente Tisserant poiché gli furono assegnati consultori del tutto sconosciuti e privi di autorità nel mondo della musica sacra. Il M° Bartolucci e mons. Virgili direttore della Cappella Musicale Lateranense, che non avevano mai ricevuto invito, furono falsamente accusati di aver rifiutato a partecipare, come precisarono sulla rivista di musicologia sacra ‘Cappella Sistina’, che ebbe collaboratori prestigiosi: compositori, maestri di Cappella, musicologi, direttori d’orchestra e teologi e che interruppe le pubblicazioni nel 1967 poiché la Segreteria di Stato pretendeva che si facesse promotrice della riforma. Era antica prassi consultare i musicisti di Chiesa (i diari della CMP riportano che alcuni cantori, molti dei quali anche compositori, furono convocati al Concilio di Trento e che il loro Collegio assistette, in Roma, con i cardinali, all’ascolto delle Messe del Palestrina per definire le condizioni dell’uso della polifonia nella liturgia).
Nel capitolo ‘Stupore e disagi in Concilio’ l’autore ricorda il colpo di mano alla prima Congregazione generale che doveva eleggere i rappresentanti delle diverse Commissioni, da liste compilate in fase antepreparatoria. Il card. Lienard, non autorizzato, spalleggiato dai card. Frings, Dopfner e Konig, pretese di cambiare la procedura fissata. Il card. Suenens commentò: “audace violazione del regolamento… le sorti del Concilio vennero decise in quel momento”. La Costituzione preparatoria sulla liturgia fu firmata dal card. G. Cicognani pochi giorni prima della sua morte e Bugnini non fu confermato segretario dal successore card. Larraona poiché “progressista, spinto ed iconoclasta” (era colui che organizzava le Messe rock a Roma). Presenta poi il card. Antonelli, insigne liturgista, coautore del testo dell’enciclica di Pio XII Musicae Sacrae disciplina, che espose in una Congregazione generale quali dovevano essere i criteri ispiratori dello Schema sulla liturgia: “massima fedeltà al patrimonio liturgico, far derivare da principi dottrinali le disposizioni pratiche e rubricali”. Ricorda, inoltre, che già allora iniziò l’ostilità verso le Scholae Cantorum e gli organisti, da sostituire con il popolo, accusati dello spopolamento nelle chiese (!?), ma che la CMP fu salutata da un fragoroso applauso dei Padri il giorno della festa di S. Cecilia 1963. L’apertura del Concilio fu accompagnata dal gregoriano e dalle composizioni polifoniche di Palestrina e Bartolucci le quali poi, vennero quasi tutte eliminate. Con il subdolo cambiamento dell’articolo 113 dello schema preparatorio sulla Messa Solenne, definita dall’autore, nella sua struttura tradizionale, “un vero capolavoro”: “fu decretata la scomparsa della Messa solenne”. L’approvazione dell’articolo, con soli 13 voti contrari, fu contestata da alcuni vescovi che chiesero la verifica delle schede, subito depositate in archivio, ormai ‘impossibile’ per non meno 50 anni (Quando si preparava l’Istruzione Musicam sacram, pubblicata nel 1967, il M° Bartolucci chiese che, almeno nelle cattedrali, fosse mantenuta la Messa solenne tradizionale; richiesta accolta nella bozza, fatta sparire nel testo definitivo!) .
La Costituzione SC, confermò la tradizione musicale cattolica ma l’autore fa notare che le piccole ‘aperture’, ma equivoche: “partecipazione del popolo, canto gregoriano a parità di condizioni, tradizione musicale di alcune regioni, oltre l’organo a canne.. ammissione di altri strumenti, uso della lingua latina salvo diritti particolari”, sebbene da applicare con limiti e cautela, ebbero conseguenze negative, poiché fornirono il pretesto per il suo stravolgimento postconciliare. (Si propose persino di trasformare il glorioso PIMS, fondato da Pio X, in sede di studi per inserire nella liturgia il folklore, ma il corpo docente si oppose). I capitoli: ‘Le ragioni dei musicisti’, e ‘Dopo 50 anni’, contengono un amaro bilancio della riforma.
Nel periodo postconciliare, infatti, le decisioni della Commissione ad exequandam Constitutionem de Sacra Liturgia, che portò ad una riforma “rapida e radicale”, secondo uno dei componenti, erano prefissate, visto che presidente fu nominato il card. Lercaro e segretario il riesumato Bugnini. Circa i lavori l’autore evoca i noti diari del card. Antonelli con i suoi giudizi severi sulla riforma e su alcuni personaggi ( ebbe anche un duro scontro con Bugnini), di scarsa preparazione liturgica teologica, e le sue rivelazioni sulla riforma “caotica e aberrante" condotta con: “irregolarità procedurali, votazioni caotiche, discussioni affrettate, portati a distruggere e non a restaurare”, riportate nel libro di N. Giampietro. Le riunioni del Consilium avvennero in una atmosfera definita di ‘baraonda’; per eliminare opposizioni, la Congregazione dei Riti cui spettava l’approvazione delle proposte, venne del tutto esautorata. Sebbene Paolo VI, allarmato, in una riunione del Consilium, lamentasse: “gli esperimenti capricciosi e la desacralizzazione della liturgia”, le cose continuarono per quel verso e Bugnini poté affermare che “dietro al Consilium c’era il papa”, mons. Bettazzi: “abbiamo vinto perché il papa era con noi” e il card. Antonelli: “anche il papa Paolo VI sta un po’ da questa parte”.
L’autore, che ha dedicato la sua opera “a Benedetto XVI papa e martire”, per aver attribuito i mali della Chiesa alla rottura della tradizione liturgica ed aver emanato il Motu proprio, tanto osteggiato, per la Messa tradizionale, e “a quanti hanno sofferto a motivo della riforma liturgica”, si congeda con il capitolo: ‘Procedamus in pace’, dove chiarisce: “voglio assicurare che non si tratta di nostalgia ma di tristezza, non è pessimismo ma amore”. All’inizio del libro citando le parole di Paolo VI: “L’amore delle novità non sorpassi la misura, altrimenti si dovrebbe parlare non già di rinnovamento, ma piuttosto di distruzione della S. Liturgia.”, commenta: “Si, venerato Papa Paolo ‘Mesto’, Lei aveva previsto e temuto. Ѐ stato profeta… non si è trattato di rinnovamento ma della distruzione della musica sacra”
Enzo Fagiolo
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BIBLIOGRAFIA
D. Bartolucci: La Cappella Sistina al Concilio. Cappella Sistina, n. 1, 1964, La colpa è tutta dei musicisti!. Boll. Cecil. n.4, 1964. Funzionalità e arte nella musica liturgica; Atti I Conv.AISC, Trento, 1991. D. Celada: Riforma liturgica e musica sacra. Capp. Sistina; n.4, 1964. C. Fabro: Spiritualità ecclesiale della musica sacra. Capp. Sistina; n.11,1966. G. Confalonieri: L’abolizione della musica sacra. Epoca 26 nov. 1967. N. Giampietro: Il card. Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica. Roma 1998. A. M. Stickler: L’attrattiva teologica della Messa tridentina. New York 1995. S. De Salvo Factor: Storia della Cappella Musicale Pontificia, 7; Roma 2006. E. Fagiolo: Bartolucci e la musica sacra del Novecento. Padova, 2009.
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In attesa di una voce
Musica sacra: dopo 50 anni le valutazioni di un esperto e testimone: p. Emidio Papinutti, che il 26 dicembre 1974 venne nominato Organista Ufficiale della Basilica di San Pietro. Il suo servizio durò durante tutto il pontificato di Paolo VI, nei trentatré giorni di papa Luciani e poi con Giovanni Paolo II, fino al 1989.
"Nel Concilio Vaticano II la musica sacra occupa un posto di rilevante interesse. Per la prima volta nella storia la musica sacra è stata oggetto di studi, di valutazioni, di decisive disposizioni in un Concilio ecumenico. In nessun altro Concilio s'era parlato tanto di musica, né s'era ascoltata tanta musica, né s'erano prese tante importanti decisioni riguardo alla musica". È la premessa - sono sue parole - a questo breve incontro con padre Emidio Papinutti, sacerdote dei Frati minori, uno dei massimi esperti italiani di musica sacra e in particolare di canto gregoriano. Per 20 anni organista della basilica di San Pietro in Vaticano (dal 1969 al 1989 ha accompagnato all'organo le più importanti celebrazioni pontificie), per 15 segretario generale dell'associazione Santa Cecilia, già collaboratore de "L'Osservatore Romano" e autore di numerose pubblicazioni in materia, padre Papinutti ha superato lo scorso maggio la soglia degli 88 anni. Ha dunque vissuto appieno la stagione del Concilio e, nonostante l'età, non ha perduto la vis polemica che lo ha visto in passato, e lo vede tuttora, battersi e scontrarsi (sempre con spirito francescano) in difesa della musica sacra.
Padre Papinutti, quali influssi, a suo giudizio, ha avuto il Vaticano II sulla musica sacra e la liturgia in genere?
"Il Concilio ha avuto influssi incalcolabili, epocali sulla liturgia e sulla musica sacra. Purtroppo, almeno in Italia, nel campo della musica sacra ha provocato danni notevoli. O meglio, mi correggo: questi danni non sono stati provocati dal Concilio, ma piuttosto da errate interpretazioni del Concilio. Il Concilio non ha ordinato la distruzione di tutta la musica sacra dei secoli passati, anzi dichiara che il canto gregoriano è il 'canto proprio della liturgia romana' e che, per conseguenza, 'gli si deve riservare il posto principale'. Il Concilio raccomanda che 'si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra'. Il Concilio stabilisce che 'si promuovano le Scholae cantorum' perché la polifonia 'non si esclude affatto dalle celebrazioni liturgiche'. E si potrebbe continuare...".
Nell'introduzione al suo libro "Ma che musica! - La musica sacra dopo il Concilio" lei scriveva che "il Concilio Vaticano II, per la musica sacra, è un punto di arrivo e un punto di partenza". Che cosa intendeva dire?
"Volevo dire che la liturgia della Chiesa è vecchia di duemila anni. Stranamente per alcuni la storia della liturgia comincerebbe col Concilio Vaticano II. Prima solo i secoli bui: riti, cerimonie, fedeli muti spettatori, chierici factotum… È sbagliato solo pensarlo. Il Concilio è stato un 'punto di arrivo'. Lo dichiara lo stesso Concilio: 'Per conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via a un legittimo progresso…'. Che il Concilio sia un punto di arrivo viene ribadito all'inizio del capitolo sesto della Costituzione liturgica, che tratta appunto della musica sacra: 'Il Sacro Concilio, conservando le norme e le prescrizioni della disciplina e tradizione ecclesiastica, stabilisce quanto segue'. Tutto quello che il Concilio dice della liturgia e della musica sacra, si inserisce nella serie di riforme, cambiamenti, aggiornamenti fatti durante i secoli. La questione si può riassumere in due parole: rinnovamento nella tradizione. Il Concilio è stato un punto di arrivo, prima di diventare un punto di partenza".
A 50 anni dal Concilio che cosa, secondo lei, è cambiato in meglio e in peggio nella musica sacra?
"In meglio: l'inserimento dei fedeli, in particolare delle donne, nell'azione liturgica; i vari ministeri liturgici affidati ai laici; l'adattamento dei canti ai determinati momenti liturgici. In peggio: la scomparsa della Messa solenne e della Messa cantata, la proliferazione di musichette e musicacce nella liturgia, l'abbandono del canto gregoriano e della polifonia, la crisi delle Scholae cantorum. Prova ne sia la disaffezione di molti cristiani per la nuova musica liturgica".
Secondo lei, i pronunciamenti del Concilio in materia di musica sacra sono stati recepiti esattamente oppure ognuno li ha interpretati a proprio uso e consumo?
"Bisogna distinguere: ci sono vescovi, associazioni, movimenti che li hanno recepiti esattamente, ci sono altri che li hanno interpretati a proprio uso e consumo, appellandosi allo 'spirito del Concilio' oppure pretendendo di leggere tra le righe disposizioni conciliari inesistenti. Quello che più mi sorprende è il fatto che oggi quasi nessuno parli della partecipazione liturgica 'interiore', mentre si ascolta ciò che i ministri o la Schola cantano. Anche questa è una partecipazione attiva alla liturgia".
Qual è la situazione della musica sacra oggi in Italia?
"Un fenomeno positivo è il fatto che in questi ultimi anni è stata prodotta una mole immensa di nuova musica per la liturgia. Si calcola che siano strati composti circa ventimila nuovi canti. Ma solo pochi di questi canti sono diventati 'popolari', nel senso che siano stati accolti dai fedeli e che vengano eseguiti nelle chiese da tutta l'assemblea. Secondo me si è voluto trapiantare in Italia la forma 'responsoriale' molto diffusa altrove. Questo va bene per il canto responsoriale tra le letture, ma eseguire tutti i canti in questo modo va contro l'istinto musicale italiano. Noi italiani preferiamo il canto strofico, come gli inni. Forse per questo si sono diffusi largamente canti come 'Noi canteremo gloria a te' o 'Il Signore è il mio pastore' su testo di Turoldo, mente i brani in forma responsoriale, che sono la maggior parte, non si adattano altrettanto bene alle nostre assemblee liturgiche".
Il panorama offre oggi nuove composizioni valide oppure il repertorio vive di eredità sulla base delle composizioni del passato?
"Il repertorio italiano non vive di eredità del passato: ha rinunciato al passato con dispetto, quasi con disprezzo. Si sente il bisogno di nuove composizioni valide. Il Concilio di Trento ha avuto il suo Pierluigi da Palestrina. Lutero per la sua Riforma si è avvalso di buoni musicisti, come Johannes Walther. All'inizio del secolo scorso Pio X, col suo motu proprio 'Tra le sollecitudini', ha operato una riforma radicale della musica liturgica, ma ha avuto Lorenzo Perosi che ha tradotto in musica i princìpi proclamati dal Papa. Oggi non resta che aspettarci un nuovo Palestrina, un nuovo Perosi, che dia voce alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II".
A cura di Piero Isola, 10 ottobre 2012
1 commento:
Eccolo lì: "questi danni non sono stati provocati dal Concilio, ma piuttosto da errate interpretazioni del Concilio". Non è così: lo dimostro nel mio "Le cetre e i salici"
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