Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 18 febbraio 2016

Mattia Rossi. La prima domenica di Quaresima

Vi ricordo il precedente [qui] e l'Indice degli articoli sulla Musica Sacra pubblicati sul blog [qui].

La I domenica di Quaresima è tra le domeniche più “spiazzanti” del repertorio gregoriano. E lo è allo stesso modo in cui lo è anche – non a caso – la I domenica d’Avvento.

Le analogie tra le due domeniche introduttive ai due tempi penitenziali del ciclo liturgico cattolico risaltano subito all’occhio in merito alla loro composizione scritturale.
Come la I d’Avvento è modellata sul salmo 24 (per lo meno l’introito, il graduale e l’offertorio), così la I di Quaresima è interamente costruita su un’unica fonte biblica: il salmo 90. Tutti i cinque brani del Proprium (introito, graduale, tractus, offertorio e communio) hanno un testo derivato dal salmo 90.

Si tratta di quello stesso salmo che, citato dal demonio in persona, riecheggia nelle parole del vangelo delle tentazioni di questa I domenica di Quaresima: «Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano», recita il graduale citando le parole di Satana che invita Gesù a gettarsi dal pinnacolo del Tempio. 

Stesso tenore per le antifone di offertorio e communio che fanno risuonare lo stesso medesimo testo: «Scapulis suis obumbrabit tibi Dominus, et sub pennis eius sperabis: scuto circumdabit te veritas eius» (Il Signore ti avvolgerà con le sue ali e troverai rifugio tra le sue penne: la sua fedeltà ti difenderà come scudo).

Due brani testualmente identici, musicalmente differenti, ma al contempo simili: dagli andamenti ritmico-retorici complementari sino alle citazioni melodiche interne che si rimandano vicendevolmente. 

Questa totale uniformità della I domenica di Quaresima ben risponde a chi della “creatività” ha fatto la propria bandiera nell’inventarsi nuovi riti, nuovi repertori, nuovi canti, nuovi calendari… La Chiesa insegna tutt’altro: la vera esegesi, quella corretta, meditata e ponderata sul Verbum Domini, richiede forzatamente tempo, puntualità e precisione. E richiede anche, come risulta evidente, più di una occasione per comprendere appieno un medesimo testo.

Il modellare un’intera Messa (ben cinque brani!) sugli stessi testi e sulle stesse fonti, ma con melodie, estetiche, ritmi, accenti diversi fa un qualcosa che i più derubricherebbero a terribilmente monotono, ma che, in realtà, è totalmente insostituibile da un punto di vista cattolico: offrire ai fedeli una coralità (quella vera, non quella del laissez-faire dottrinale dell’attuale Babele) di spunti, interpretazioni ed esegesi. 

Il gregoriano, così, contribuisce davvero a formare un rito nel quale la Parola è una ed è ‘gustata’ in modi diversi, ma sempre complementari e, soprattutto, con la certezza che siano integralmente cattolici.

Le due domeniche – la I d’Avvento e la I di Quaresima -, però, hanno anche una seconda particolarità comune. 
I due introiti (Ad te levavi della I d’Avvento e Invocabit me della I di Quaresima) sono costruiti sullo stesso impianto di VIII modo.

Gli otto modi gregoriani, come testimoniato da Guido d’Arezzo, sono sempre stati visti come perfettamente adattabili «ai diversi stati d’animo». Questa sensazione fece da sfondo a tutte le riflessioni dei musicologi antichi fino a che, nel Settecento, l’abate Poisson scrisse un trattato di canto gregoriano nel quale condensò il pensiero dei predecessori riguardo agli otto modi. 

L’ottavo modo, quello in cui sono scritti i due introiti, venne definito come “perfectus“: è l’ultimo e, in quanto ultimo, è simbolo del compimento e della perfezione ultraterrena [richiama l'Ottavo giorno, quello della 'Creazione nuova', che ha inizio nell'Incarnazione e culmina nella Pasqua].

Un caso? Certo che no: come all’inizio dell’Avvento la Chiesa fa pregustare l’Incarnazione, così nella I di Quaresima, l’introito in modo perfectus fa “udire” il compimento della Quaresima nella perfezione della letizia pasquale e della Risurrezione. [Fonte]

2 commenti:

mic ha detto...

Paralleli ineguagliabili, che fa bene conoscere e lasciarsene permeare e che andrebbero perduti se non ci fosse chi custodisce e fa rivivere....

Anonimo ha detto...


@ Sul fondamento politico e quindi errato delle pretese bizantine

L'impero romano fini' in Occidente ma non in Oriente. L'Oriente riusci' a resistere all'assalto dei barbari. La data tradizionale e' per gli storici il 476 AD perche' in quell'anno Odoacre, re degli Eruli, una milizia germanica come tante altre, piu' o meno al servizio dello Stato romano, rinvio' le insegne imperiali a Costantinopoli, facendosi poi re d'Italia. L'imperatore romano legittimo era dunque solo quello di Costantinopoli. L'Occidente veniva a suddividersi in vari regni, detti poi dagli storici "romano-barbarici". E Roma? Decaduta sin da quando Costantino, nel 330, aveva messo la capitale a Costantinopoli e (se non erro) non ritornata piu' capitale dal momento che le sedi imperiali in Occidente erano tutte a Nord, per ragioni militari (Ravenna, Milano), vedeva affermarsi l'autorita' del Papa anche dal punto di vista politico-amministrativo. Era una citta' praticamente indifesa. Fu ampiamente saccheggiata due volte (nel 410 dai Goti di Alarico e nel 455 dai Vandali di Genserico). Con Genserico negozio' inutilmente S. Leone Magno, che invece aveva avuto un certo successo con Attila. Ora, dobbiamo notare questo contrasto che dimostra il torto marcio dei bizantini:
Dal punto di vista del prestigio e della forza politici Roma era diventata l'ombra di se stessa, era gia' un'idea piu' che una realta' effettivamente operante. Ma cio' influi' forse sul prestigio e l'ascendente spirituale del Papato? Niente affatto. Il famoso "Tomus Leonis" contro le ben note eresie cristologiche che S. Leone Magno invio' al Concilio di Calcedonia nel 451 e che fu approvato all'unanimita' dal Concilio come volonta' del Concilio perche', si disse, "Pietro ha parlato, questa e' la fede della Chiesa", e' un documento che precede di soli quattro anni il saccheggio dei Vandali. L'Occidente e Roma in particolare erano in profonda crisi politico-militare ed anche economica. Ma il Papato splendeva di una luce che veniva dalla fede, cioe' dalla purezza dottrinale oltre che dall'esempio di santi pontefici, la quale purezza si imponeva da se stessa, anche agli Orientali. Non solo non dipendeva dalla politica ma tanto piu' si affermava quanto piu' indipendente si dimostrava dalla situazione politica, totalmente negativa. Era invece il Cristianesimo Orientale a cercare un indebito primato sfruttando il fattore politico, il trovarsi nella sede imperiale di Costantinopoli, per gli accidenti della storia. HISTORICUS