Ne abbiamo già parlato qui. Ma in questi testi più recenti seguiamo con assiduità l'andamento del Tempo Liturgico in cui siamo. [Vedi dall'indice].
Con la domenica “in albis”, detta anche Domenica “Quasi modo” dalle parole dell’introito, si chiude l’Ottava di Pasqua. Ed è una conclusione ricca di sottintesi retorici, tutti veicolati dal Proprium gregoriano di questa domenica.
Partiamo, dunque, subito dall’introito appena citato: «Quasi modo genitis infantes, alleluia, rationabiles sine dolo lac concupiscite, alleluia alleluia alleluia» (Quasi come bimbi appena nati, alleluia, bramate il latte spirituale e senza peccato, alleluia, alleluia, alleluia).
Come si comporta il gregoriano con un simile testo? Per avere una sottile esegesi dell’andamento ritmico dell’introito dobbiamo fare riferimento alla notazione neumatica del manoscritto Laon, il quale riesce a descrivere magnificamente il desiderio del lattante e, estensivamente, quello di fede dell’uomo postulato dall’antifona d’introito.
Sulle prime due parole («Quasi modo») il notatore non chiede di pronunciare le sillabe normalmente, ma di correre spediti verso ciò che segue. Il canto gregoriano vuole, così, musicalmente simboleggiare la ricerca affannosa da parte di un bambino del seno della sua mamma e l’insaziabile desiderio di essere sfamato. Fuor di metafora, come dicevamo, è il desiderio dell’uomo di quel latte spirituale che fa crescere ed alimenta nella fede. E se l’inizio deve essere fortemente proiettivo, ecco che, ben presto, si capisce verso che cosa: alleluia. È questo, l’alleluia, come dicevamo la scorsa domenica, il leit motiv della Pasqua, il simbolo della letizia.
Carico di retorica è anche il communio. Il testo del Mitte manum riporta le parole che Gesù rivolse all’incredulo Tommaso: «Mitte manum tuam et cognosce loca clavorum, alleluia. Et noli esse incredulus sed fidelis, alleluia, alleluia» (Metti la tua mano e senti il segno dei chiodi, alleluia. E non essere incredulo, ma credente, alleluia, alleluia). Un brano, ancora una volta, alquanto semplice che, però, inizia subito con tre termini molto forti e ognuno dei quali risulta, a suo modo, sottolineato.
«Mitte», metti: è l’invito che Gesù rivolge a Tommaso, è l’azione grazie alla quale l’apostolo incredulo può credere, è la porta, per Tommaso, della fede e viene rimarcata con un forte stacco alla prima nota.
«Manum», la seconda parola, è il mezzo con il quale Tommaso approda alla fede: una grande liquescenza sulla seconda sillaba (-num) ingrandisce il termine e lo sottolinea unendolo a quello che segue.
«Tuam», metti la tua mano, sottolineata grazie a un neuma speciale posto sulla seconda sillaba di «tuam»: è l’invito che Gesù, oggi, rivolge all’incredulo Tommaso che c’è in ciascuno di noi.
«Mitte manum tuam»: tre parole distintamente sottolineate, ma che formano un’unica frase, un’unica esortazione ad aprirsi alla fede. E anche la congiunzione che segue, «et», è fortemente allargata a creare l’attesa per la frase seguente: «cognosce loca clavorum». Un «et» abbondantemente sospensivo il cui fine è introdurre la disarmante dichiarazione di Gesù: «Senti il segno dei chiodi!».
Ma questo, già di per sé abbondantemente esaustivo, non è tutto. C’è molto di più. Straordinaria, per la comprensione di cosa sia realmente il canto gregoriano e di come esso viva in una fitta rete di rimandi, è, infatti, la seconda parte del brano, «et noli esse incredulus, sed fidelis».
Questa frase, tutt’altro che casualmente o per mancanza di inventiva, ha la stessa, identica melodia di «et linivit oculos meos» del communio Lutum fecit della Feria IV della IV settimana di Quaresima che narra l’episodio del cieco nato.
È una delle più sorprendenti operazioni retoriche del quaresimale e pasquale: due brani apparentemente distinti fra loro sono, in realtà, fortemente collegati tra loro da una stessa medesima melodia. Ed è chiaro che l’intento allusivo del compositore gregoriano è squisitamente teologico: mettere in relazione e rimandare tra di loro i due brani in quanto appartenenti ad un unico “argomento”, la fede.
Ecco, il gregoriano non è una semplice antologia di canti, ma è l’immagine sonora del “corpo” paolino nel quale ogni brano, ogni membra, vive solamente in funzione e nella proiezione di un altro e al servizio dell’intero corpo.
Mattia Rossi - Fonte
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