Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 19 aprile 2016

Don Curzio Nitoglia. Il succo dell'Apocalisse /5

IL SUCCO DELL’APOCALISSE
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Capitolo XVIII (1-24)

Questo capitolo è interamente dedicato alla descrizione della caduta di Babilonia, che rappresenta il regno dell’Anticristo. Essa era già stata annunziata (cfr. capitoli XIV, XVI e XVII), ma ora è descritta in maniera tragica, con uno stile vivo, che ha molti tratti comuni con le profezie di Isaia, di Geremia e di Ezechiele.

Babilonia presentata come “la grande prostituta” nel capitolo XVII, ora crolla miseramente. Questo suo castigo  non è narrato direttamente, ma è proclamato e commentato con lamentazioni secondo uno schema usato dai Profeti dell’Antico Testamento (A. Romeo).

“Vidi un altro angelo, che scendeva dal cielo ed aveva gran potere” (v. 1). È un angelo diverso da quello del capitolo XVII, ha un potere enorme ed è molto elevato nella gerarchia celeste (“scende dal cielo”) perché deve cooperare con Cristo ad abbattere “Babilonia la grande”, che è il regno dell’Anticristo.

L’angelo grida forte: “è caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata abitazione dei demoni” (v. 2); della grande città non resta nulla di umano, di presentabile, essa è ridotta ad un deserto non abitabile da uomo ma infestato solo da demoni. Da ciò si arguisce la certezza della vittoria di Cristo e della sconfitta dell’Anticristo poiché l’Apostolo usa il passato profetico ed inoltre descrive la situazione di desolazione estrema in cui viene ridotto il regno anticristico simboleggiato da Babilonia la grande, la quale non solo è caduta, ma è ripiena di spiriti maligni.

“Poiché tutte le genti bevettero del vino dell’ira della sua fornicazione” (v. 3), ossia l’Anticristo ha ubriacato e pervertito la maggior parte degli uomini e così ha attirato su di essi  la collera di Dio poiché li ha spinti all’idolatria simboleggiata dal vino, che inebria e porta alla fornicazione spirituale e carnale. In breve, la maggior parte degli uomini si son lasciati trascinare all’idolatria e all’infedeltà, con i conseguenti disordini morali, da Babilonia e si son ubriacati (col vino della fornicazione di Babilonia) abbandonandosi ad ogni errore dogmatico e vizio morale.

“E i re della terra fornicarono con essa” (v. 3): non solo la gente comune, ma i capi delle nazioni si son lasciati adescare dall’Anticristo e son caduti nell’idolatria. Inoltre “i mercanti della terra si sono arricchiti dell’abbondanza delle sue delizie” (v. 3), vale a dire “l’eccesso del lusso” (così il testo greco) di Babilonia ha corrotto molti uomini tra i quali spiccano i mercanti. Infatti i mercanti in greco designano gli affaristi che commerciano all’ingrosso, viaggiano per terra e per mare importando e esportando (A. Romeo).

L’Apostolo ode una «voce dal cielo che dice: “Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe. Poiché i suoi peccati sono arrivati sino al cielo e il Signore si è ricordato delle sue iniquità”» (v. 4), vale a dire una voce celeste (di un angelo, di Cristo o di Dio) ordina ai buoni  e ai fedeli (“popolo mio”[1]) di fuggire da Babilonia poiché sta per scatenarsi sopra di essa tutto il peso della collera divina. Quindi occorre fuggire da Babilonia per non aver parte alle sue malefatte e poi al suo castigo. È chiara l’analogia con l’invito rivolto a Lot e alla sua famiglia di fuggire da Sodoma (Gen., XIX, 15) per evitare il suo peccato (sodomia) e scampare dal castigo del cielo. Infatti il peccato di Sodoma e quelli (idolatria e lussuria) della gran Babilonia (il regno dell’Anticristo) gridano al cielo, Dio ne è sommamente irritato e vengono puniti già su questa terra oltre che nell’aldilà.

S. Agostino interpreta questo invito di Dio non solo fisicamente, ma anche spiritualmente, nel senso di uscire dalla città materiale di questo mondo con la fede e la preghiera per unirsi a Dio (De Civ. Dei, XVIII, 18).

Il Signore indirizza i suoi ordini tremendi agli angeli del castigo ed anche ai santi che son stati perseguitati e che giudicheranno il mondo assieme a Gesù: “Rendete a lei secondo quello che lei ha reso a voi” (v. 6); ossia il male e le persecuzioni che Babilonia ha inflitto ai santi debbono essere giudicate e castigate nel Giudizio particolare e universale. La giustizia divina esige inesorabilmente l’equivalenza tra il castigo e il delitto: “Rendetele secondo quello che lei ha reso a voi”. L’Apostolo aggiunge: “anzi datele il doppio secondo le opere sue” (v. 6), ciò non significa che si deve dare il doppio della pena meritata, sarebbe contrario alla giustizia, vuol significare soltanto che bisogna castigare abbondantemente e severamente (il doppio) il male che Babilonia ha fatto soffrire ai giusti.

Infatti al versetto 7 il veggente di Patmos scrive: “Quanto si glorificò e visse nei piaceri, altrettanto datele di tormento e di lutto”, ossia tanto quanto, né più né meno. Babilonia è orgogliosa di sé, si è gloriata, anzi come il mondo contemporaneo si è auto-deificata, rifiutando ogni dipendenza dal Signore.  Quindi va tormentata e punita; inoltre è lussuriosa ed anche questo suo vizio va punito con giustizia tramite dolori fisici.  Babilonia, prosegue l’Apostolo, dice in cuor suo: “Siedo regina e non sono vedova e non vedrò lutto”, vale a dire la gran prostituta vorrebbe usurpare il trono di Dio (“siedo regina”), rivendica il suo ruolo di artefice principale dell’agire anticristico e presume di essere sempre vincitrice e sostenuta dai re della terra: “non sono vedova” e infine pensa di non dover mai venir meno: “non vedrò lutto” (v. 7) quasi fosse Dio eterno.

Allora l’Apostolo profetizza: “Per questo motivo in uno stesso giorno verranno le sue piaghe: la morte, il lutto, la fame e sarà arsa col fuoco, perché forte è Dio che la giudicherà” (v. 8), cioè all’improvviso e tutto d’un colpo (“in uno stesso giorno”) Babilonia sarà castigata: i re che la sostengono o saranno sconfitti o l’abbandoneranno (vedovanza), ed essa sarà vinta e distrutta (lutto). Questi castighi sono inevitabili perché il suo giudice è Dio, che è forte o onnipotente e la raggiungerà come e quando vorrà.

“E piangeranno e saranno nel dolore per lei i re della terra, i quali fornicarono con essa e vissero nei piaceri, quando vedranno il fumo del suo incendio” (v. 9). I re, che profittavano del fastoso vivere della gran meretrice,  piangono la disfatta di Babilonia che sarà consumata da un gran fuoco divoratore. Tuttavia pur piangendola se ne stanno lontani  per paura di dover soffrire il suo stesso tormento: «Stando da lontano per paura dei suoi tormenti, dicendo: “Ahi, ahi, Babilonia la grande, la città forte, in un attimo è venuto il tuo giudizio”».  Non solo essi guardano la sua rovina da lontano, ma, pur avendo avuto parte ai sui vizi e alle sue abominazioni, ripetono il lamento di raccapriccio “ahi!” per il giudizio e il castigo improvviso con cui Dio l’ha colpita.

Babilonia appare avvolta da un incendio. Il fuoco e il fumo sono lo strumento comune di cui si serve la giustizia divina per castigare i colpevoli (cfr. la distruzione di Sodoma).

Non solo i re profittavano del loro rapporto con Babilonia, ma anche “i mercanti della terra piangeranno e gemeranno sopra di lei perché nessuno comprerà più le loro merci” (v. 11); perciò appare chiaro che il pianto dei mercanti non è disinteressato, perché non piangono solo la rovina di Babilonia, ma anche e forse soprattutto il fatto di non poter più mercanteggiare con essa ed arricchirsi sempre di più: “Il loro gemito è totalmente interessato. Il loro lucrativo commercio, in un mondo corrotto in cui tutto si compra e si vende, è cessato con la scomparsa della città” (A. Romeo). Il mondo tracotante della potenza e della ricchezza è sprofondato nel nulla come il ricco Epulone, Babilonia ha perso i suoi seguaci e i suoi alleati in un solo istante.

L’Apostolo spiega: «I mercanti che da essa son stati arricchiti se ne staranno alla larga per paura dei suoi tormenti piangendo e gemendo e diranno: “Ahi, ahi, la città grande! come in un attimo sono state ridotte al nulla tante ricchezze”» (v. 15).

Anche i naviganti (vv. 17-19) si uniscono ai mercanti e tenendosi lontani da Babilonia  ne piangono la triste sorte e la fine che ha fatto: “in un attimo è stata ridotta a nulla” (v. 19).

All’incontrario dei mondani i fedeli e i giusti si rallegrano per il castigo di Babilonia. Si noti l’analogia con la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro: chi piange su questa terra  gioisce in cielo e chi gode su questa terra piange nell’inferno. “Fedele al suo metodo stilistico delle antitesi che si accavallano sino alla conclusione felice, Giovanni contrappone alle lamentazioni dei potenti sulla loro città infranta e sulla loro grandezza materiale svanita, la gioia degli eletti che, irrisi e perseguitati dal mondo, trionfano ora sulle limacciose rovine” (A. Romeo).

Al versetto 20 si legge: “Esulta sopra di essa, o cielo, ed anche voi santi Apostoli e Profeti, perché Dio ha pronunziato la sentenza (di condanna) per voi contro di essa”: tutti i santi e i veri fedeli di Dio e di Cristo sono invitati a gioire, ma in modo speciale i Profeti e gli Apostoli, che più di tutti son stati perseguitati dalla città terrestre perciò Dio li ha difesi condannandola per le persecuzioni loro inflitte e ha reso loro giustizia punendo severamente la città persecutrice  vendicando la loro causa.

«Allora un angelo potente alzò una pietra grossa come una macina e la scagliò nel mare dicendo: “Con quest’impeto sarà scagliata Babilonia e non sarà ritrovata mai più”» (v. 21): mediante quest’azione simbolica un angelo fa capire che la caduta di Babilonia è certa, giusta e definitiva ed avverrà in maniera rapida e violenta come il lancio di un macigno. Babilonia scomparirà per sempre, la vittoria di Dio è definitiva e apre le porte della vita eterna dopo la sconfitta dell’Anticristo e la fine del mondo.

La scena è quasi un vivido dipinto: lo sforzo dell’angelo per sollevare e scagliare il macigno con tutta la sua energia. Quindi la caduta fragorosa e, dopo, il vortice delle acqua agitate, che seppellisce nell’abisso senza ritorno Babilonia. Il “mai più” è la pietra tombale posta da Dio sopra il cadavere di Babilonia, cancellata dalla terra e dalla storia a venire. “Sic transit gloria mundi!”.

Dio ha fatto giustizia infliggendo la condanna a Babilonia, per cui la  Chiesa è rimasta la sola padrona in campo senza più l’incombente pericolo della rivale persecutrice. Il giudizio di Dio ha, quindi, un duplice aspetto: la condanna inesorabile di Babilonia e la glorificazione dei giusti.

L’Apostolo, perciò, predice che ogni rumore, lavoro, festa e vita cesserà in Babilonia, la quale resterà deserta e abbandonata. “Perché a causa dei tuoi incantesimi furono sedotte tutte le nazioni” (v. 23), così Giovanni spiega il motivo del castigo di Babilonia: l’idolatria mista alla magia e alla vita viziosa sparsa dalla gran meretrice in tutte le nazioni, e profetizza il carattere universale del regno dell’Anticristo.

Gli incantesimi sono le seduzioni con cui il mondo ostile a Dio, rappresentato da Babilonia, ha portato le masse umane all’errore e al peccato.

E aggiunge: “In essa si è trovato il sangue dei Profeti, dei Santi e dei martiri” (v. 24), perché l’apostasia, l’idolatria e la lussuria hanno portato Babilonia e i suoi adepti a martirizzare i fedeli di Dio e del suo Cristo. Il delitto capitale che attira il castigo dell’ira divina su Babilonia è proprio il sangue dei martiri sparso da essa: “Nel suo disprezzo del debole, l’irresistibile forza della città terrestre o di satana (Babilonia) ha massacrato senza alcuna pietà i fedeli di Cristo. Tutto il sangue innocente sparso sulla terra grida vendetta e Babilonia pagherà l’ingiusta morte di innumerevoli uomini con la propria distruzione” (A. Romeo).
Qui termina il capitolo XVIII. Il XIX (la disfatta della bestia che sale dal mare) e il XX (la sconfitta del dragone rosso e il giudizio universale) sono già stati commentati nel 2014/2015 su questo stesso sito ove possono essere consultati [qui - qui]. Per cui la prossima puntata inizierà col capitolo XXI.
d. Curzio Nitoglia
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1. Anche se sono una minoranza rispetto a coloro che hanno apostatato son pur sempre una certa entità tanto da essere chiamati “popolo mio”.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/04/19/amoris-lætitia-la-prostituta-che-scelse-le-lacrime-invece-del-sacrilegio/

Anonimo ha detto...

In conclusione , se avessimo fede non ci faremmo tanti problemi a seguire il Verbo di Dio .

Josh ha detto...

approfitto dello spazio di Don Curzio per segnalare un altro suo post molto bello,
che ha il merito di mettere in evidenza una sottolineatura per me molto importante, che magari non salta agli occhi subito a tutti i lettori e studiosi di Sacra Scrittura:

http://doncurzionitoglia.net/2016/02/25/inri-jhwh/

Anonimo ha detto...

@ Josh

Sopra la croce di Gesù non era scritto solo INRI. Ecco il vero significato dell’iscrizione ebraica

http://www.losai.eu/inri/

Anna