Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis, approfittiamo del lavoro di uno dei tanti appassionati studiosi d'oltreoceano Per chi è completamente digiuno di latino e ha interesse a colmare questa lacuna, così diffusa nelle ultime generazioni — e purtroppo anche tra i sacerdoti —, può trovare i rudimenti indispensabili per comprendere il latino ecclesiastico e porre le basi di un maggiore approfondimento in genere favorito dalla frequentazione delle liturgia dei secoli. Un piccolo inconveniente è dato dalla taratura per lettori anglofoni; ma penso agevolmente colmabile dall'efficacia del metodo. Qui l'indice degli articoli dedicati alla Latina Lingua, per le lezioni precedenti.
Imparare il latino liturgico, lezione 20
Rorate caeli...
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La lezione di questa settimana sarà breve; immagino che molti lettori saranno impegnati a festeggiare il Ringraziamento negli Stati Uniti e potrebbero non avere il tempo o la voglia di dedicarsi a una buona dose di latino.
Tutto ciò che voglio fare oggi è dedicare un po' di tempo all'inno d'Avvento Rorate Caeli. Questo canto è uno dei più poetici e toccanti dell'intero anno liturgico, e ascoltarlo o cantarlo comprendendone le parole è così piacevole e stimolante che, di per sé, fornisce una motivazione piuttosto forte per studiare il latino liturgico. In questa lezione analizzeremo attentamente la prima strofa e vi fornirò anche un documento PDF che include una traduzione letterale riga per riga, parallela al testo latino, dell'intero inno.
[Inserisco in calce il testo e la traduzione dell'intero inno in parte usato come antifona di Avvento e il link per l'ascolto. In sostituzione del file originale ad usum lettori anglofoni. -ndT]
Ecco il ritornello, seguito dalla prima strofa:
Roráte cæli désuper,
et nubes pluant justum.
Ne irascáris Dómine,
ne ultra memíneris iniquitátis:
ecce cívitas Sancti
facta est desérta:
Sion desérta facta est,
Jerúsalem desoláta est:
domus sanctificatiónis tuæ
et glóriæ tuæ,
ubi laudavérunt te patres nostri.
Roráte cæli désuper
(“ mandate rugiada, o cieli, dall’alto”)
Rorate è un comando alla seconda persona plurale formato dal verbo rorare ("far formare la rugiada"); il comando è rivolto a cæli, che è noto come nominativo plurale di cælum ("cielo").
et nubes pluant justum ("e che le nuvole facciano piovere il Giusto")
Il soggetto qui è nubes e il verbo è pluant, una forma del congiuntivo di terza persona plurale. Il congiuntivo è usato perché chi parla sta esprimendo un desiderio o facendo una richiesta, piuttosto che affermare un fatto o impartire un comando diretto.
Ne irascáris Dómine (“non essere pieno d’ira, o Signore”)
La parola irascaris deriva da un verbo deponente; non li abbiamo ancora studiati. Ma potete individuare la parola "ire" lì, e sapete che Domine è la forma vocativa di Dominus.
ne ultra memíneris iniquitátis (“e non ricordare più la nostra iniquità”)
Memineris deriva dal verbo grammaticalmente insolito memini, ma il suffisso mem- all'inizio può indicare che il significato è legato alla memoria. La parola "nostro" è implicita ma non effettivamente presente nel testo latino. Memini può essere seguito da un sostantivo al caso genitivo, ed è questo che è iniquitatis: il genitivo singolare del sostantivo di terza declinazione iniquitas.
ecce cívitas Sancti
(“Ecco la città del Santo”)
Qui l'aggettivo sanctus ("santo") è usato come sostantivo di seconda declinazione al genitivo singolare.
Qui l'aggettivo sanctus ("santo") è usato come sostantivo di seconda declinazione al genitivo singolare.
facta est desérta (“ è diventata un deserto” o “è stata abbandonata”) Facta deriva dal verbo facere, “fare, creare”; deserta deriva dal verbo deserere, “disertare, abbandonare”.
Sion desérta facta est (“Sion è diventata un deserto” o “Sion è stata abbandonata”)
Si tratta di una riformulazione poetica dei due versi precedenti, in cui “la città del Santo” è ora identificata come Sion.
Jerusalem desolata est (“Gerusalemme è desolata”)
Questa è una riformulazione più poetica, con un altro nome per la città santa e forse anche con un'intensificazione, se interpretiamo "desolata" come più estremo di "deserta/abbandonata".
domus sanctificatiónis tuae (“la casa della tua santificazione”)
Sanctificationis è il genitivo singolare di sanctificatio, un sostantivo della terza declinazione. et glóriæ tuae (“e della tua gloria”)
ubi laudavérunt te patres nostri (“dove i nostri padri ti lodarono”)
Pur trovandosi alla fine del verso, patres nostri è il soggetto della frase; entrambe le parole sono al nominativo plurale, ma le desinenze sono molto diverse perché pater è un sostantivo di terza declinazione e noster è un aggettivo che usa le desinenze della prima e della seconda declinazione. Il complemento oggetto del verbo è te, che è la forma accusativa del pronome personale di seconda persona singolare. Infine, il verbo è laudaverunt, che deriva da laudare e si coniuga alla terza persona plurale del passato prossimo. Robert Keim, 28 novembre
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Testo dell'Inno e link per l'ascolto [qui]
| Rorate Cœli desúper, Et nubes plúant justum. Ne irascáris Dómine, ne ultra memíneris iniquitátis: Ecce cívitas Sancti facta est desérta: Sion desérta facta est: Jerúsalem desoláta est: Domus sanctificatiónis tuae et gloriae tuae, Ubi laudavérunt Te patres nostri. Rorate Cœli desúper, Et nubes plúant justum. Peccávimus et facti sumus quam immúndus nos, Et cecídimus quasi fólium univérsi: Et iniquitátes nostrae quasi ventus abstulérunt nos: Abscondísti fáciem tuam a nobis, Et allisísti nos in mánu iniquitátis nostrae. Rorate Cœli desúper, Et nubes plúant justum. Víde, Dómine, afflictiónem pópuli tui, Et mitte quem missúrus es: Emítte Agnum dominatórem terrae, De pétra desérti ad montem fíliae Sion: Ut áuferat ipse jugum captivitátis nostrae. Rorate Cœli desúper, Et nubes plúant justum. Consolámini, consolámini, pópule meus: Cito véniet salus tua: Quare moeróre consúmeris, quia innovávit te dolor? Salvábo te, noli timére, Ego énim sum Dóminus Deus túus Sánctus Israël, Redémptor túus. Rorate Cœli desúper, Et nubes plúant justum. |
Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, E le nubi piovano il Giusto. Non adirarti, o Signore, non ricordarti più dell'iniquità: Ecco che la città del Santo è divenuta deserta: Sion è divenuta deserta: Gerusalemme è desolata: La casa della tua santificazione e della tua gloria, Dove i nostri padri Ti lodarono. Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, E le nubi piovano il Giusto. Peccammo, e siamo divenuti come gli immondi, E siamo caduti tutti come foglie: E le nostre iniquità ci hanno dispersi come il vento: Hai nascosto a noi la tua faccia, E ci hai schiacciati per mano delle nostre iniquità. Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, E le nubi piovano il Giusto. Guarda, o Signore, l'afflizione del tuo popolo, E manda Colui che sei per mandare: Manda l'Agnello dominatore della terra, Dalla pietra del deserto al monte della figlia di Sion: Affinché Egli tolga il giogo della nostra schiavitú. Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, E le nubi piovano il Giusto. Consolati, consolati, o popolo mio: Presto verrà la tua salvezza: Perché ti consumi nella mestizia, mentre il dolore ti ha rinnovato? Ti salverò, non temere, Perché io sono il Signore Dio tuo, il Santo d'Israele, il tuo Redentore Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, E le nubi piovano il giusto |

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