Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 2 dicembre 2025

L'Avvento: Un Tempo di Attesa e Preparazione

Precedenti: Tempore Adventus e la seconda venuta: il bagaglio della Rivelazione presente nel Gregoriano qui

L'Avvento: Un Tempo di Attesa e Preparazione

L'Avvento, che deriva dal latino "adventus" (venuta), non è solo un conto alla rovescia per il Natale. È un periodo liturgico di profonda attesa, un'esperienza spirituale che ci prepara a cogliere il vero significato della venuta di Cristo. Non si tratta di un'attesa passiva, ma di un'attesa vigilante e attiva, ricca di speranza e desiderio.

Le due attese: storico-escatologica e mistica
I Padri della Chiesa e i teologi medievali hanno sottolineato come l'Avvento ci inviti a vivere una duplice attesa.
  • L'attesa storico-escatologica: Si riferisce alla preparazione per la venuta di Cristo in tre momenti.
    1. La venuta storica a Betlemme, di cui facciamo memoria.
    2. La venuta mistica o spirituale, che avviene ogni giorno nel cuore dei credenti attraverso la grazia e i sacramenti.
    3. La venuta escatologica alla fine dei tempi, quando Cristo tornerà in gloria per giudicare i vivi e i morti.
  • L'attesa mistica: L'Avvento è un invito a coltivare un'attesa interiore, un desiderio di accogliere Cristo nella nostra vita quotidiana. È il tempo per purificare il cuore, per convertirci e per fare spazio a Dio.
La vigilanza secondo i Padri della Chiesa
I Padri della Chiesa, come Sant'Agostino (IV-V secolo), hanno spesso insistito sulla necessità di una vigilanza costante. Egli paragona l'attesa a quella dei servi che attendono il loro padrone, sottolineando l'importanza di essere pronti in ogni momento. L'Avvento, quindi, non è solo una commemorazione, ma una chiamata a vivere ogni giorno con consapevolezza della presenza di Dio. La loro teologia dell'Avvento era strettamente legata all'escatologia e all'idea che ogni momento della nostra vita dovrebbe essere vissuto in attesa del ritorno di Cristo.

La preparazione secondo i teologi medievali
I teologi medievali, come San Bernardo di Chiaravalle (XI-XII secolo), hanno approfondito il concetto di preparazione. San Bernardo parlava di una triplice venuta di Cristo: nella carne, nello spirito e nella gloria. La venuta nello spirito è quella che avviene in noi, e l'Avvento è il tempo privilegiato per preparare il nostro cuore ad accoglierla. Questa preparazione consiste nella preghiera, nella penitenza e nelle opere di carità. Il concetto di "venuta" diventa, quindi, un'esperienza personale e interiore.

L'attesa, per questi maestri spirituali, non era solo una virtù, ma una necessità per vivere pienamente la fede. Ci insegna la pazienza, la speranza e la fiducia nel piano di Dio.

Vivere l'attesa
Oggi, in un mondo frenetico, l'Avvento ci offre la possibilità di rallentare, di riflettere e di riscoprire il valore dell'attesa. È il momento di staccarci dal rumore e dalle distrazioni del consumismo per concentrarci sulla preparazione interiore. Non si tratta di un'attesa ansiosa, ma di un'attesa piena di gioia e speranza, sapendo che "il Signore è vicino" (Fil 4,5).

Così, l'Avvento, come insegnavano i Padri e i teologi, ci invita a guardare sia al passato che al futuro, ma soprattutto a vivere il presente in preghiera, vigilanza e carità, in attesa del Signore che viene, per accoglierlo nel nostro cuore e nelle nostre vite.

Un'Attesa che Trasforma
L'Avvento, che in latino significa "venuta", è un tempo liturgico di attesa e preparazione, ma non un'attesa passiva. I Padri della Chiesa e i teologi medievali lo hanno definito un periodo di vigilanza interiore e profonda speranza, in cui ci si prepara ad accogliere non solo il ricordo della nascita di Gesù a Betlemme, ma anche la sua venuta quotidiana nel nostro cuore e il suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.

I Padri della Chiesa e la Vigilanza
I primi teologi della Chiesa vedevano l'Avvento come un'opportunità per un esame di coscienza e un rinnovamento spirituale, fondamentale per accogliere Cristo.

Giovanni Crisostomo (IV-V secolo) nelle sue omelie esortava i fedeli a prepararsi all'arrivo di Cristo attraverso la penitenza e la carità. Per lui, l'attesa non era solo un concetto teologico, ma un impegno concreto. La vera preparazione al Natale consisteva nel purificare la propria anima e nel compiere atti di misericordia, perché è in questi che si manifesta l'amore per il prossimo, la stessa essenza di Cristo che viene. L'Avvento era, quindi, un periodo di azione etica.

Sant'Agostino (IV-V secolo) collega l'Avvento al concetto di memoria. Non si tratta solo di ricordare un evento passato (la nascita di Cristo), ma di farlo in modo che quell'evento si renda presente e agisca nel nostro tempo. Egli sottolinea l'importanza della vigilanza, un'attesa costante del ritorno di Cristo alla fine dei tempi, che deve orientare ogni nostra azione. Per Agostino, ogni momento della vita è un Avvento, un tempo di preparazione per l'incontro con Dio.

Sant'Ambrogio (IV secolo) compose inni e testi liturgici per il tempo dell'Avvento. Per lui, il tema centrale era la luce. L'Avvento è il tempo in cui si attende il sorgere del "Sole di giustizia" (Cristo), che dissipa le tenebre del peccato. Questa attesa è perciò piena di gioia e di desiderio, perché è la speranza di una liberazione.

I Teologi Medievali e la Triplice Venuta
Nel Medioevo, i teologi hanno sistematizzato il concetto di attesa, arricchendolo con nuove sfumature.

San Bernardo di Chiaravalle (XI-XII secolo) ha introdotto la celebre dottrina della "triplice venuta" di Cristo, che ha plasmato l'intera teologia dell'Avvento.
  1. La venuta nella carne: la nascita storica a Betlemme.2
  2. La venuta nello spirito: l'arrivo quotidiano e silenzioso di Cristo nel cuore del credente, attraverso la grazia e l'Eucaristia.
  3. La venuta nel giudizio finale: il ritorno glorioso alla fine dei tempi.
L'Avvento, per Bernardo, è il tempo per concentrarsi in particolare sulla seconda venuta, quella interiore, preparando l'anima a fare spazio a Cristo.

San Tommaso d'Aquino (XIII secolo) inquadra l'Avvento in una prospettiva filosofica e teologica completa. Nei suoi scritti, egli considera la venuta di Cristo come il culmine della storia della salvezza e come la fonte di ogni grazia. L'Avvento è il tempo in cui si medita su questa venuta, affinché il credente si disponga a ricevere il dono della grazia divina. Egli sottolinea come la fede, la speranza e la carità siano le virtù teologali che, in questo tempo, vengono perfezionate, permettendo all'anima di elevarsi verso Dio in attesa del suo arrivo.

Le esortazioni di questi grandi pensatori non sono cambiate. L'Avvento, anche per noi, non è un'attesa nostalgica di qualcosa che è già accaduto, ma un'attesa attiva e vigilante per il Cristo che viene, in ogni momento della nostra vita. È il tempo di coltivare la pazienza, la speranza e la carità, preparandoci a un incontro che può trasformare ogni giorno in un nuovo inizio.

3 commenti:

Mala tempora! ha detto...

Noi aspettiamo il Signore; ma costoro?

La Nato potrebbe compiere ai danni della Russia una aggressione preventiva. Lo ha recentemente dichiarato al "Financial Times" l'ammiraglio Cavo Dragone. Proprio ora che sembrava si fosse trovato un possibile accordo tra Stati Uniti e Russia in relazione alla guerra d'Ucraina, la Nato ammette candidamente la possibilità di una guerra preventiva contro la Russia: la guerra preventiva risulta oltretutto uno degli strumenti bellici più infami, mediante il quale si finge di intraprendere un'azione difensiva nell'atto stesso con cui si aggredisce un altro Stato, giudicato pericoloso e in procinto di aggredire a propria volta. In maniera classicamente orwelliana, si fa passare l'attacco per difesa. Ciò oltretutto si inquadra perfettamente nel regime discorsivo demenziale a cui ormai siamo abituati da anni, quello secondo cui la Russia di Putin si accinge a invadere l'Europa e dunque occorre riarmarsi fino ai denti e, dulcis in fundo, compiere un'aggressione preventiva ai danni della Russia stessa. In ogni caso, con l'emersione di questa sconvolgente verità appare con adamantino profilo quanto già dicevamo da tempo: e cioè che la guerra d'ucraina è in realtà la guerra che l'occidente a trazione atlantista ha dichiarato alla Russia di Putin, utilizzando l'Ucraina del guitto di Kiev e attore Nato come mero instrumentum belli. Fin dagli anni Novanta, del resto, la Nato si è indebitamente allargata negli spazi post-sovietici, mettendo a profitto la situazione prodottasi con l’ingloriosa implosione dell'Unione Sovietica e con gli ignobili interregni di Gorbaciov e Eltsin. L'obiettivo ultimo appare esso stesso chiarissimo: prendersi la Russia, normalizzarla in senso liberale e atlantista, devitalizzarne ogni velleità di sovranità e di resistenza. Sia quel che sia, deve essere chiaro che la Nato non ha a che fare in questo caso con la Serbia o con l'Iraq, ma con una potenza mondiale sovrana militarmente ed economicamente e, oltretutto, appoggiata direttamente dal dragone cinese. Come si suol dire, Putin venderà cara la pelle e la Russia difenderà fino in fondo la propria autonomia rispetto alle mire neobarbariche della libido dominandi della civiltà del dollaro. Il cupio dissolvi e la pulsione autodistruttiva dell'Occidente, anzi dell'uccidente, si manifestano ormai in forma eclatante e tragicomica.

Anonimo ha detto...

Questa mattina mi sono svegliata immersa in una nebbia così densa da sembrare un velo posato sul mondo. Ho preparato Bea per la scuola e, quando la casa è tornata silenziosa, sono entrata in cucina. Mentre la colazione prendeva forma tra le mani, ho messo in sottofondo i miei inni d’Avvento: «Vieni Gesù, Maranathà…». E in quel silenzio tenero, mentre il giorno ancora esitava a farsi luce, il mio cuore ha iniziato a pregare, lasciandosi guidare da questa attesa che chiede prima di tutto di preparare il cuore, non la casa.

All’improvviso, un pensiero mi ha attraversato con la forza di un lampo: “Come sarebbe un mondo senza Gesù? E se non fosse mai nato?”

Mi sono fermata, sorpresa da quella domanda che non avevo cercato. Ho sentito una stretta profonda, perché la risposta era immediata e dolorosa: saremmo perduti. Terribilmente, irrimediabilmente perduti. Senza una luce capace di squarciare la notte, senza una presenza che chiama per nome, senza un amore che scende fin nel nostro buio per riportarci alla vita. E in quel momento mi è venuto un pensiero limpido, quasi triste: quanti vivono proprio così.

Quanti camminano nella nebbia dei propri giorni, cercando una luce che non trovano, rincorrendo pace e senso in luoghi dove non potrà mai nascere. Quanti, pur vivendo dopo la Sua venuta, vivono come se Gesù non fosse mai nato, come se la Buona Notizia non fosse mai arrivata.

Questo pensiero, paradossalmente, ha portato luce. Ha illuminato il mio cuore più di qualsiasi raggio di sole. Mi ha ricordato quanto Gesù sia essenziale nella mia vita, quanto tutto sarebbe vuoto senza di Lui. Senza di Lui le mie gioie sarebbero più fragili, le mie fatiche più pesanti, i miei giorni di nebbia più opachi. Senza di Lui l’amore sarebbe povero, la speranza breve, e la vita un cammino senza direzione.

Con Lui, invece, tutto cambia. Anche la nebbia di stamattina diventa segno dell’Avvento: un mondo che attende la Luce, un cuore che si apre, un raggio che promette di arrivare. E allora, in questo Avvento, con la semplicità di una preghiera sussurrata al mattino, ripeto: «Vieni, Gesù. Vieni nelle mie attese, nelle mie paure, nei miei silenzi. Vieni a fare nuove tutte le cose».

Perché solo con Te la vita si colma, solo con Te anche i giorni più grigi si trasformano in promessa. Solo con Te possiamo dire, con certezza, che la luce è già in cammino verso di noi.
Maranathà.
Zarish Imelda Neno

Catholicus.2 ha detto...

Dio non è la formula magica, segreta e nascosta, che solo alcuni arrivano a pronunciare, non è il punto d’arrivo di difficili e alti pensieri. Dio non lo si conquista e non lo si scopre. È tutta questione di sguardo e di ascolto.
Dio si rivela nella semplice presenza dell’incarnazione.
Dio è mistero semplice, che si presenta alla soglia del cuore che attende, è dono che la carne del Figlio manifesta e rivela a chi umilmente sa accoglierlo, è presenza che spiazza e mette in crisi i pensieri alti di chi immagina cosa debba essere un Dio.
Sono i piccoli a conoscere Dio, a vederlo all’opera nella storia del mondo, a riconoscerlo e a chiamarlo per nome lì dove sembra nascosto a quelli che hanno il cuore presuntuoso e saccente.
E ancora oggi è beato chi ha occhi per vedere ciò che la carne del Figlio rivela, è beato chi ha orecchi per ascoltare ciò che la parola del Figlio mostra.
È beato chi sa tacere davanti al mistero e rallegrarsi per un Padre che si dona a coloro che hanno cuore e mente liberi e umili e sanno accogliere il dono più vero e più grande, l’umile carne del Figlio che racconta e narra la grandezza di un Dio che ci chiede di riscoprire, con umile amore, che non è Dio ciò che pensiamo, ma è Dio il dono umile e povero che accogliamo e custodiamo nell’ordinario e feriale cammino del vivere.