Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 29 ottobre 2021

Il “costo” delle cure terminali e l’eutanasia. Osservazioni di biopolitica. Di Stefano Martinolli

Vedi, per approfondire, precedente: La tanatocrazia plutocratica efficentista e pragmatista diventa misura della persona post umanesimo anti metafisico [qui] e indice articoli su transumanesimo e realtà distopica.

Ho letto recentemente alcune lettere, pubblicate su siti online e su alcuni quotidiani italiani, scritte da persone comuni affette da malattie oncologiche avanzate o croniche irreversibili. Tutti raccontavano la loro storia clinica, le loro speranze, il loro desiderio di combattere, i loro dubbi e le loro «cadute». In particolare mi ha colpito un paziente milanese, malato di carcinoma polmonare metastatico in attesa di chemioterapia, che ha osservato, stampato sul foglio per il ritiro del referto della TAC, il costo che la Regione Lombardia aveva sostenuto per quell’esame. Nel 2011 una Delibera della Giunta Regionale aveva infatti inserito tale comunicazione a tutti i cittadini che avrebbero utilizzato il ricovero o le prestazioni ambulatoriali. La questione è giunta fino al Ministero della Salute il cui ministro ha chiesto ufficialmente al Comitato Nazionale di Bioetica di esprimere un parere. Il Comitato ha elaborato così un documento intitolato «Sulla comunicazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale ai pazienti dei costi delle prestazioni sanitarie» (28 settembre 2012) che in realtà è sceso ad un compromesso: in alcuni casi il costo sostenuto va comunicato eventualmente, in altri obbligatoriamente. Il Comitato ha comunque concluso raccomandando di evitare forme di colpevolizzazione e di discriminazione dei malati, rispettando in particolare la riservatezza dei loro dati clinici.

In questi giorni si sta discutendo sull’approvazione di un testo unico sull’eutanasia e suicidio assistito e sul referendum relativo all’eutanasia. Sorgerebbe allora spontanea una domanda: «conviene» allo Stato dare assistenza a malati gravi, terminali oncologici o affetti da malattie croniche irreversibili? A fronte del miglioramento delle tecniche terapeutiche, dell’allungamento della speranza di vita, dell’invecchiamento della popolazione e pertanto della richiesta crescente di trattamenti medici prolungati e costosi, si contrappongono la limitatezza delle risorse economiche e i protocolli sanitari orientati a una riduzione degli sprechi e delle spese ritenute non giustificate.

Da un’analisi approfondita della Sanità italiana e internazionale, specie dopo la pandemia COVID19, sembra farsi strada un modello di riferimento che in bioetica viene chiamato «pragmatismo utilitaristico». In esso sembrano prevalere i criteri economicistici gestionali su quelli sociali, civili o politici. L’utilitarismo (Jeremy Bentham, John Stuart Mill) sostiene infatti la necessità di «minimizzare il dolore», esaltando solo la felicità (happiness) o l’utilità (utility) intese come prevalenza netta del piacere sulla sofferenza. Altri autori ritengono che l’utilitarismo ormai sia talmente entrato nella società da condizionare i vecchi concetti di «bene comune» e «interesse pubblico». Questo ha portato al pensiero contemporaneo in cui il bene «salute» e il valore «vita» sono obbligatoriamente posti in relazione al rapporto costo/beneficio, valori peraltro difficilmente correlabili perché chiaramente disomogenei.

Dal punto di vista del malato, comunque, nulla dovrebbe cambiare in termini di titolarità del diritto alla salute (diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione Italiana), come nulla dovrebbe modificarsi nel rapporto con gli operatori sanitari, nell’ambito dell’alleanza di «cura». Il medico in particolare, in queste nuove dinamiche, ricopre un ruolo delicato: è un «doppio agente», deve cioè svolgere una funzione di diagnosi e cura a favore del paziente ma nel contempo deve valutare l’impiego di prestazioni necessarie, più utili e congrue dal punto di vista della spesa sanitaria. Il suo ruolo, dicevo, è delicato perché vi è il serio rischio di sollecitazioni a favore di decisioni di tipo economicistico. Non si può negare poi che, dopo l’aziendalizzazione della Sanità Pubblica, siano spesso prevalse considerazioni economiche in merito alla sostenibilità della spesa di ogni singola realtà locale (vedi i DRG). In quest’ottica, si sono sviluppate tecniche di valutazione (analisi costi/beneficio, costi/efficacia o costi/utilità) che sono state utilizzate come indicatori per misurare la salute prodotta con un determinato intervento sanitario. In pratica si è cercato di quantificare gli anni di vita aggiuntivi o guadagnati, però aggiustati, per la qualità della vita (QALYS: Quality Adiusted Life Years).

«Sfortunatamente», il concetto di qualità della vita resta ancora oggi un oggetto misterioso, di cui tutti parlano ma di cui nessuno è riuscito a dare una definizione e quantificazione univoca. Pertanto non è possibile rispondere con chiarezza alle seguenti domande: ogni terapia, specie quella oncologica, migliora la sopravvivenza e/o la qualità di vita? Entrambe o solo una della due? E quali dei due aspetti è meglio privilegiare? Nel 2011 la rivista Lancet Oncology aveva pubblicato un lavoro con le seguenti dichiarazioni: «molte terapie non devono essere praticate ai malati terminali perché danno una falsa speranza». Gli autori poi si soffermano sulla questione dei costi sanitari, ricordando che le terapie oncologiche «avvengono nelle ultime settimane e mesi di vita» risultando «non solo inutili ma anche contrarie agli obiettivi e alle preferenze di molti pazienti e famiglie se fossero state adeguatamente informate». Secondo la prestigiosa rivista, pertanto molti tentativi di cura sarebbero «futili» e sarebbe meglio rinunciare in partenza a trattare i casi gravi. Peccato però che esistano numerosi protocolli – specie nel campo della chemioterapia – che arruolano pazienti con malattie neoplastiche avanzate e che, al di là dei risultati non sempre positivi, hanno permesso di conoscere meglio il comportamento biologico di moltissimi tumori e conseguentemente di sviluppare schemi terapeutici sempre più efficaci in tutte le fasi di malattia, specie quelle iniziali. Del resto, è questa l’impostazione etica della medicina: osservare i fenomeni, analizzarli, passare attraverso tentativi di cura, senza lasciarsi scoraggiare dagli eventuali fallimenti.

Le leggi che favoriscono l’eutanasia e il suicidio assistito non solo uccidono l’uomo con la sua malattia, ma anche e soprattutto la ricerca scientifica, promuovendo quella che si può configurare come «abbandono terapeutico». Chi ci garantisce che, una volta approvate, le risorse finanziarie destinate ai malati oncologici non vengano utilizzate per altro, creando pertanto proprio quella discriminazione che quelle leggi dicono di volere combattere?

Non dimentichiamo che lo scorso anno, in piena pandemia, la SIAARTI (Società degli anestesisti e rianimatori italiani) ha presentato un documento in cui si proponeva, di fronte alla limitatezza delle risorse, di scegliere quali malati di COVID curare e quali «non trattare», specie per quanto riguardava l’ingresso nelle Terapie Intensive. Il criterio era molto semplice: valutare gli anni di vita residua. Siamo tutti d’accordo che queste scelte siano molto difficili e delicate, ma l’impostazione degli autori è chiaramente pro-eutanasica e non considera i classici criteri clinico-laboratoristici che da secoli hanno guidato le decisioni mediche.

Dal punto di vista culturale, la rivendicazione del diritto alla salute personale e dell’integrità fisica rivelano, fortunatamente, un’idea ancora positiva del valore intangibile della vita umana anche nei momenti di fragilità e malattia. Purtroppo, quest’idea è sovente contaminata da una estremizzazione dei «casi limite», cioè di malati con patologie gravissime e con situazioni, appunto, estreme, pertanto non rappresentative dell’ordinarietà. Il caso raro, unico, eccezionale, deve diventare normale, creando panico, ansia e paura fra i malati. «E se capitasse a te?», È questa la domanda provocatoria che viene rivolta dai sostenitori delle leggi eutanasiche che approfittano della fragilità psico-fisica dei pazienti, insinuando che l’unica soluzione «degna» è quella di porre fine alla propria vita. Ma come sempre, la realtà non è virtuale: i malati possono anche guarire e quando questo non è possibile, è necessario fornire loro tutti i supporti medici, sociali e psicologici di cui hanno bisogno.

È necessario promuovere una prospettiva solidaristica a livello comunitario, mediante una allocazione equa delle risorse, la ricerca del bene comune attraverso il bene del singolo e viceversa, un incremento dell’assistenza a chi è più grave e malato.

San Giovanni Paolo II scrisse nel 2004: «guarire se possibile, aver cura sempre» aggiungendo che è necessario «prendersi cura di tutta la vita e della vita di tutti».
Stefano Martinolli - Fonte

13 commenti:

Catholicus ha detto...

"il mondo promette cose da poco e che durano ben poco; eppure ci si fa schiavi del mondo, con grande smania. Dio promette cose grandissime ed eterne; eppure il cuore degli uomini resta intorpidito. Per uno scarso vantaggio si percorre un lungo cammino; ma, per la vita eterna, molti a stento alzano da terra un piede" (da "L 'imitazione di Cristo")

Anonimo ha detto...

Mi ricorda gentilmente il capitolo? Grazie mille.

Anonimo ha detto...

Non so quanto sia però "divino" mantenersi in vita a tutti i costi quando il corpo ci dice basta. Sia chiaro che non ci si deve suicidare ne venire uccisi. Ma decidere di propria spontanea volontà quando è ora di far sì che la vita faccia il suo corso mi sembra la scelta più consona e meno peccaminosa: niente omicidio/suicidio, niente avidità e superbia nel voler rimanere in vita specialmente quando si è anziani. Nel passato quando non si avevano macchine che ci permettevano una degenza che facevano? È non è forse dovere dell'anziano sacrificare se stesse se necessario per salvare una vita più giovane? Che, beninteso, farà lo stesso un giorno.

Anonimo ha detto...

Cominciamo col dire che questa medicina non è la sola medicina e che questi medici non sono i soli medici. Senza sforare nella medicina omeopatica, antroposofica, cinese, indiana, che comunque hanno dimostrato di cavarsela egregiamente anche con casi gravissimi, esistono medici che praticano la medicina, quella che tutti conosciamo, con criteri diversi dai protocolli camicia di forza, Di Bella, Paolo Rossaro che è stato quello che ha curato Blondet con la vitamina C in vena e credo che sia tra i medici sospesi o radiati e altri di cui ora mi sfugge il nome. Questo è un po' come il covid 19, vaccino sì, cure domiciliari no; a casa solo vigile attesa e tachipirina per poi andare in rianimazione e lì magari schiattare. Questa medicina è diventata la lunga mano dell'industria farmaceutica e dell'alta tecnologia, se non si capisce questo è anche inutile stare a porre problematiche che hanno la loro radice solo nella prostituzione della medicina all'industria farmacologica e tecnologica. I medici oggi non sanno fare una diagnosi senza avere la dritta dalla tecnologia. Fate come vi pare. Questa medicina lavora solo con la morte, la vita neanche la conosce più e neanche con il microscopio riesce a vedere l'essere umano che ha davanti. Non si tratta di eutanasia o non eutanasia si tratta di saper fare una diagnosi di quella persona unica che si ha davanti, con quel corpo fisico, con quella biografia, con quelle forze vitali di cui dispone o non dispone ed aiutarla nel rimettersi in equilibrio. Non son medico, ho solo a schifo la medicina ideologica, che non è scienza né arte, ma è solo un ramo della superba modernità scollata dal reale e dalla vita.

mic ha detto...

Anonimo 15:21
il suo mi pare un discorso ingannevole, una sorta di affabulazione che può sembrare ragionevole ma .
Che senso ha dire che "non bisogna suicidarsi" per poi affermare "decidere di propria spontanea volontà quando è ora di far sì che la vita faccia il suo corso mi sembra la scelta più consona e meno peccaminosa"?... Se con questo intende riferirsi all'accanimento terapeutico posso essere d'accordo; ma di certo non sta a noi, di nostra volontà, interferire sul corso della vita, se non per salvaguardarla, come dono anche nella prova, quando fosse a rischio per qualunque motivo e a qualunque età. Ripeto, senza accanirci, ma ricorrendo alle cure lecite e opportune finché è possibile e poi abbandonarsi alla legge naturale che viene da Dio.
Inoltre il suo "non è forse dovere dell'anziano sacrificare se stesse se necessario per salvare una vita più giovane?" non mi torna, intanto perché non è chiaro in che termini e poi perché il valore di una vita non è commensurabile all'età... con tutto il rammarico di quando qualcuno muore nel fiore degli anni... ma c'è una 'pienezza' e una 'compiutezza' date dalla qualità del vissuto e non dal tempo...

Murmex ha detto...

Non facciamo di ogni erba un fascio: veri medici come Di Bella e omeopatia e antroposofia. Approfondiamo questi due ultimi fenomeni e rigettiamoli come non cristiani

Da weltanschauung Italia ha detto...

Ultimamente, ogni volta che ci azzardiamo a criticare qualche singolo aspetto dei vari movimenti di protesta, tra le altre, ci viene mossa una accusa particolarmente curiosa: quella di essere dei gatekeepers.
Per chi non lo sapesse, propriamente i gatekeepers sono dei giornalisti, o figure preposte all'informazione, che si occupano di filtrare le notizie presenti sul mercato, al fine di canalizzare attenzione e opinione pubblica verso sentieri decisi e prestabiliti. In pratica, dei manipolatori dell'informazione, interessati e in malafede. L'espressione è stata poi estesa, in modo più o meno improprio, anche a chi canalizza il dissenso, con mezzi politici, per instradarlo verso sentieri di normalizzazione o vicoli ciechi.
In pratica, qualcuno ci accuserebbe di voler smontare l'entusiasmo per la protesta dopo aver opportunamente fomentato il dissenso.

Prima di tutto: ribadiamo il nostro supporto incondizionato a chi manifesta dissenso, alle piazze, alle organizzazioni che in buona fede si stanno impegnando per chiedere tutela dei diritti e libertà costituzionali. Questo tuttavia non ci esime dal tentare di dare il nostro contributo costruttivo al dibattito, né di avanzare critiche laddove si ravvisino ingenuità, deviazioni o derive.

Vorremmo ripeterlo ancora una volta: noi non facciamo "informazione", non pubblichiamo notizie, non siamo giornalisti. Noi cerchiamo con i nostri mezzi di interpretare la realtà e proporre stimoli alla lettura e alla meditazione di ciò che avviene o ci circonda. Spesso, le letture che proponiamo sono scomode perchè cerchiamo di mettere in discussione e sottoporre a stress cognitivo anche patterns e punti di vista che si considerano consolidati, prima di tutto i nostri. Se ci limitassimo a fare da cassa di risonanza all'emotività condivisa questa pagina non avrebbe senso, perchè si risolverebbe nell'ennesimo spazio autoreferenziale, mentre il nostro scopo è quello di costruire un laboratorio di pensiero critico.

Detto questo, l'unico consiglio che ci sentiamo di dare è quello di fare, in merito a ciò che scriviamo, un sano esercizio di scepsi. Non assimilate semplicemente quello che si scrive: mettetelo alla prova. Accoglietelo come una provocazione, e se vi irrita, mettete alla prova anche la vostra sensibilità: può darsi che si sia andati a toccare una abitudine di pensiero o un affetto ideologico che non sapevate di possedere.
Potremmo sbagliarci, ma l'impressione che abbiamo è che chi ci accusa di gatekeeping non tema tanto che lo si voglia guidare verso sentieri prestabiliti, quanto piuttosto che lo si conduca fuori dal portone di casa, distante da comfort e tepore. Purtroppo il mondo è esterno ed estraneo alle nostre abitudini mentali e alle nostre illusioni. Cerchiamo di ricordarcelo ogni giorno: una sana dose di realismo è un ottimo correttivo alla delusione.

Anonimo ha detto...

Era già perfettamente noto allo Spinoza del Trattato teologico-politico che paura e superstizione, nel loro nesso simbiotico, sono efficacissimi metodi di governo. Al ritmo martellante dei titoli gratuitamente ansiogeni, degli articoli volutamente terroristici e delle trasmissioni televisive sfacciatamente sensazionalistiche, è alimentato dai padroni del discorso quel senso di insicurezza e di paura che, poi, il potere provvede a risolvere, chiedendo in cambio, al cittadino terrorizzato, quote di libertà e di diritti, nonché supina accettazione della riorganizzazione complessiba della società, dell’economia e della politica amministrata univocamente e autocraticamente dai gruppi dominanti.

Anonimo ha detto...

Alla base di questa folle deriva c'è la demolizione di quanto conferisce all'esistenza e alla storia un senso ultimo.
Oggi solo la vita biologica resta, da difendere a denti stretti, in uno stupido quanto inutile tentativo di strappare alla morte ancora qualche altra manciata di tempo.
Da questo derivano tutte le illogicità, tutte le menzogne tutti i paradossi cui stiamo assistendo.

Anonimo ha detto...

Eppure il signor Zuckerberg o come si chiama ha approntato il progetto Meta tramite il quale si vivranno vite parallele (se non ho letto e capito male)..

Anonimo ha detto...

30 ottobre 2021 09:46

Leggendo attentamente si capisce che l'erba non è stata raccolta in un solo fascio,infatti alcuni fasci sono stati solo citati e messi subito da parte, mentre di uno, quello conosciuto dai più sulla loro pelle, si è descritto qualche fatto noto a molti e si sono fatte considerazioni che è difficile negare se si vuol parlar di fatti che tutti conoscono:
1)dipendenza della medicina dall'industria farmaceutica e dalla alta e nano tecnologia;
2)come tutte le nostre capacità umane sono state e sempre più saranno fagocitate dalla tecnologia, così è accaduto alla maggioranza dei medici che si trovano letteralmente risucchiati entro i due giganti sopra citati, diventati quindi semplici esecutori delle informazioni e sollecitazioni che provengono da entrambi;
3)Già A.J.Cronin narrò i conflitti interiori del medico condotto che ad un certo punto si trova davanti ad un bivio: entrare nelle industria farmaceutica arricchendosi, cambiando stato sociale o restare con i suoi pazienti nel suo borgo natio.Davanti a questo bivio si son trovati tutti i medici ed i ricercatori italiani e mondiali con il covid 19 ed ognuno di noi ha visto le scelte diverse fatte da medici e ricercatori diversi, alcuni hanno scelto il potere dell'industria farmaceutica altri la loro missione di medici e ricercatori.
4)Come stiamo vedendo cristiani e cattolici non sempre hanno fatto e stanno facendo scelte coerenti con la loro fede, quindi c'è poco da rigettare a priori gli altri come se oggi dirsi cristiani cattolici fosse garanzia di coerenza. Non è tempo di spocchia è tempo di verità e di vita. Il primo dovere che abbiamo è riconoscere i nostri errori, che poi sono i soli che possiamo correggere e non sempre ci riusciamo. Ed inoltre la medicina contemporanea non ha nessun sigillo di cattolicità. E' uno dei tanti campi nei quali la chiesa si è messa al traino del mondo ed i medici santi sono quelli che hanno santificato la medicina mondana e non il contrario, cioè non è stata la medicina a santificare gli uomini che hanno curato il prossimo, ma sono stati loro che hanno santificato la medicina curando con amore soprannaturale il prossimo per amor di Dio.

Anonimo ha detto...

La vaccinazione deve diventare una prassi consolidata, una consuetudine. Si stanno "allenando" le persone a familiarizzare con il concetto di dose periodica. E quando la gente ci farà l'abitudine, sarà come rinnovare il passaporto o fare la revisione all'auto.
Siamo di fronte ad una emergenza decisa in modo del tutto arbitrario.
Oramai ti propongono con nonchalance il lockdown come unica alternativa alla tessera verde.
Capite a cosa sono servite le chiusure del 2020? A creare il precedente ricattatorio così che oggi se non sottostai alle regole grottesche decise dal potere allora minacciano di chiuderti in casa. La gente ormai è assuefatta da queste argomentazioni, quante volte sentiamo parlare in tal maniera "se continuiamo così ci rinchiudono"? È diventata un'alternativa valida e accettata.
Eppure sappiamo benissimo che le chiusure non sono una diretta conseguenza del virus, ma una decisione politica dei governi.
La logica del Green Pass è una vera e propria strategia militare. Si appaga psicologicamente un individuo, facendogli dimenticare i diritti che aveva, gli si fa credere che sia la tessera a permettergli di averli e così lo si lega allo Stato trasformandolo in un suddito.
Le piazze si stanno riempiendo di persone che questi concetti li hanno capiti, anche ieri abbiamo visto tanta gente in varie città contestare pacificamente.
Risultato?
I media parlano delle manifestazioni per il ddl Zan facendo credere che sia quella la maggioranza del paese mentre ignorano tutti gli altri che da mesi contestano, facendoli passare per una sorta di minoranza invasata.
Non solo, ci dicono anche che le manifestazioni buffe dei sindacati o quelle per il DDL Zan non hanno "contagiato" nessuno.
Quelle dei portuali a Trieste invece hanno infettato la città.
Tutto molto credibile.
Nel frattempo il governo va avanti tra gli applausi di Biden.

Anonimo ha detto...

Speranza appartiene alla Fabian Society, associazione elitaria che persegue l'instaurazione di uno stato socialista mondialista di stampo tecnocratico.
Ecco, perché sta dove non dovrebbe!