Dunque le vite umane non sono uguali davanti alla legge. Se infatti la vita umana è il bene giuridico protetto dalla norma penale, ma la pena per l' uomo che uccide una donna è più grave della pena per la donna che uccide un uomo, ne deriva, logicamente e oggettivamente, che la vita di un uomo è un bene giuridico che vale meno della vita di una donna.
Quindi viene introdotta una discriminazione di genere più grave di quella che si vuole punire. (Aloisius) Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica.
Femminicidio: un reato-simbolo
tra ipertrofia penale e deriva antiegualitaria
L’approvazione da parte del Senato della Repubblica del disegno di legge n. 1433, volto a introdurre nel Codice penale italiano il nuovo reato autonomo di femminicidio, configura l’ennesima manifestazione di un diritto penale a funzione prevalentemente simbolica, in cui la normazione non si misura più con l’esigenza di sanzionare condotte effettivamente prive di copertura giuridica, bensì con la pretesa ideologica di costruire paradigmi valoriali attraverso l’imposizione legislativa.
Il testo, che ha ricevuto voto unanime a Palazzo Madama e ora è all’esame della Camera dei Deputati, istituisce l’articolo 577-bis del Codice penale, prevedendo la pena dell’ergastolo per chi cagiona la morte di una donna «in quanto donna», ossia per ragioni connesse a discriminazione, dominio, possesso, rifiuto di instaurare o proseguire un rapporto affettivo, o come forma di limitazione della libertà individuale della vittima. A ciò si aggiungono disposizioni di natura aggravante per reati già coperti dal cosiddetto "Codice rosso" (stalking, maltrattamenti, violenza sessuale, revenge porn), misure procedurali rafforzate, obblighi di informazione, confisca obbligatoria dei beni, e la previsione di un periodo minimo di osservazione scientifica della personalità del condannato ai fini dell’accesso a benefici penitenziari.
Il disegno di legge si inserisce in una stagione normativa già ipertrofica in materia, che ha visto susseguirsi, dalla legge ordinaria dello Stato n. 119/2013 alla legge formale n. 69/2019, fino alla più recente legge n. 168/2023, una moltiplicazione di strumenti repressivi e cautelari, spesso sovrapposti o ridondanti.
Sotto il profilo costituzionale, l’impianto del provvedimento si rivela problematico per una pluralità di ragioni. Anzitutto, l’introduzione di un titolo autonomo di reato fondato sulla qualità soggettiva della vittima, in questo caso il suo essere "donna", mina alla radice il principio di eguaglianza formale sancito dall’articolo 3, comma 1, della Costituzione.
In un ordinamento che si fonda sulla pari dignità di tutti gli esseri umani e sul divieto di discriminazioni fondate sul sesso, la valorizzazione penale differenziata della medesima condotta omicidiaria a seconda della vittima finisce per reintrodurre surrettiziamente un criterio di specialità discriminatoria. La norma, sotto questo aspetto, appare in rotta di collisione con la concezione classica dello Stato di diritto, in cui la generalità della legge penale, e quindi la sua eguaglianza formale nella commisurazione delle pene, è garanzia di giustizia e non ostacolo alla tutela dei deboli.
Il diritto penale non può e non deve farsi veicolo di parzialità assiologiche fondate su identità categoriali, pena la sua trasformazione in strumento di lotta politica travestito da giustizia.
In secondo luogo, la vaghezza estrema delle formule utilizzate dal nuovo art. 577-bis, quali "atti di dominio", "odio di genere", "controllo", "prevaricazione", "possesso", tradisce un’inaccettabile indeterminatezza della fattispecie incriminatrice, in aperta violazione del principio di legalità sostanziale (art. 25, comma 2, Cost.).
L’assenza di criteri normativi chiari e verificabili nella ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato affida alla discrezionalità interpretativa del giudice un compito eccedente le garanzie di tipicità e determinatezza, consentendo una potenziale selettività ideologica nella repressione.
La norma non sanziona più, infatti, comportamenti oggettivamente definiti, bensì stati emotivi o simbolici dell’agente, ricostruiti ex post sulla base della narrativa vittimaria.
Non meno rilevante è il vulnus che tale disegno reca al principio di proporzionalità delle pene (art. 27, comma 3, Cost.). L’introduzione della pena perpetua obbligatoria per il nuovo reato, a fronte di condotte già punite con l’ergastolo in virtù delle aggravanti previste dagli artt. 576 e 577 c.p., si configura non solo come inutile duplicazione normativa, ma come sanzione potenzialmente irragionevole, priva di margini di personalizzazione e suscettibile di contrastare con il fine rieducativo della pena.
La pretesa di rafforzare la deterrenza mediante automatismi sanzionatori contrasta con la progressiva affermazione in giurisprudenza costituzionale della necessaria individualizzazione del trattamento penale (si pensi alle sentenze n. 22/2022 e n. 149/2018), in coerenza con una visione personalista del diritto punitivo.
L’uomo condannato non è solo autore di un delitto, ma è persona titolare di una dignità ontologica non negoziabile, che la Costituzione, in continuità con l’antropologia giusnaturalista classica, tutela come limite interno all’azione punitiva dello Stato.
A un livello filosofico più profondo, il disegno di legge riflette la deriva contemporanea verso un diritto penale dell’emozione, fondato non più sulla razionalità della norma, quanto sulla reattività simbolica e sul bisogno politico-mediatico di esibire risposte immediate a fenomeni tragici.
Il femminicidio, nella sua drammaticità, è elevato a categoria metafisica, a mito fondante di un nuovo ordine penale sessuato, in cui l’eguaglianza sostanziale è rovesciata in differenza giuridica e la giustizia si fa partigiana. Il legislatore abdica così alla sua funzione ordinatrice, per farsi portavoce di pulsioni culturali irriflesse, riducendo il diritto penale a strumento di narrazione ideologica.
Non è in discussione l’esigenza di contrastare con fermezza e determinazione ogni forma di violenza, soprattutto quando essa si radica in strutture relazionali disfunzionali o in culture di sopraffazione. Tuttavia, un ordinamento maturo deve distinguere tra protezione delle vittime e produzione di diritto penale diseguale. Il diritto non si costruisce sull’onda del pathos, ma nella fedeltà alla razionalità dell’ordine giuridico, che è ordine di giustizia, non di vendetta.
La Costituzione repubblicana, nonostante le sue ambiguità ermeneutiche, conserva in sé una vocazione universalistica e razionale che questo disegno di legge tradisce. In definitiva, l’istituzione di un reato autonomo di femminicidio rappresenta non solo una mossa legislativa superflua e priva di reale efficacia aggiuntiva rispetto al già vasto apparato normativo esistente, ma anche un atto profondamente problematico sul piano della coerenza costituzionale, della razionalità giuridica e della concezione stessa del diritto.
In nome di una legittima istanza di protezione si rischia di abbandonare i fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico, trasformando il diritto penale in un’arma ideologica e l’eguaglianza in privilegio rovesciato.
Daniele Trabucco
11 commenti:
Destra o sinistra....quando si tratta di fare demagogia....la musica non cambia!!
Già abbiamo scritto della diversità tra maschio e femmina che poi concerne tutti i mammiferi. Il maschio, nasce guerriero e difensore della femmina e della prole, è fisicamente più grande ed in lui più chiare ed esaltate sono le caratteristiche della razza. La femmina viceversa è più piccola e più sfumate sono le caratteristiche della razza, infatti meno è visibile e meglio è con i cuccioli al riparo dai predatori. In quanto mammiferi questo vale anche per gli esseri umani. Inoltre sappiamo che l'uomo ha un grande potenziale fisico e spirituale, mentre la donna la donna ha un grande potenziale sentimentale e vitale. Quindi hanno caratteristiche diverse, per questo Dio creò due tipi di esseri umani diversi in modo tale che potessero insieme completarsi.
Se invece di completarsi si ammazzano a vicenda, il legislatore dovrà valutare. L'uomo certamente con la sua forza può ammazzare una donna facilmente. Viceversa la donna avvelena, cioè deve usare un inganno, non può affrontare il maschio a viso aperto. Questa è la norma. Ci sono poi le eccezioni. Anni fa una giovane andò a casa di amici e ne uscì alle due di notte. Tornò a casa da sola. Ad un certo punto fu aggredita alle spalle, lei immediatamente tirò fuori il coltello e cominciò a colpire l'inguine dell'aggressore che in poco tempo si accasciò al suolo. Andò o fu portata in questura e presto rilasciata, legittima difesa suppongo. Tra me pensai che il padre prima di mandarla non accompagnata di notte le avesse bene insegnato ad usare il coltello. L'aggressore era africano. Credo che ogni omicidio abbia i suoi perché ed i suoi per come. È il legislatore che deve saper essere giusto dopo aver indagato per dritto e per rovescio.
Nel mare di lamentele che caratterizza il discorso pubblico femminile contemporaneo, spicca un termine che ho sentito circolare con crescente frequenza: eterofatalismo. Questa parola, che suona come l'ennesimo neologismo da salotto radical chic, nasconde in realtà una verità amara su quanto sia diventato tossico il rapporto tra i sessi nella nostra epoca. Ma forse, invece di inventare termini per giustificare il nostro scontento, dovremmo chiederci se non stiamo semplicemente pagando il prezzo di aver rinunciato a tutto ciò che rendeva belle le relazioni tra uomo e donna.
Quando sento parlare di eterofatalismo - questa presunta rassegnazione delle donne verso relazioni eterosessuali considerate inevitabilmente problematiche - non posso fare a meno di pensare a mia cugina, trentacinque anni, laurea, carriera, e una collezione impressionante di relazioni fallimentari alle spalle. Lei, come tante altre donne della sua generazione, ha abbracciato questa narrazione per cui ogni uomo è un potenziale oppressore, ogni rapporto una battaglia per l'emancipazione femminile, ogni differenza di ruolo sociale una disuguaglianza di genere da combattere. Ma la domanda che mi pongo è: dove le ha portate questa consapevolezza sociale tanto sbandierata? Le vedo, queste donne scontente, rifugiarsi in teorie elaborate per spiegare perché non riescono a costruire nulla di duraturo con l'altro sesso. L'eterofatalismo diventa così una comoda etichetta per mascherare quella che, a mio avviso, è una crisi profonda dell'identità femminile. Invece di accettare che forse il problema non sta negli stereotipi di genere o nella cultura patriarcale, ma nel nostro approccio fondamentalmente sbagliato alle relazioni, preferiamo inventarci nuove categorie sociologiche.
Io, invece, ho imparato una cosa che sembra ormai antiquata: un uomo ha bisogno di sentirsi amato e desiderato tanto quanto una donna. Quando mio marito torna a casa la sera, non lo accolgo con una lista di rivendicazioni o con l'ennesima lezione sui ruoli di genere. Lo guardo negli occhi come il primo giorno, gli faccio capire che sono felice di vederlo, che la mia giornata è più bella quando c'è lui. Non è sottomissione, come direbbero le teoriche del femminismo - è intelligenza femminile. È capire che un uomo che si sente apprezzato e desiderato dalla propria donna diventa migliore, semplicemente.
La verità è che molte donne oggi sono scontente non perché vittime dell'eterofatalismo, ma perché hanno dimenticato questa saggezza ancestrale. Hanno scelto la competizione invece della complementarità, la rivendicazione invece della gratitudine, l'individualismo invece dell'amore che si dona e che riceve in cambio protezione e dedizione. Quando guardo i miei quattro figli giocare mentre mio marito si occupa del giardino, non vedo oppressione ma un uomo che si sente amato e che per questo dà il meglio di sé per la sua famiglia. Ma questa, lo so bene, è considerata una posizione politicamente scorretta in tempi di critica culturale permanente.
Alice Lattanzi
Una sana testimonianza, grazie!
La pluralità dei rapporti non chiarisce confonde. Se poi in queste pluralità ci sono anche bambini...poveri figli!
Se a commettere il delitto è una donna, la norma si applica ugualmente?
I casi potrebbero essere due:
1. una moglie o compagna uccide per gelosia una donna che è l'amane del marito o del compagno.
2. Gelosia tra lesbiche: una delle due uccide l'altra perché la tradisce.
Sarebbero casi rari, cosiddetti di scuola. Eppure qualche volta sono successi.
Sembra evidente che in questo caso tutta la bardatura retorica del femminicidio
non potrebbe applicarsi.
Bene fa vedere l'articolo l'impianto sgangherato di questa norma. Un infortunio
del governo Meloni, purtroppo. Un governo che in tante cose fa bene, qui ha
toppato.
I concetti giuridici dovrebbero essere chiari e semplici. Torniamo a quello di
omicidio puro e semplice, che include ovviamente entrambi i sessi, senza inutili
e complicati orpelli, frutto di ideologie malate.
Di nuovo bisognerebbe aggiungervi la pena di morte perché l'assassinio merita la morte
come unica ricompensa. È un vulnus irredimibile dell'ordine morale stabilito da Dio. Si può solo lasciare al reo la possibilità di pentirsi prima dell'esecuzione, salvandosi in tal modo l'anima.
Gli stupratori e gli assassini di donne andrebbero giustiziati senza tanti complimenti. Ma non potrà tornare ad una vera giustizia penale una società che ammette l'aborto procurato, volontario addirittura come "diritto della donna". Non meriterebbero la morte tutte queste donne che sopprimono tranquillamente i loro bambini in fieri? E i loro complici? Non sono questi aborti omicidi?
Di fronte al persistere della natalità e alla conseguente prospettiva di estinzione del popolo italiano, Meloni e il suo governo dovrebbero trovare il coraggio di porre pubblicamente il problema dell'aborto ossia che così non si può andare avanti.
"Eterofatalismo", roba da matti...Ma chi li inventa questi termini? Alle smandrappate e sgallettate non piace il rapporto fisico col maschio? Non piace perché, se si vuole un giorno smettere di battere la cavallina bisogna pure costruirsi una relazione seria, sposarsi, fondare una famiglia...
Il che significa limitarsi, osservare dei doveri, non poter più essere come prima cioè libere di vivere come si vuole, a cominciare appunto dalla sfera affettiva o meglio sessuale, come si dice oggi.
Il fatto è che questa generazione di donne oltre al senso del pudore e della modestia sembra aver perso anche quello della maternità. Forse queste cose sono collegate. Scrisse Tacito sui costumi delle donne: amisso pudore alia non abnuerint - perso il pudore non si negheranno al resto...Invece di emanare norme senza senso come quella sul femminicidio il Governo dovrebbe costringere le donne a vestirsi in modo finalmente decente e decoroso, a smettere di fornicare e lesbicare impunemente, insomma dovrebbe usare legittimamente la forza per far loro iniziare un cammino a ritroso, quello che porta alla virtù.
Credo che siano altamente terapeutiche, in particolare per le rampanti contemporanee, queste tre verità prese dalle litanie mariane:
Virgo Potens
Virgo Clemens
Virgo Fidelis
Da meditare ogni giorno dalla adolescenza alla piena giovinezza giovinezza ed argomentare per iscritto la verità riscontrata, illustrando i pensieri con disegni, poesie , musica, secondo le proprie capacità.
Ma la televisione maestra di vita che racconta di un mondo
femminile fantastico di "storie"? E' tutto un : "ho avuto una storia con..
una storia con..ma adesso ho un'altra storia con...". Della serie : una tacca,
due tacche, tre tacche...e poi c'e' la ultima eta' e la ricerca del "compagno"
magari al ballo del centro anziani. E che ti vuoi fermare proprio adesso?
...devo stare attento a non diventare una valanga.
Non sono io a dire che è un'aggravante inutile, diversi avvocati, magistrati e giuristi lo hanno detto già alla prima proposta.
Per sommi capi:
-aggravante per i futili motivi: c'è.
-aggravante per omicidio di persona affettivamente legata: c'è.
-aggravante della "stalking": c'è.
Anzi, si viola l'articolo 3 della Costituzione: si privilegia un sesso rispetto all'altro.
Sono pure presenti dei concetti indeterminati, in violazione dei principi di "determinatezza e tipicità della norma penale", con conseguenti problemi non solo di interpretazione ma perfino di potenziale incostituzionalità. Ricordo i casi della legge 1423 del 1956, nel 1981 fu dichiarata incostituzionale la categoria dei "proclivi a delinquere" e nel 1988 la legge fu modificata eliminando quella degli "oziosi" prima che la Consulta cancellasse pure quella; se una legge è dichiarata incostituzionale decade fin dalla sua emissione o, se antecedente all'entrata in vigore della Costituzione, dal 1/1/1948: già la caduta della categoria dei "proclivi a delinquere" portò alla riabilitazione di diverse persone, quella degli oziosi sarebbe stata ancora più pesante (qualche "ozioso" dovette chiedere la riabilitazione per cessate misure fino anche dopo il 1991).
Perché non si usa un equivalente italiano di "stalking"? Il termine viene dalla caccia e dà l'idea dello "appostarsi furtivamente" per cogliere la preda. In pratica, è una forma di persecuzione, condotta in modo prevalentemente obliquo, sì da mettere in ansia e terrorizzare la vittima. Stalking si potrebbe rendere con "atti persecutori", dato che si tratta di una persecuzione individuale, posta in essere con tutta una serie di comportamenti ben noti.
Il vocabolo dà luogo ad orribili neologismi dovuti alla sua "italianizzazione".
G.
Comunque benissimo cercare e trovare vocaboli italiani appropriati. Non se ne può più con questi anglismi.
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