Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 14 marzo 2020

Manca una risposta spirituale al contagio

C’è una dieta spirituale da osservare in questi giorni d’incubo e d’incubazione? Non mi è parso di leggere o di ascoltare da nessuna parte riflessioni, consigli, terapie che avessero a cuore l’anima delle persone e che ponessero la questione virale dal punto di vista “spirituale”. Parola desueta, intrusa, se non estinta nel nostro lessico quotidiano. Eppure mai come in questo caso necessaria perché laddove tornano in gioco la vita e la morte, la vecchiaia e la malattia, la solitudine e la solidarietà, torna l’urgenza di una preparazione spirituale agli eventi e alla nostra vita. E invece, il massimo ambito interiore lambito in questi giorni è materia di psicologi, psicanalisti e psichiatri. Viene medicalizzata pure la coscienza, ospedalizzata anche l’anima.

È forse la prima volta che davanti al contagio appare del tutto assente la Chiesa e irrilevante la religione; in ogni evenienza tragica del passato la religione cristiana è sempre stata il rifugio, il conforto, l’invocazione e perfino l’esorcismo per fronteggiare il male o disporsi al rischio mortale. Questa volta è come se si fosse ritirata dal mondo per non contribuire a spargere il virus, come se avesse chiuso i battenti per ragioni di profilassi medica e precauzione sanitaria. L’unico messaggio che giunge dalla Chiesa è infatti non celebrare messa, allinearsi alle disposizioni governative, chiudere le chiese per responsabilità civile e umanitaria; la sua unica funzione comunitaria è quella di non accrescere i rischi di contaminazione. E dunque arretrare, auto-sospendersi, tacere, inviare solo sommessi messaggi televisivi. Intendiamoci, nessuno pensa che i sacerdoti debbano sostituire i medici e affidarsi alle preghiere sia meglio che affidarsi alle strutture sanitarie. Ma non c’è mai stata un’assenza così totale del riferimento religioso davanti all’emergenza del contagio. La Chiesa aveva sempre svolto un ruolo primario in questi frangenti; e proprio la Chiesa come “ospedale da campo” e “soccorso umanitario” è totalmente chiusa in se stessa e inerte.

Ma la dieta spirituale a cui facevo riferimento non è solo di natura religiosa e confessionale; certo, non può eludere il ruolo della fede, della preghiera e della liturgia ma spirituale allude a una visione della vita, a un rapporto tra i fatti e la nostra interiorità, la relazione tra anima e corpo, il senso della vita e della morte. Come si può rispondere sul piano spirituale a questa situazione? Provo a soffermarmi in particolare su tre ambiti, tre livelli spirituali di risposta.

Il primo è non lasciarsi assorbire dal contagio, non vivere dentro il suo incubo, non ridursi al rango di degenti, sottrarsi al talk-show permanente e ossessivo intorno al virus. È il messaggio accorato, e assai frainteso, che cercai di dare la scorsa settimana: non uno stupido fregarsene delle precauzioni e della profilassi sottovalutando il pericolo ma rispettiamo quelle norme e quei divieti, però poi non viviamo dentro questo Virality show, non facciamolo diventare il pensiero dominante, come ci inducono a fare i media. Pensare ad altro, vivere d’altro. Parliamo d’altro per favore, e non sembri assurdo che lo sostenga in un articolo dedicato proprio a quel tema; personalmente sto provando a leggere, pensare, scrivere altro che non sia sempre e solo il discorso sul virus. È la prima forma di reazione spirituale: non finire dentro l’ossessione del virus, non fare il suo gioco, alzare lo sguardo, dedicare la propria mente e la propria attenzione ad altri ambiti, compatibili con la situazione e i limiti sanitari imposti.

La seconda risposta spirituale è riattivare quelle energie e quei mondi che abbiamo atrofizzato nell’indaffarato scorrere dei giorni. Se non vuoi vivere agli arresti domiciliari del presente hai la possibilità di aprirti ad altri mondi che sono il passato, il futuro, l’eterno, il favoloso. Riprendere a fare i conti con la memoria, la storia e i suoi eventi, le aspettative e i progetti, il senso delle cose che durano. Lo descrivevo nel mio libro Dispera bene ma non pensavo che quell’esortazione e consolazione dovesse diventare d’un tratto così urgente e necessaria. Mi riferivo alle macchine del tempo che ci permettono di evadere dalla prigione del presente e tra queste, oltre le arti, i miti, i pensieri, la musica e i ricordi, mi riferivo alla preghiera, al di là della pratica confessionale, come un esercizio di attenzione, concentrazione e collegamento con energie spirituali superiori; restituisce un disegno compiuto alla vita. Riprendiamo il filo d’oro dell’amore come nostalgia e lontananza, pathos della distanza. Riempiamo gli spazi vuoti a cui ci costringe l’inerzia forzata di questi giorni, per non finire preda della psicosi o della paranoia per la segregazione prolungata.

Il terzo livello più delicato riguarda il nostro rapporto con la vita e con la morte. Lo eludiamo da tempo, non guardiamo più in faccia la morte; e invece occasioni come questa ci ricordano che il nostro problema non è la solita fragilità psicologica, come si ripete ogni giorno, ma è accettare il nostro limite e la nostra finitudine, prevedere l’appuntamento senza scampo. Dobbiamo rielaborare il rapporto con la morte, riuscire a concepire la nostra scomparsa, sforzarsi di pensare che il mondo non cominciò con noi e non finirà con noi, l’essere sopravanza l’esistere. Acquistare dalla disperazione una fiducia ulteriore che è amor fati e abbandono fiducioso alla sorte, dopo aver fatto tutto quel che potevamo per disporla verso il meglio.

Non sono rimedi, tantomeno soluzioni, ma piccole ed enormi svolte per guardare la realtà con altri occhi. E chi le indica non ha raggiunto la saggezza, tantomeno la sapienza, ma è ancora immerso con voi nelle contraddizioni, paure e insofferenze per quanto accade. Però è necessario rianimare la propria vita spirituale per rispondere alla situazione, senza esserne succubi o spenti dalla noia e dal terrore. Cominciate provando a pronunciare la parola spirituale…
Marcello Veneziani, La Verità 10 marzo 2020

21 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli ultimi 8 minuti sono esemplari.
La matrigna... e gli idoli. C'è il peccato originale.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=150&v=171uE3rqCug
E il piano di Satana è di mettere qualcun altro al posto di Dio.

Claudio Gazzoli ha detto...

si.... ma a noi "la preghiera, al di là della pratica confessionale, come un esercizio di attenzione, concentrazione e collegamento con energie spirituali superiori" non ci interessa, non ci interessa il manrtra..., non ci riguarda un futuro ed un eterno indeterminato, a noi interessa solo l'adesione completa a Gesù, l'aspirazione verso l'umile e faticosa condivisione della sua passione.

mic ha detto...

Scrive il mio Parroco:
"Stamattina abbiamo riaperto la chiesa così come previsto dal decreto di ieri del vicariato, niente celebrazioni con i fedeli, solo preghiera personale. Tutti a debita distanza, cenni di saluto, sorrisi dietro le mascherine e pulizia continua di banchi, maniglie e tutto quello che eventualmente potrebbe essere toccato dalle persone. Dalle 9 la presenza di persone in preghiera è costante, approfittando della spesa, tanti sono passati a pregare un po'... Meglio così, la chiusura aveva dato un senso di sconforto generale... Il virus si combatte anche in questo modo."

Ne sono felice perché almeno ci permette di sostare in adorazione davanti al Tabernacolo

Ireneo ha detto...

Avvicinare le persone ad argomenti spirituali era negli ultimi tempi veramente difficile, si faceva una enorme fatica, questo virus, che ci ha fatto precipitare in una situazione di deprivazione simile ad una guerra, con latenti minacce alla nostra integrità fisica, forse forse riuscirà ad aprire gli occhi a tante persone così immerse nel fatuo mondo digitale e materialistico, soprattutto ragazzi e giovani che erano ormai totalmente indifferenti nella loro grandissima maggioranza ad ogni religiosità. Dio scrive dritto anche nelle righe storte e se permette un male è sempre per un maggior bene, ci avverte la dottrina cattolica perenne. Se guariremo dall'infantilismo, che non è ritorno alla nostra infanzia - quanto ne acquisteremmo in purezza - ma rimozione della dimensione tragica della vita, del dramma cosmico di cui siamo parte, questo virus ci avrà corazzato dal nemico che ci stava ormai succhiando completamente l'anima e le sue aspirazioni più nobili.

Anonimo ha detto...

Molte volte ho scritto per invitare a valutare la “consistenza” di parole opere e omissioni dei bergogliani, ritenendo che fossero di una miseria intellettuale e morale tali da non poter essere considerate materia di analisi. Andavano e vanno considerate (fantozzianamente) una cagata pazzesca. Accettandone la dignità ci si mette al loro livello.

La vicenda della chiusura/riapertura delle chiese di Roma dovrebbe finalmente aprire gli occhi.

O forse siamo tutti a quel livello.

L’unica cosa pericolosa sono gli atti politici ( accordo con la Cina in primis) sui quali la sensibilità è piuttosto labile (infatti nessuno chiede la pubblicazione del famoso accordo segreto).

Cordiali saluti
Paolo Montagnese

Anonimo ha detto...

Ma se molti pastori della neochiesa sono cresciuti in seminari senza fede, hanno studiato una teologia fatta solo di sociologia, leggono documenti in vuoto ecclesialese, come possono trasmettere agli altri ciò di cui essi sono privi? Ecco i frutti pessimi del Concilio Vaticano II e dello spirito postconciliare!

Anonimo ha detto...

Eccola una risposta spirituale al contagio:

https://fsspx.it/it/news-events/news/lettera-del-superiore-generale-ai-fedeli-ditalia-56002

Anonimo ha detto...

si.... ma a noi "la preghiera, al di là della pratica confessionale, come un esercizio di attenzione, concentrazione e collegamento con energie spirituali superiori" non ci interessa, non ci interessa il mantra..., non ci riguarda un futuro ed un eterno indeterminato, a noi interessa solo l'adesione completa a Gesù, l'aspirazione verso l'umile e faticosa condivisione della sua passione.
Claudio Gazzoli

Anonimo ha detto...

grazie di cuore a Don Davide e a chi ha postato il link con la lettera.

mic ha detto...

C'è anche un intervento del Distretto italiano, che pubblicherò domani per non affastellare le comunicazioni.

Anonimo ha detto...

La società che abbiamo costruita ed abbiamo lasciato costruire intorno a noi è proprio volta al 'nun me ce fa' pensa'!'. Questo è un altro nodo che il virus sta portando al pettine. Se la maggioranza delle persone avesse voltato le spalle da subito al 'nun me ce fa' pensa'!' ora molti penserebbero e bene, intorno alla loro vita, intorno alla vita ecclesiale, intorno alla vita politica, intorno alla vita sociale, intorno al necessario e al superfluo, intorno al vero e al falso, intorno alla vita e alla morte.
L'egemonia culturale si è saldata col 'nun me ce fa' pensa!' finendo col 'pensacce lei' a tutto, ad ogni cosa, avocando a sé tutte le scelte che avremmo dovuto fare in prima persona. Piano piano ha ribaltato il mondo, quello che era male è diventato bene, quello che era superfluo è diventato necessario, quello che era falso è diventato vero, quella che era morte è diventata vita vissuta. Ribaltamento Ipocrita, questa è stata la sostanza della egemonia, nella quale viviamo da settanta anni. E' stata un'egemonia falsa e bugiarda, alla quale non abbiamo voluto pensare, lasciando a lei, tanto intelligente, di pensare per noi. Anche la chiesa ha preferito lasciare ad altri, più aggiornati di lei, di pensare e scegliere in sua vece. Ed ora siamo in un vuoto di pensiero che si perde in un bicchier d'acqua.

Anonimo ha detto...

http://blog.messainlatino.it/2020/03/pubblichiamo-un-messaggio-del.html?m=1

E si potrebbe continuare.. ha detto...

Molte volte ho iniziato la devozione dei primi cinque sabati ed altrettante non ho potuto completarli perche' non sempre ero libera per andare alla Messa della mattina . Nel tardo pomeriggio del sabato gia' non e' piu' sabato perche' si celebra la Messa della Domenica per agevolare..agevolare. Ma basta! Facciamo i sacrifici , ma poi quali sacrifici quelli di dare al Signore il culto del Suo giorno ? Spero tanto che sia la volta buona per un serio esame di coscienza per tornare indietro : alla celebrazione del sabato il sabato , alla celebrazione del giorno del Signore la sola Domenica . Per fare una colonscopia sono prescritte 6 ore di digiuno , per ricevere il Corpo di Cristo solo una!

Da Fb ha detto...

RIMEDIARE ALLA CARENZA SANITARIA E RIPARTIRE
Questi giorni di "lockdown", di chiusura semitotale e di confino domestico generale coatto, devono venire impiegati per aumentare la capacità ricettiva delle strutture di terapia intensiva per far fronte al contagio nei prossimi mesi.
Ce ne sarà bisogno, perché il virus ormai è in tutto il mondo e non se ne andrà solo perché stiamo chiusi in casa. Appena ricominceranno le attività, dall'estero tornerà e saremo punto e a capo, fino a che la popolazione non si sarà immunizzata.
Ecco perché in Inghilterra hanno deciso di affrontare la situazione di petto, da subito.
Ecco perché anche noi dovremo ricominciare a vivere normalmente, al più presto.
Magari riflettendo sul fatto che la morte è il naturale destino di ciascuno e può capitare in ogni momento per una malattia, per un incidente, per i casi più svariati e quindi bisogna prepararsi, vivendo bene e dando alle cose il giusto significato e il giusto ordine di priorità.
Ma chiuderci in casa "sine die" sperando che passi è illusorio, come illusorio è credere che in Cina sia risolta la situazione, perché basta che un infetto arrivi a Pechino o Shanghai e si ricomincia da capo.

Anonimo ha detto...

https://www.youtube.com/watch?v=K61SdG9tvo4

Parole molto chiare dal Prof. De Mattei.

Lettere da un paese chiuso 22 ha detto...


Bussando alla porta dal di dentro
Buona domenica a tutti, e scusa. La lettera di ieri era più dura e cruda di altre, lo so. Ma è la realtà a diventare così. L’assessore alla Sanità della Lombardia, persona misurata e sobria, ha detto che siamo vicini al punto di non ritorno. A Bergamo è già così. Ci sono molte belle fotografie che descrivono in modo poetico o suggestivo quello che stiamo vivendo. C’è una foto qualunque , scattata di notte, davanti all’ospedale di Seriate: sei ambulanze in coda per entrare all’ospedale. I bergamamaschi sono tosti, non è gente che si lamenta, ma ieri è morto un operatore sanitario di 46 anni, Diego Bianco. Mancano mascherine e camici per gli infermieri.
Martedì il vescovo andrà a Sotto il Monte per una preghiera solitaria a Papa Giovanni XXIII, ma solo ieri ci sono stati 496 ricoveri a Bergamo (a Brescia solo ieri 338).
L’Eco di Bergamo è il giornale di quest’angolo d’Italia. Sapete quante pagine di necrologi aveva stamattina ? 10, tutte piene. Dove sono cresciuto io i grandi, che per me erano già vecchi, entravano al bar la mattina e del giornale guardavano per prima cosa i morti, perché ci si conosce quasi tutti, ed è il tempo di un caffè, di un’imprecazione, di una riverenza, di una curiosità: “Hai visto, è morto …. sì, non ti ricordi ? Proprio lui”. Ma era una paginetta: qui dieci, e i ricordi. Muore il fondatore della Croce Rossa in valle, muore l’anima critica della sinistra, muore il pioniere delle guarnizioni… ci si accorge tardi di quel che si perde.
L’amore non sempre vince: è evidente che quelli che continuano a scendere al sud, anche da Milano, non amano il sud (e c’è sempre una dose di follia, nelle guerre. Forse oggi torna mio figlio da Londra. A Milano, e sembra suo padre che tante volte ha risalito al contrario colonne di profughi. Lui arriva, altri partono, ognuno ha un suo destino, forse).
E’ chiaro che qualcuno a Roma, bloccando il grande ospedale di emergenza del Portello, non ama Milano. E in più mandano, dalla Protezione Civile, 20mila mascherine utilizzabili per spolverare i mobili, pulizie pasquali (ci sono rimasto male, anche perché è la mascherina che indosso io, una copertina da Linus, diciamo).
E’ lampante che Milano e la Lombardia non hanno amato abbastanza se stesse, o forse eravamo solo ganassa, come si dice qui (ma ci hanno sballottato: vi ricordate gli attacchi feroci contro il presidente della Regione per le mascherine ?) se i morti sono più di mille, ormai.
Settecentotrentadue i ricoverati nelle terapie intensive, 5000 i ricoverati: è la realtà che è cruda, dura.

Lettere da un paese chiuso 22 ha detto...

...segue
So che bisogna anche ridere, e io rido guardando i piccoli filmati che mi mandano i miei amici (l’ultimo è uno che si costruisce una specie di enorme tutù di cartone per tenere le persone a un metro di distanza), un altro mi spedisce immagini di un cagnolino incazzato che dice al padrone di averla già fatta, e non vuole uscire di nuovo, una scritta implora: Aprite i bar o moriremo tutti ! So che bisogna sorridere.
Oggi, sulla strada del giardinetto, ho visto da lontano la sagoma inconfondibile, alta e dinoccolata, del mio amico Johnny, conosciuto proprio grazie ai cani. Sorriso dietro la mascherina e qualche parola a rispettosa distanza.
“Stiamo gestendo male la cosa,Toni".
“Eh, lo so”.
“Hai visto gli inglesi ? La affrontano, non chiudono tutto, un po’ di precauzioni e via”
“Non lo so, Johnny. Forse abbiamo ragione noi, forse loro. Ma sai perché spero che non vadano incontro a qualcosa di peggio di noi ? Perché, ti ricordi ? mio figlio vive là”.
“Ah, sì.
Restiamo chiusi in casa. A me basterebbe scendere in garage, salire in macchina che non contagio nessuno e non mi fermo mai. Fino a un fiume che conosco, e sto lì bello solo soletto a pescare tutto il giorno”. Ho sorriso, perché ognuno ha i suoi sogni.
Ci siamo salutati sotto la pioggia sottile.
Non è giornata da balconi, questa, ma a un terrazzino del terzo piano di fronte a casa mia c’è una bandiera tricolore. Nuova, non come quella dal verde stinto di mia madre. La metteva sul balcone a ogni festa nazionale, dicendo che era quella che aveva portato, giovane donna, nelle strade di Trieste, per Trieste italiana. Il giardinetto intitolato a Oreste del Buono era chiuso e ho dovuto andare in un altro, in mezzo al piazzale.
E ho pensato alle cose che uno sogna, quando non le può fare. Non le cose impossibili che pure ho sognato, fossero essere invisibili o tornare indietro nel tempo. No, qualcosa di semplice e normale, come il fiume di Johnny.

Lettere da un paese chiuso 22 ha detto...

...segue
Quando ero nella valle di Morazan con la guerriglia salvadoregna camminando ogni notte per evitare di essere visti dagli elicotteri, sognavo solo un caffè qualsiasi al mattino, anche un granulato di caffè, e passavamo in mezzo a piantagioni di caffè e non c’era un caffè che fosse uno. In Somalia sognavo di fare un bagno in quelle acque azzurre ma c’erano gli squali, e non era posto da mettersi in costume. A Gerusalemme sognavo un piatto di pasta, ed era un sogno facile, perché camminavo fino al ristorante di Angelo, un ebreo romano che aveva smesso di vendere miniature del Colosseo e di San Pietro a Roma, e cucinava una pasta all’amatriciana commovente. Qualche volta ho sognato solo di avere un caricabatterie per il telefonino, come quando sono rimasto intrappolato nella Basilica della Natività. O un pacchetto delle mie sigarette a Sarajevo. Bisogna che te le neghino per scoprire l’importanza delle cose semplici. Cosa ci manca, adesso ? Ma non cose grandi, gli affetti o la libertà, cose qualunque. Bene, vi succederà come a me ogni volta che tornavo da una guerra. Tenevo i miei ricordi per me, ed ero felice delle cose più scontate: una pizza, una birra, una passeggiata, un silenzio, una chiacchierata, il divano noioso in un domenica di pioggia senza calcio. Tutto era improvvisamente prezioso e straordinario. Dopo un po’ mi ci abituavo, e tornavo a essere quello di sempre, che dava certe cose per scontate, che trovava altre cose noiose, e nulla di eccitante in una lunga passeggiata (forse solo il mare, la prima volta della stagione a piedi nudi). Va bene, che cosa mi manca adesso, dopo aver tante volte sognato di tornare a casa vivo e intatto, sopravvissuto e indenne ? Mi manca sentire qualcuno nel traffico che suona il clacson dietro a me, al semaforo diventato verde, mi mancano le code caotiche, mi mancano lo smog e il rumore. Il mondo si è rovesciato: sognavo tante volte di farcela, di tornare a casa, adesso mi manca uscire di casa. Busso alla porta dal di dentro, per entrare nel mondo, fuori.
Domani vi racconterò qualcosa su Bertolaso: sono contento che torni, almeno qui in Lombardia. Però intanto mi riprometto : quando finirà voglio fare come con i gelati da bambino, quelli che prendevo in gelaterie scomparse di cui ricordo il nome come fosse un traguardo. Piano, piano per non finirlo troppo presto. Ma non troppo, perché si scioglie. Non lo so quando sarà, non so che nome inventeranno – rinascita, liberazione, guarigione, fine dell’incubo, uscita dal tunnel, decoronizzazione, non importa – ma voglio farli durare a lungo, quei sogni delle piccole cose liberi, con il sapore della prima volta, di nuovo.
Toni Capuozzo

Anonimo ha detto...

Cesare Sacchetti:
Negli ultimi 10 anni, la spesa reale per la sanità è stata ridotta del 22%, mentre in Germania è cresciuta del 29%. Quelli che oggi dicono "state a casa", sono gli stessi che hanno sventrato la sanità italiana creando questa situazione.

RR ha detto...

Fu la Bindi, DC doc, ad iniziare i tagli alla Sanità, a partir dal’’83.
E se Formigoni non avesse battagliato per portare avanti la sua riforma, si il “delinquente” Formigoni, oggi in Lombardia avremmo la metà dei posti letto.
Oddio, è anche vero che, senza di lui, molte più persone sarebbero morte di cuore e cancro negli anni, e quindi oggi saremmo in meno in Regione...

Anonimo ha detto...

Credo che come deve essere educato il fedele e il cittadino così devono essere educati il paziente, il medico e l'infermiere. Ognuno nel suo ambito devono assumersi la responsabilità che la loro condizione e la loro professione comportano. Da quello che vedo e che ho visto il paziente diventa tale dalla nascita, il pediatra dapprima ha un rapporto con la madre alla quale deve spiegare e rispiegare e rispiegare il necessario per un sano allevamento ed una sana educazione del bambino; dalla adolescenza in poi è il ragazzo che inizia ad essere chiamato a raccontare il suo stato di salute, mentre il genitore, pur presente comincia a fare un passo indietro fino ad uscir di scena in accordo con il medico ed il/la figlio/a. Il passaggio, verso i ventun anni, dal pediatra al medico potrebbe non esistere ma, forse è bene che il pediatra che conosce ormai il giovane e la famiglia suggerisca lui il collega che ritiene più adatto. Il giovane a questo punto dovrebbe aver acquisito le norme fondamentali di igiene, di salute e di prudenza. Norme fisiche e morali, entrambe infatti sono intimamente intrecciate. In particolare una sana prudenza deve essere parte dell'educazione del giovane paziente in un'età in cui la vitalità è esuberante ed i rischio di essere imprudenti è altissimo e spesso fatale. La visita dal medico dovrebbe essere annuale, cioè preventiva, in modo che il medico possa di tanto in tanto aggiustare il tiro con le sue sintetiche osservazioni e semplici consigli su abitudini e dieta e assegnare qualche cura ricostituente nei momenti di grande sforzo intellettuale e/o fisico.
Procedendo così nella vita si può arrivare alla vecchiaia senza tante sorprese, se non quelle che il lento decadimento del corpo comportano a cui implicitamente si è preparati e si è stati preparati.
Il medico assume un ruolo importantissimo nella vita della persona. Nella antichità il sacerdote era anche il guaritore, il guaritore era anche sacerdote. Oggi la sola professione del medico è stata spezzettata in tante specializzazioni, sono subentrati i protocolli e il medico assegna farmaci ed esami tecnici. Il medico non consiglia più gli accorgimenti semplici per una vita sana. Questo va ripreso dal passato, il medico ha una funzione pedagogica importantissima, vitale. Deve lottare con il paziente, deve insegnare al paziente a lottare per mantenersi sano lungo tutta la vita e saper attendere, con pazienza appunto, i tempi lunghi del decorso della malattia e della convalescenza.
L'infermiere spesso è nerboruto e va bene; occorre però un'altra dote, la delicatezza del gesto fisico e morale, del particolare. Uno spostamento in lettiga e in autoambulanza per un anziano può essere il colpo di grazia. In buoni ospedali ho visto che dopo un giorno il paziente viene chiamato per nome e si passa al tu per tu, piccoli passi verso la cosificazione. Un sorriso sincero, una stretta di piede affettuosa non contaminano nessuno, nè fanno perdere tempo, ma bastano al paziente per non sentirsi numero tra numeri. La fretta dell'emergenze è una illusione sul guadagno del tempo che scorre. L'emergenza richiede che le azioni siano fatte con attenzione che è l'unica strada per l'azione ben fatta che non richiede rifacimenti e che assicura il miglioramento.