Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 13 giugno 2025

Dante e la politica moderna: contro lo Stato etico e la tecnocrazia, una lezione di libertà dalla “Divina Commedia”

Dante e la politica. Nelle terzine del Sommo Poeta le parole rivolte al mondo moderno e all'attualità.
Dante e la politica moderna: contro lo Stato etico e la tecnocrazia,
una lezione di libertà dalla “Divina Commedia”


Le terzine della “Divina Commedia” parlano al mondo moderno con rinnovata attualità. A 700 anni dalla morte, i sublimi versi del Sommo Poeta, con le loro allegorie, svelano un tesoro di saggezza universale e senza tempo, vivificato dalla fede cristiana, che spazia dallo splendore del vero, al primato della morale, alla difesa della vita, alla “semenza” dell’uomo etc.

Lo evidenzia con acutezza Daniele Fazio nel suo recente libro “Le stelle di Dante”. Tra le terzine citate, ne scegliamo una che ci pare particolarmente significativa, in relazione alle problematiche politiche della modernità. In paradiso Dante si avvale della guida di Tommaso d’Aquino; nel quarto cielo del Sole, il grande teologo gli si rivolge con queste parole: “Non ho parlato sì, che tu non posse – ben veder ch’el fu re, che chiese senno – acciò che re sufficiente fosse”.

Si riferisce al re Salomone, che chiese a Dio il dono della sapienza necessaria per governare. Necessaria, ma anche “sufficiente”, ai fini del suo ufficio, che consiste essenzialmente nel discernere ciò che realizza l’interesse del popolo governato. Come chiosa Fazio, non si tratta della sapienza intellettuale dello scienziato, né di quella del filosofo moralista, bensì della capacità di esercitare la sola ragione naturale, bastevole di per sé per governare con giustizia e rettitudine.

In sintesi, Dante distingue la sfera della politica da quelle contigue, della morale religiosa e della scienza, le quali alimentano per altre vie, ma non determinano, il giusto discernimento nelle questioni pratiche. Il re non si sostituisce al chierico, né allo scienziato.

Dante, la politica e l’attualità del messaggioL’attualità del messaggio è fin troppo evidente. Oggi più che mai, è necessario recingere il campo della politica, per non correre i rischi apparentemente contrapposti, ma in realtà convergenti, dell’assolutezza e della subalternità. Il primo rischio si palesa quando lo Stato moderno smarrisce l’autentica laicità, per abbracciare un nuovo credo parareligiso, “laicista” e “politicamente corretto”, in virtù del quale diventa educatore e precettore. In altri termini, diventa chierico, seppure non clericale; rimane estraneo e indifferente alla chiesa, ma esso stesso si fa chiesa, giacché pretende di indirizzare le coscienze degli uomini fin nelle minuzie della vita privata.

Lo Stato che fa la morale, sostituisce la famiglia, monopolizza l’istruzione e l’educazione, avrà pure le sembianze democratiche, ma puzza di assolutismo. Il rischio dello Stato etico non si è dissolto una volta per tutte con la fine delle dittature del novecento; un novello assolutismo è dietro l’angolo, nelle sembianze edulcorate e suadenti dello Stato tutore e istitutore. A ben vedere, l’insana commistione della morale e della politica non è mai morta.

Il secondo rischio si palesa quando la politica abdica al suo ruolo in favore della scienza e della tecnica. L’autorità politica diviene subalterna ai vari “comitatoni” tecnoscientifici, nazionali e sovranazionali, quando affida loro le decisioni ultime per fronteggiare le catastrofi annunciate (climatica, ambientale, sanitaria etc.), vere o presunte. A misura che si amplificano le innumerevoli “emergenze”, cresce il ruolo della tecnocrazia “provvidenziale”, che sostituisce ancora una volta il chierico.

Ma per altre vie cresce anche la tecnocrazia “ordinatrice”, la quale controlla ognuno di noi, con l’accumulo di dati elettronici, e tende a programmare la dinamica sociale mediante l’intelligenza artificiale. La tecnocrazia non è meno pericolosa della politica ipertrofica.

Insomma il surrogato di Dio, a seconda dei casi, veste i panni del politico o del tecnico. Alla fine dei conti, l’assolutismo e la subalternità della politica sono entrambi correlati alla morte di Dio, perché sono figli della stessa presunzione fatale che deifica la “Ragione”. I limiti della natura umana sono ignorati, sia quando il politico presume di pianificare il corso della “Storia”, sia quando il tecnocrate vuole “salvare” l’umanità; mentre la supposizione di Dio tiene a freno la “provvidenza”, politica o tecnocratica che sia.
E allora, in ultima analisi, la strada indicata dal Divin Poeta non è forse la migliore, per preservare la nostra libertà?
Michele Gelardi, 7 Giugno 2025 - Fonte

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Personalmente non credo che possa esserci una reale separazione all'interno di ogni grande o piccola professione. Il sacerdote lo si chiama padre e molti padri sono stati, ad un tempo, scienziati, tecnici e politici; la casalinga di Voghera è, ad ogni ora del giorno o sacerdotessa o maestra o economa o scienziata o tecnica o politica all'interno della sua casa e delle sue relazioni familiari e sociali. Non è specializzata in nessuna di queste professioni ma, essendo che necessità fa virtù, lei nel suo piccolo le esercita tutte. Così è per tutti quanti i grandi luminari di ogni specializzazione, i quali nel loro quotidiano esercitano, gioco forza, altri mestieri a volte da apprendisti, altre volte eccellendo anche in un altro mestiere diverso da quello loro principale. Nei fatti quello che conta è la personalità di ognuno e la formazione umana che ognuno ha ricevuto in famiglia e come e quanto ha perfezionato e perfezionerà o ha peggiorato e peggiorerà la sua formazione familiare di partenza. Certamente colui che si rivolge a Dio prima di intraprendere un compito multiforme e gravoso, parte già col piede giusto, ben sapendo quanto non sa e quanti tranelli lo aspettano. Ma anche la buona casalinga tuttofare di Voghera ogni giorno implora Dio, Maria Santissima , l'Angelo suo custode, i suoi cari defunti di vegliare su di lei e sulla sua famiglia della quale è responsabile.

Anonimo ha detto...

L ' uso della nozione di Stato etico per indicare un tipo di regime dittatoriale che si vuole appropriare anche delle coscienze appropriandosi dell'educazione, tanto per cominciare, è diventato comune.
Con "Stato etico" si intendono soprattutto i tre totalitarismi del Novecento: comunismo, nazismo, fascismo.
Tuttavia includere sic et simpliciter il fascismo in questa categoria è sbagliato. Infatti, il regime fascista ha sempre riconosciuto la scuola privata e lasciato alla Chiesa ampia autonomia in proposito. Nel 1924, grazie anche all'interessamento di Giovanni Gentile, ci fu il riconoscimento statale dell'Università cattolica di Milano, fondata da P. Gemelli. La scuola privata fu mantenuta. IN ambito cattolico essa divenne una coltura di antifascisti, come il famoso liceo Apollinare di Roma. Cosa che il regime sapeva benissimo. Inoltre, si poteva studiare a casa, per chi ne aveva i mezzi. Noti esponenti dell'antifascismo, p.e. il cattolico intransigente D'AGostino, poterono far studiare le proprie figlie o figli nei licei privati o a casa, facendo conseguire loro la maturità come "privatisti". Il tutto senza nessun problema con il regime.
L'istruzione di tipo ideologico, paramilitare e sportivo che il regime ci teneva ad impartire alla gioventù (formalmente non obbligatoria anche se la maggioranza vi aderiva, anche per ragioni economiche) non sostituiva quella scolastica o religiosa ma vi si affiancava. Nelle organizzazioni fasciste c'erano poi sempre i cappellani. E durante i campeggi da esse organizzate si celebravano sempre le Messe al campo.
INsomma, almeno per quanto riguarda l'Italia fascista il discorso è più variegato, il "totalitarismo" fascista, nonostante il suo culto per lo Stato, non soffocava la famiglia e l'individuo come gli altri due. E aveva molto rispetto per la religione cattolica. I contrasti anche violenti che ci furono nel 1930-1 a proposito dell'Azione Cattolica furono originati dal modo di fare poco corretto dell'Azione CAttolica che, a livello sindacale e universitario, sviluppava di fatto una politica antifascista, eccedendo in ogni caso i limiti che il Concordato imponeva alle organizzazioni cattoliche, riconosciute purché si impegnassero in una prospettiva sempre tendenzialmente religiosa. Nell'ambito universitario (della FUCI) si notava l'azione obliqua di un certo mons. Montini, il futuro Paolo VI, accusato dai fascisti di riciclare esponenti del disciolto Partito Popolare e comunque di dar vita ad un'impostazione antifascista.
L ' attuale dittatura del "politicamente corretto", fondato sulla Rivoluzione Sessuale e l'immigrazionismo incontrollato, e il dominio del capitale finanziario, convertito alla causa, a ben vedere non ha nulla a che vedere con lo "Stato etico", anche inteso nella sua forma peggiore. Infatti, nazismo e comunismo erano dittature spietate e sanguinarie ma miravano comunque al bene del popolo, della nazione come da loro intesi, secondo le loro ideologie, basate sul culto della forza e l'annientamento dell'avversario. Invece, l'attuale "dittatura", assai più soft nei modi, mira al male del popolo, cioè all'autodistruzione delle nazioni, al loro suicidio mediante la rivoluzione sessuale e la loro conseguente estinzione via immigrazione incontrollata da parte di popoli estranei e meno civili. Un fenomeno mai accaduto prima nella storia. Contro il quale si sta profilando faticosamente una reazione popolare, forse tardiva. Reazione dalla quale risulta ancora assente la Chiesa, resasi anzi complice della dissoluzione, in particolare con il penultimo papa.
Politicus
Politicus

Anonimo ha detto...

Segue:
La specializzazione serve per imparare ad approfondire, sperimentando poi che al fondo non si arriva mai, è un sapere comunque circoscritto nel quale si impara a muoversi con una certa sicurezza. Stupisce che nell'era nostra, quando si è studiato l'atomo e tutto il piccolissimo e grandissimo, sia comparso l'analfabetismo di ritorno. Le generazioni dei nostri nonni, forse seconda elementare, sapevano di più e molto meglio organizzato. Come già ho scritto credo che questo sapere chiaro, diffuso che ognuno poi nella vita ampliava a suo piacere e/o necessità, questo sapere diffuso dipendeva dalla Chiesa, dalla famiglia, dalla scuola, una semplicità usata per insegnare i fondamenti. Quando poi ha fatto breccia anche da noi l'enciclopedismo eppoi l'editoria compulsiva ci siamo disorientati,
confusi, senza più tempo per una riflessione personale. Siamo diventati, senza sapere, creta nelle mani della stampa che di mese in mese diventava sempre più manipolatoria. Inoltre credo che ad un certo punto anche la scienza abbia sviato e sviato abbia anche la tecnica. Lo scopo principale di entrambe è non più la cura del prossimo o la sua facilitazione del lavoro, senza intaccare lo scambio umano che il lavoro richiede, ma la soppressione del prossimo e la cancellazione della sua presenza nel mondo. Per andare avanti bisogna correggere gli errori fatti, studiare con attenzione il passato, i suoi errori ed il suo bene compiuto, fare sintesi del bene, pur sempre presente nel mondo e a quello ancorarsi con umiltà .

Anonimo ha detto...

Circa il ruolo fondamentale e la levatura intellettuale del filosofo Giovanni Gentile, di cui ricorre quest'anno l'ottantesimo anniversario del barbaro e vile assassinio ad opera della feccia rossa, sottolineo il contributo recente di Marcello Veneziani.
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Anonimo ha detto...

P.s.: devo correggere quanto ho scritto a proposito di Gentile, di cui ricorre quest'anno il 150° dalla nascita (l'assassinio avvenne nel 1944).
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