Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 4 giugno 2025

Due colonne: Giacomo e Paolo

Un caro lettore invia la riflessione che segue, che volentieri condivido. Nell'immagine: San Paolo e S. Giacomo nel ciborio in San Giovanni in Laterano

Due colonne: Giacomo e Paolo

Due uomini, due visioni
Giacomo il Giusto era il custode della comunità di Gerusalemme, nasi della prima sinagoga cristiana. Detto Obliam, “pilastro” in aramaico, visse come un giusto dell’Antico Testamento: asceta, vegetariano, nazireo, con le ginocchia callose per la preghiera. Secondo Eusebio (Storia Ecclesiastica II, 23), lui solo poteva entrare nel Sancta Sanctorum. Alcuni scritti apocrifi lo chiamano il Vescovo dei vescovi. Secondo Giuseppe Flavio (Ant. Jud. XX, 9), fu lapidato nel 62 d.C. su istigazione del sommo sacerdote Anano, a causa della sua crescente influenza.

La sua Lettera è una sferzata a ogni forma di fideismo:
“La fede senza le opere è morta” (Gc 2,26).
Non è uno slogan morale. È un grido profetico, uno scudo contro l’eresia antinomista che già serpeggiava. L’eco è veterotestamentaria.

Per Giacomo, la fede non è sentimento, ma fedeltà. Non è estasi, ma legge vissuta. In questo è profondamente ebraico, lontano dai sogni escatologici dei carismatici.

Paolo è l’antitesi. Convertito in un lampo di fuoco, scrive più come un veggente che come un teologo. La sua penna non conosce moderazione: “ho portato le stigmate di Cristo nel mio corpo”. Il suo Vangelo non l’ha ricevuto da alcun uomo, neppure da Gerusalemme: è venuto “per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal 1,12).

Nel suo sistema, la Legge è pedagogo, non madre. È buona, ma superata.
“Siamo stati liberati dalla Legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri” (Rm 7,6).
Per Paolo, il cuore della fede è la croce, non il Tempio. La grazia precede ogni opera, la giustificazione è un atto irrevocabile di Dio verso il peccatore. Le opere? Non mancano — ma non salvano.

E non temette il conflitto. Quando Pietro a Gerusalemme vacillò, Paolo gli “resistette in faccia” (Gal 2,11). E chi era dietro Pietro? Giacomo. Il versetto lo dice chiaro: “Vennero alcuni da parte di Giacomo…” e Pietro cambiò comportamento.

Siamo al limite della frattura.

Una Chiesa sul filo del rasoio
La tensione era così viva che il Concilio di Gerusalemme (Atti 15) fu necessario per evitare una scissione. I giacobiti — i cristiani giudaizzanti — volevano imporre la circoncisione. Paolo urlava: Anàthema estó! Chi annulla la grazia per tornare alla Legge, bestemmia.

Ma l’accordo venne, fragile come un armistizio. Giacomo accettò che i pagani non si ebraicizzassero; Paolo accettò quattro regole minime (Atti 15,29). Fu un compromesso salvifico.

E tuttavia, la tensione non si estinse. Nelle comunità, alcuni si appellavano a Paolo, altri a Cefa, altri ancora a “Cristo” — cioè a Giacomo (1 Cor 1,12, secondo l’interpretazione di alcuni esegeti patristici come Origene).

La grande tentazione: dividere ciò che Dio ha unito
Lutero, leggendo Giacomo, rabbrividì: “è una lettera di paglia”. Aveva bisogno di Paolo, solo di lui. Fece ciò che ogni eresia fa: sezionare, tagliare, rendere parziale ciò che è cattolico solo nella totalità.

Ma la Tradizione — da Clemente Romano a Tommaso d’Aquino — ha visto in Giacomo e Paolo una dialettica, non una contraddizione. Come il cuore e il polmone. Come la Torah orale e la Torah scritta. Diversi, sì, ma entrambi indispensabili alla vita della Chiesa.

Per Origene (Commento a Romani, II), Paolo è “l’araldo del mistero”, mentre Giacomo è “il custode della morale”.

Per Benedetto XVI, “Paolo ci insegna che non ci si salva da sé; Giacomo ci ammonisce che la fede non è finzione”.

Due spiritualità, una sola Chiesa
C’è chi oggi si rifugia solo nel giacobismo: rigorismo, identità, difesa della forma. Ma senza l’estasi paolina, la Chiesa si inaridisce, si fa setta.

C’è chi si getta solo in Paolo: grazia fluida, Vangelo senza croce, salvezza senza battesimo. Ma senza Giacomo, si scivola nell’anarchia morale, nell’eresia gnostica che separa spirito e carne.

Nella loro tensione, Giacomo e Paolo ci ricordano che la verità è tota et una. Che non si salva chi agisce senza fede, né chi crede senza agire. Che la giustificazione viene da Dio, ma la santificazione passa per la carne, per la lingua, per il portafoglio, per il prossimo.

Due martiri, due testimoni
Giacomo fu gettato dal pinnacolo del Tempio: sopravvisse alla caduta e fu lapidato. Morì pregando. Paolo fu decapitato a Roma, cittadino romano e agitatore di coscienze. Morì predicando.

Due morti diverse, due vie diverse, una sola fede: Gesù Cristo, morto e risorto, Signore dei vivi e dei morti.

E se oggi la Chiesa ha ancora respiro, è perché vive di entrambi. Della saldezza di Giacomo e della vertigine di Paolo. Della giustizia e della misericordia. Della Legge compiuta e della Grazia donata. Della sinagoga che si fa Corpo mistico.

Sotto il peso della verità, le loro differenze si piegano, non si spezzano. Perché la Chiesa non è un sistema, ma un miracolo.
Stephen Neville 

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Beh, il passaggio sul vegetarianesimo poteva risparmiarselo. Fino a prova contraria la Bibbia dice altro
Dopo il diluvio è lecito mangiare carne, per non parlare della visione di Pietro in cui il Signore dice " uccidi e mangia".
Piuttosto l' attuale visione vegetariana e vegana, molto disincarnata, è la chiara espressione di una visione neognostica. Sarebbe un discorso lungo, ma da farsi.
Anche su questo sito, in questi anni, si è toccato molto poco questo argomento cruciale.
Su YouTube ci sono diversi video del prof. Matteo D' Amico e di don Curzio Nitoglia.
Antonio

by Tripudio ha detto...

Raccomando la lettura dell'articolo papa Prevost e il falso dilemma - il dilemma tra "fiduciosi" e "disincantati", alla luce del fatto che il profilo di Prevost è innegabilmente di "illimitata adesione al Concilio Vaticano II".

Novena di Pentecoste. 6° giorno ha detto...

Veni, creátor Spíritus,
mentes tuórum vísita,
imple supérna grátia,
quæ tu creásti péctora.

Qui díceris Paráclitus,
altíssimi donum Dei
fons vivus, ignis, cáritas,
et spiritális únctio.

Tu septifórmis múnere,
dígitus patérnæ déxteræ,
tu rite promíssum Patris,
sermóne ditans gúttura.

Accénde lumen sensibus,
infúnde amórem córdibus,
infírma nostri córporis
virtúte firmans pérpeti.

Hostem repéllas lóngius
pacémque dones prótinus;
ductóre sic te prǽvio
vitémus omne nóxium.

Per Te sciámus da Patrem
noscámus atque Fílium,
teque utriúsque Spíritum
credámus omni témpore.


Deo Patri sit glória,
et Fílio, qui a mórtuis
surréxit, ac Paráclito,
in sæculórum sǽcula. Amen.

V. Emitte Spiritum tuum et creabuntur,
alleluia.
R. Et renovabis faciem terræ, alleluia.

Oremus
Deus, qui corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de eius semper consolatióne gaudére.
Per Christum Dóminum nostrum. Amen.

Anonimo ha detto...

Respira in me tu, Santo Spirito,
perché siano santi i miei pensieri.
Spingimi tu, Santo Spirito,
perché siano sante le mie azioni.
Attirami tu, Santo Spirito,
perché ami le cose sante.
Fammi forte tu, Santo Spirito,
perché difenda le cose sante.
Difendimi tu, Santo Spirito,
perché non perda mai la tua Santa Grazia
(S.Agostino)

Anonimo ha detto...

Ma quando san Paolo incita a liberarsi delle opere della Legge ce l'ha con il formalismo farisaico, che lui conosceva bene, essendo stato anche lui fariseo (Saul il fariseo, convertitosi sulla via di Damasco, in seguito alla nota apparizione). Sono le opere di una casistica arida, e persino assurda, che alla fine soffocava il vero sentimento religioso.
In realtà, san Paolo non pone alcuna contraddizione tra la fede (in Cristo) e le opere ad essa conseguenti, che incita più volte a fare. Anche per lui la fede senza le opere della fede era una cosa morta. Nei due apostoli c'è un approccio diverso all'eredità giudaica, che Giacomo voleva in qualche modo conservare (almeno così sembra), ma non c'è una vera antitesi, nemmeno sul piano "dialettico".
Solo gli eresiarchi come Lutero potevano fabbricare un'antitesi, frutto della loro mente esaltata e superba.

Anonimo ha detto...

Un particolare dalla citazione di Eusebio, non appare di particolare rilevanza...

Anonimo ha detto...

In effetti le "opere della fede" di Paolo sono quelle che nascono da un cuore redento perché ha accolto Cristo.
L'articolo parla di tensione, certamente frutto di approccio diverso di temperamenti diversi: questi, semmai, in antitesi, non gli insegnamenti ...

Laurentius ha detto...

Ottimo articolo.

Provvidenza Divina del Cuore di Gesù, provvedeteci!

mic ha detto...

La vera antitesi, al di là delle differenze di temperamento e di formazione, sta nella prosecuzione di un cristianesimo giudaizzante versus il superamento della legge di stampo farisaico, che non è quella che corrisponde alla volontà di Dio.

Anonimo ha detto...

Sul cibo. Nella visione biblica ogni cibo e' permesso perche' ogni cosa creata puo' contribuire al benessere deglu umani creati , a loro volta a immagine e somiglianza di Dio.
Ma, nel Vangelo , qualcuno ha precisato che , per scacciare certi demoni sono necessarie preghiere e digiuno.

Anonimo ha detto...

Si chiude una giornata che ci ha lasciato pensieri profondi e qualche segno inatteso. Nella catechesi di oggi, giorno di udienza generale, Papa Leone XIV ha rispolverato una delle pagine più controcorrente del Vangelo: la parabola degli operai dell’ultima ora. In essa si cela un’immagine sconcertante di Dio. Non un datore di lavoro inflessibile, non un ragioniere della grazia, ma un Padrone innamorato della vita dei suoi operai, tanto da uscire a cercarli fino all’ultimo minuto utile. E anche oltre.
Il messaggio è chiaro: per Dio, nessuno è troppo tardi. Anche quando ci sentiamo esclusi dal flusso della vita, per stanchezza, fallimenti, o perché il mondo ci ha scartati, il Signore continua a uscire. Lui non attende che ci presentiamo da soli, ma ci viene a prendere. Di persona.
E poi, il colpo di scena: la paga è uguale per tutti. Non è un’ingiustizia, ma una rivelazione. Ciò che conta, per Dio, non è quanto produciamo, ma quanto siamo disposti a lasciarci amare. Il denaro della parabola è il Regno: la vita piena, eterna, felice. E chiunque Lo accolga, anche all’ultima ora, riceve il tutto. Perché il Regno non si divide: si dona intero, o non è più Regno.
Il Papa ha colto la portata esistenziale di questa immagine, parlando a chi si sente “in ritardo”, ai giovani tentati di rimandare, a chi ha perso speranza o scopo. E ha risposto con parole di fuoco e miele: non aspettare. Non restare sulla piazza. Non svenderti al primo offerente. Perché c’è Qualcuno che ti sta cercando proprio ora.
Questa parabola, oggi, è uno schiaffo alla nostra mentalità meritocratica e ansiogena. Ma è anche una carezza per tutti coloro che hanno un cuore ancora disponibile.
E noi? Dove siamo? All’alba, o all’ultima ora? Poco importa. Quello che conta è dire sì. Perché la vigna è aperta. Il Padrone è già sulla strada. E l’unico fallimento è restare immobili.
E proprio oggi, in quell’ultima ora che il mondo non si aspetta più nulla, è giunta la notizia di una telefonata inattesa: il presidente Putin ha chiamato Papa Leone XIV. Un primo segno di dialogo, forse fragile, forse solo simbolico. Ma reale. La Santa Sede ha confermato: si è parlato di pace, di aiuti umanitari, dello scambio di prigionieri, e soprattutto del ritorno dei bambini strappati alla loro terra. E il Papa ha chiesto un gesto, un gesto vero, che apra uno spiraglio.
Che cosa può dire un pastore al potere? Nulla, se pensa in termini mondani. Ma tutto, se porta nel cuore il Vangelo. Non armi, ma parole. Non calcoli, ma appelli alla coscienza. Non trattati, ma verità dette con mitezza.
E questa è la forza della Chiesa: entrare nei cuori senza violenza, seminare un'altra logica, suggerire che è possibile, ancora possibile, non perdersi del tutto.
Domani il mondo sarà uguale? Forse sì. Ma stasera sappiamo che la vigna è ancora aperta. E Dio continua a cercare anche chi sembrava irraggiungibile.
Buona notte, amici. Che il Signore ci trovi svegli, pronti, e con il cuore disposto a costruire la pace, a cominciare da casa nostra.
(Mario Proietti)